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Due modi di leggere.

Ci sono due modi di leggere.

Uno è il modo che definirei dell’evasione.

Leggendo in questo modo, ci si trasferisce in un altro mondo.

Per un qualche tempo – più o meno lungo – ci si allontana dal proprio mondo – più o meno felice, più o meno triste – e si sogna di stare da un’altra parte.

Poi, terminata la lettura, si ritorna nel proprio mondo, come se nulla fosse nel frattempo successo; come se la lettura fosse stata un semplice sogno, che, appena svegli, si mette subito da parte.

Questo tipo di lettura è caratterizzato dal divertimento, dal relax, dal riposo; è in fondo un hobby come altri.

Che non dico non lascia niente, ma certo non trasforma la persona lettrice.

Il secondo modo di leggere è quello dell’incontro, dell’avventura, del viaggio.

Leggere in questo modo significa incontrare persone – in primis l’autore del libro – ed esplorare terre sconosciute.

Conversare – in maniera ovviamente virtuale, ma non per questo irreale – con le persone incontrate e fare esperienze emotive e intellettuali.

Da questi incontri e da queste esperienze si esce sempre trasformati.

Dopo questo secondo tipo di lettura non si è più le stesse persone di prima, si è persone in qualche misura, più o meno profonda, nuove.

Non necessariamente migliori di prima, ma certamente diverse da prima.

© Giovanni Lamagna

Opportunità, limiti e rischi di facebook.

Facebook costituisce, come ben sanno coloro che lo frequentano da anni, una sorta di foro, agorà, di piazza o mercato moderni: offre pertanto occasioni e opportunità di incontro (e – perché no? –  di apprendimento) straordinarie.

Con la differenza (non piccola: è persino banale dirlo) che nei fori e nelle agorà di una volta l’incontro tra le persone era fisico, reale, oltre che emotivo, mentale, intellettuale; avveniva nel vis a vis.

Su facebook l’incontro è, invece, solo verbale, al massimo emotivo ed intellettuale; è, quindi, “virtuale”, per usare il linguaggio della Rete.

L’assenza del contatto fisico, vis a vis, non è ovviamente ininfluente; produce anzi effetti negativi importanti, significativi.

Il primo: in molti casi, ho l’impressione, che la Rete costituisca addirittura una sorta di difesa rispetto al coinvolgimento reale delle persone nel rapporto; è un contatto che resta emotivamente freddo, poco coinvolgente; che arriva alla soglia dell’intimità, ma sta bene attento a non attraversarla, a non superarla.

Tanto è vero che spesso le persone in contatto sulla rete, quando si incontrano fisicamente (nei rari casi in cui ciò avviene), molte volte fanno finta di non conoscersi; o, nel migliore dei casi, si riconoscono ma a stento si salutano.

Il secondo risultato è che gli scambi intellettuali sono molto meno trasformativi di quelli che una volta erano (e sono ancora oggi) i rapporti fisici, vis a vis: le parole scambiate, il più delle volte, scivolano sul cuore e sulla testa delle persone apparentemente entrate in contatto e non producono, quindi, veri e profondi cambiamenti.

Il terzo effetto negativo (il peggiore di tutti) è che non poche volte gli scambi comunicativi che avvengono in rete sono violenti, carichi di aggressività.

Come se la distanza consentisse sfoghi di violenza che la vicinanza fisica probabilmente limiterebbe.

A distanza, infatti, la violenza fa oggettivamente meno male e questo dà più facilmente la stura all’aggressività, che, quando si è a contatto fisicamente, si tende a controllare maggiormente, per i danni reali, persino fisici, che essa potrebbe generare.

Verrebbe da chiedersi, a questo punto: sono maggiori le opportunità o i limiti e i rischi di facebook?

La mia risposta a questa domanda è che molto dipende dalle persone che lo frequentano: ci sono persone per le quali facebook è una reale opportunità di crescita umana, altre per le quali è solo un rifugio, un’evasione dal mondo dei rapporti reali e, quindi, un fattore di regressione.

I rischi, beninteso, ci sono anche per le prime; il maggiore è quello di diventarne in qualche modo dipendenti e di scivolare, quindi, quasi senza rendersene conto, verso una forma di socializzazione che privilegia il contatto virtuale, in rete, a quello reale, fisico, vis a vis.

Ma anche le opportunità sono ben reali: innanzitutto perché su facebook ci è data possibilità di incrociare persone che non avremmo modo di conoscere nella vita reale, se non altro perché abitano e vivono a distanza (a volte notevole distanza) dal nostro luogo di residenza.

E in secondo luogo perché vi si incontrano sì persone di basso livello, che nel quasi anonimato dello spazio virtuale si sentono libere di sparare (come già faceva notare Umberto Eco) le più grandi imbecillità, ma vi si incontrano anche persone di notevole spessore umano e intellettuale, dalle quali si può imparare molto.

In altre parole facebook è un libro sempre aperto, che possiamo sfogliare quotidianamente, quando vogliamo, le cui pagine affrontano gli argomenti più diversi.

Sicuramente in maniera disordinata e persino caotica; ma dalle quali, altrettanto sicuramente, si possono apprendere molte cose, come se si sfogliasse un’enciclopedia autogestita dagli utenti, se queste pagine le si sa selezionare e sottoporre a vaglio critico.

© Giovanni Lamagna

Ombra, persona e rapporti.

Ogni giorno che passa noi possiamo fare un passo (o più passi) in avanti, per far emergere la parte di noi che è in ombra. Che è quasi sempre la nostra parte più vera.

Come possiamo fare anche l’inverso: cioè consolidare la parte di noi che appare all’esterno, quella che Jung chiama “persona”, cioè la “maschera” con cui ci mostriamo agli altri.

Nel primo caso diventiamo ogni giorno un po’ più autentici o un po’ meno inautentici e falsi.

Nel secondo caso avviene l’opposto: diventiamo ogni giorno più falsi e inautentici, perché uccidiamo la nostra natura più vera.

Le nostre relazioni non potranno non risentire (nel bene o nel male) di questo nostro cammino.

Infatti, perché un rapporto sia vero, autentico, cresca, evolva positivamente, occorre che entrambi i soggetti che sono in relazione si impegnino a rivelare ogni giorno di più la parte di sé che è in ombra e a smontare la parte di sé che è “persona”.

Se non lo fanno, il rapporto diventerà sempre meno autentico, ristagnerà, si impantanerà e prima o poi finirà nelle secche della incomunicabilità, della routine banale, superficiale.

Se lo fa uno solo dei due, il rapporto andrà ugualmente in crisi.

Chi farà il lavoro di emersione dall’ombra del suo Sé più autentico, gettando (metaforicamente) la maschera, si sentirà incompreso e diventerà insofferente.

Chi resisterà a rimanere “persona”, a mascherare in qualche modo il suo Sé più autentico, si sentirà giudicato dall’altro/a e reagirà con la fuga o l’evasione.

Allora entrambi probabilmente cercheranno altrove quello che non trovano più nel rapporto.

Giovanni Lamagna