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Cure oggettivamente date e risonanze emotive che rilasciano.
Le esperienze fisiche di tutti i bambini che sono “sopravvissuti” alla loro infanzia sono tutte più o meno le stesse: oggettivamente, materialmente si somigliano.
Sono esperienze di cura, di accudimento, soprattutto di nutrimento, da parte delle figure genitoriali (specie della madre) o di figure sostitutive, ma più o meno equivalenti.
I bambini che non vengono sufficientemente nutriti, accuditi e curati non riescono a sopravvivere oltre l’infanzia o addirittura oltre le prime settimane o mesi di vita: questo ci dicono la scienza e, prima ancora, le statistiche.
Ciò che cambia (e a volte profondamente) nelle varie esperienze è la risonanza emotiva che esse rilasciano nel bambino.
Ci sono carezze e carezze, baci e baci, abbracci e abbracci, rimproveri e rimproveri, parole e parole, ascolti e ascolti, attenzioni e attenzioni…
A volte questa risonanza nel bambino è di profondo piacere e benessere, altre volte di profonda frustrazione e malessere.
Tra questi due estremi si situa una vasta gamma di sfumature diverse, alcune più vicine al primo altre più vicine al secondo.
Il risultato è una traccia emotiva comunque incancellabile nella vita del bambino, che persisterà anche nella sua vita di adulto e ne segnerà il destino emotivo ed affettivo.
In certi casi ne pregiudicherà addirittura la stessa salute psicofisica.
© Giovanni Lamagna
Capriccio e desiderio.
Il desiderio è un’esperienza umana ben diversa dal capriccio.
Il capriccio è un’esperienza del tutto narcisistica, incapace di confrontarsi con l’esistenza dell’Altro e con la durezza della Realtà.
Prescinde, quindi, dal freudiano “principio di realtà”, mira a forzare, se non a rimuovere del tutto, la realtà.
Il desiderio, invece, è un’esperienza dell’anima che, a partire da un moto fisico, emotivo o intellettuale del singolo individuo, si accorda però con i moti degli altri singoli individui e, soprattutto, con la realtà.
Dalla quale non sempre riceve accoglienza immediata; e, infatti, alle volte il desiderio deve fare piccole o grandi forzature sulla realtà, per potersi realizzare.
Ma non è mai totalmente sganciato dalla realtà, totalmente estraneo ed ostile ad essa, come lo è invece il capriccio.
Il desiderio è sempre parte della Realtà, non è mai fuori della realtà, con i suoi limiti, i suoi divieti e le sue imposizioni; è sempre realistico, anche quando tende a forzare consuetudini e status quo.
In questo senso il desiderio non è mai solo la realizzazione di un moto che nasce all’interno del nostro animo.
Ma è anche in qualche modo la risposta ad una chiamata che ci viene dall’esterno, la realizzazione di un compito, come lo intendeva Victor Frankl.
O addirittura la realizzazione di un dovere, come la pensava Jacques Lacan.
© Giovanni Lamagna
Il mio antidoto alla frenesia e al logorio della vita moderna.
Vedo, constato, che, in questa nostra epoca nella quale la velocità è diventata un valore principe, la grande maggioranza delle persone corre, si affanna, fa le cose senza un attimo di tregua, senza mai tirare il fiato.
Come presa da un ingranaggio al quale non riesce a sottrarsi, ma che anzi forse le piace perfino assecondare, in certi casi addirittura autolesionisticamente e, quindi, masochisticamente.
Io, invece, a differenza di questa maggioranza, amo stare il più possibile fermo, seduto, a pensare, a riflettere, a meditare, a contemplare, a connettermi con la parte di me più intima e nascosta, con il mio io profondo.
È questo il mio status fondamentale, stavo quasi per dire il mio lavoro odierno, specie da quando sono andato in pensione e non vado più a lavorare.
L’ho scelto e lo preferisco anche a costo di apparire (anzi, essere) un po’ lento, se non proprio passivo, nelle mie reazioni agli stimoli esterni o eccessivamente statico, inattivo.
E, forse, questo mio atteggiamento, ne sono consapevole, può indurre reazioni negative nei miei confronti da parte di alcuni, che possono giudicarlo persino indolente, pigro.
Eppure niente e nessuno riesce a smuovermi, a distogliermi da questa mia postura fondamentale.
Quasi mi fossi assegnato un compito: quello di andare contro corrente, di compensare con una loro aggiunta, un loro surplus, un loro eccesso, la carenza di lettura-meditazione-contemplazione, direi addirittura di anima, di spiritualità, che a me sembra caratterizzare il muoversi frenetico, in certi casi e momenti addirittura caotico e agitato, della maggior parte dei miei simili.
Cosa è, infatti, l’agire senza il necessario distacco e, quindi, senza una quota parte di pensiero, di riflessione, di meditazione, se non un inutile e a volte persino sciocco girare a vuoto?
Non che sia tale o che giudichi tale la maggior parte delle azioni degli uomini che mi circondano; non arrivo a pensare questo; anche se talvolta, anzi in molti casi – devo confessarlo – tale pensiero mi sfiora.
È che, forse, a mio giudizio, un po’ più di riflessione prima di agire, prima di tradurre un impulso istintivo o puramente emotivo in azione, non farebbe male; anzi!
È a questa carenza, a questa deficienza di consapevolezza, che ritengo voglia (lo ammetto: forse presuntuosamente), quasi per un istinto o per un riflesso condizionato uguale e contrario, sopperire il mio non-agire, il mio “stare fermo”.
Che, forse, per altri aspetti, non lo nego, arriva ad essere anch’esso negativo, per motivi opposti, soprattutto quando eccede, quando supera un certo livello.
Come se esso (forse mi illudo in questo) potesse essere il necessario o, quantomeno, utile bilanciamento di altri eccessi; quelli che vedo prevalere attorno a me.
© Giovanni Lamagna
E’ spirituale…
E’ spirituale tutto ciò che l’uomo fa (sul piano intellettuale, su quello emotivo-affettivo e persino su quello fisico) per realizzare al massimo le potenzialità di cui lo hanno dotato la natura e l’ambiente in cui egli è nato e cresciuto.
L’uomo spirituale è, quindi, per definizione un uomo in cammino, in progress, in trasformazione, insomma un uomo in evoluzione.
Per converso possiamo dire che un uomo pienamente soddisfatto di sé, che si accontenta di quello che è, che non è interessato a crescere, a migliorare, ad espandersi e svilupparsi psicologicamente, non è un uomo spirituale.
E’ dotato, ovviamente, come tutti gli uomini, di una potenziale vita spirituale.
Ma, se questa non si realizza di fatto, non si attualizza, egli non è davvero un uomo spirituale.
Potremmo anche affermare – a volerla dire proprio tutta – che non è pienamente uomo.
© Giovanni Lamagna
Religioso, spirituale, contemplativo, estatico, mistico
L’atto più profondamente religioso e spirituale che conosco (i due termini – spirituale e religioso – per me sono quasi sinonimi) è quello che ci mette in comunione con qualcosa che va al di là dei confini ristretti del nostro Ego.
Più il nostro Ego si dilata, si trascende – non in senso fisico ma psichico – e più noi viviamo un’esperienza religiosa e spirituale.
Arrivare a sentirsi parte del Tutto, dell’Umanità e, persino, del Cosmo, vivere questa esperienza non solo sul piano mentale, ma anche su quello emotivo e perfino su quello fisico-percettivo, è l’esperienza massima della spiritualità.
Quella che comunemente viene definita un’esperienza contemplativa, estatica o mistica.
© Giovanni Lamagna