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Opportunità, limiti e rischi di facebook.

Facebook costituisce, come ben sanno coloro che lo frequentano da anni, una sorta di foro, agorà, di piazza o mercato moderni: offre pertanto occasioni e opportunità di incontro (e – perché no? –  di apprendimento) straordinarie.

Con la differenza (non piccola: è persino banale dirlo) che nei fori e nelle agorà di una volta l’incontro tra le persone era fisico, reale, oltre che emotivo, mentale, intellettuale; avveniva nel vis a vis.

Su facebook l’incontro è, invece, solo verbale, al massimo emotivo ed intellettuale; è, quindi, “virtuale”, per usare il linguaggio della Rete.

L’assenza del contatto fisico, vis a vis, non è ovviamente ininfluente; produce anzi effetti negativi importanti, significativi.

Il primo: in molti casi, ho l’impressione, che la Rete costituisca addirittura una sorta di difesa rispetto al coinvolgimento reale delle persone nel rapporto; è un contatto che resta emotivamente freddo, poco coinvolgente; che arriva alla soglia dell’intimità, ma sta bene attento a non attraversarla, a non superarla.

Tanto è vero che spesso le persone in contatto sulla rete, quando si incontrano fisicamente (nei rari casi in cui ciò avviene), molte volte fanno finta di non conoscersi; o, nel migliore dei casi, si riconoscono ma a stento si salutano.

Il secondo risultato è che gli scambi intellettuali sono molto meno trasformativi di quelli che una volta erano (e sono ancora oggi) i rapporti fisici, vis a vis: le parole scambiate, il più delle volte, scivolano sul cuore e sulla testa delle persone apparentemente entrate in contatto e non producono, quindi, veri e profondi cambiamenti.

Il terzo effetto negativo (il peggiore di tutti) è che non poche volte gli scambi comunicativi che avvengono in rete sono violenti, carichi di aggressività.

Come se la distanza consentisse sfoghi di violenza che la vicinanza fisica probabilmente limiterebbe.

A distanza, infatti, la violenza fa oggettivamente meno male e questo dà più facilmente la stura all’aggressività, che, quando si è a contatto fisicamente, si tende a controllare maggiormente, per i danni reali, persino fisici, che essa potrebbe generare.

Verrebbe da chiedersi, a questo punto: sono maggiori le opportunità o i limiti e i rischi di facebook?

La mia risposta a questa domanda è che molto dipende dalle persone che lo frequentano: ci sono persone per le quali facebook è una reale opportunità di crescita umana, altre per le quali è solo un rifugio, un’evasione dal mondo dei rapporti reali e, quindi, un fattore di regressione.

I rischi, beninteso, ci sono anche per le prime; il maggiore è quello di diventarne in qualche modo dipendenti e di scivolare, quindi, quasi senza rendersene conto, verso una forma di socializzazione che privilegia il contatto virtuale, in rete, a quello reale, fisico, vis a vis.

Ma anche le opportunità sono ben reali: innanzitutto perché su facebook ci è data possibilità di incrociare persone che non avremmo modo di conoscere nella vita reale, se non altro perché abitano e vivono a distanza (a volte notevole distanza) dal nostro luogo di residenza.

E in secondo luogo perché vi si incontrano sì persone di basso livello, che nel quasi anonimato dello spazio virtuale si sentono libere di sparare (come già faceva notare Umberto Eco) le più grandi imbecillità, ma vi si incontrano anche persone di notevole spessore umano e intellettuale, dalle quali si può imparare molto.

In altre parole facebook è un libro sempre aperto, che possiamo sfogliare quotidianamente, quando vogliamo, le cui pagine affrontano gli argomenti più diversi.

Sicuramente in maniera disordinata e persino caotica; ma dalle quali, altrettanto sicuramente, si possono apprendere molte cose, come se si sfogliasse un’enciclopedia autogestita dagli utenti, se queste pagine le si sa selezionare e sottoporre a vaglio critico.

© Giovanni Lamagna

Amore per la sapienza e amore per gli altri

Nel 1673, davanti all’offerta di un posto di professore di filosofia a Heidelberg, Spinoza declinò, perché una tale esposizione pubblica e una simile carica gli avrebbero impedito di essere libero in quello che pensava e scriveva.

Alle accademie e agli onori pubblici Spinoza ha sempre preferito le amicizie epistolari nutrite dal pensiero.

Non solo una parte importante delle sue opere è costituita da lettere, ma il primo luogo di discussione e genesi della sua filosofia è stato il gruppo dei suoi amici.

Si tratta della prima ragione della sua attualità: il luogo del pensiero non è la scuola o la piazza ma l’amicizia.

E’ solo tra amiche e amici che si può non solo pensare ma intrecciare conoscenza e amore (come fa il nome stesso “filosofia”) senza più poter distinguere l’uno dall’altra, l’incontro dei saperi dall’amore per gli altri…

Se l’amicizia è rara e difficile non è perché ha bisogno di intimità fisica ma perché può vivere solo ed esclusivamente di prossimità intellettuale”.

Così scriveva il 19 agosto 2020 Emanuele Coccia nelle pagine culturali de “la Repubblica”.

Mi sento molto espresso da queste parole o, meglio, da quello che esse raccontano. L’approccio di Spinoza alla filosofia – se posso permettermi un accostamento, che so essere del tutto indegno – è esattamente il mio; o, meglio, quello che vorrei avere io.

Innanzitutto perché anche per me il filosofo non è uno che aspira in primo luogo ad incarichi accademici: si è filosofi non perché si occupa o si aspira ad occupare una cattedra di filosofia; si è filosofi innanzitutto e soprattutto perché si ama la sapienza, cioè per un atteggiamento interiore, una modalità dello spirito, che non solo è altra cosa dalla professione di insegnante di filosofia, ma a volte addirittura contrasta (o può contrastare) con l’esercizio di questa professione.

Succede talvolta (non sempre, ma piuttosto spesso) che i peggiori filosofi siano proprio gli insegnanti di filosofia.

Mi riconosco molto, inoltre, nell’identificazione che si ritrova in Spinoza tra il sentimento dell’amore per la sapienza (la filosofia, appunto!) e quello dell’amore per gli amici.

Che mi ricorda il modo di intendere e di vivere la filosofia da parte di colui che potremmo considerare il padre stesso della filosofia, cioè Socrate, e di molti dei primi filosofi greci, in primis di Platone.

Non a caso la filosofia di Socrate non si è mai tradotta formalmente in libri, ma è giunta a noi riportata dai resoconti del suo principale allievo (e suppongo anche amico intimo) Platone.

E nella forma, non certo accademica, dei dialoghi. Come a voler significare che la filosofia si genera solo in un clima di amicizia; e che l’amicizia, la vera amicizia, l’amicizia profonda, si alimenta di conversazioni filosofiche.

Cosa sarebbe, infatti, un’amicizia che non vivesse anche di dialoghi continui sul senso e il mistero della vita, sul destino che ci aspetta, sulla vocazione assolutamente unica e irripetibile a cui ciascuno di noi è tenuto a rispondere?

Amicizia e filosofia, quindi, come dimensioni contigue, anzi indissolubili, dell’animo umano.

© Giovanni Lamagna