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Attaccamento alla vita e amore per la vita.

L’attaccamento eccessivo alla vita non equivale affatto all’amore per la vita.

L’amore per la vita, infatti, presuppone un certo distacco dalla vita stessa.

Un atteggiamento di abbandono, che è il contrario dell’attaccamento, dell’aggrapparsi alla vita.

L’amore per la vita mette in conto (e vi si conforma) anche il destino inesorabile della vita.

Che è la morte.

Ama la vita nonostante la morte.

L’attaccamento alla vita, invece, rimuove, respinge, l’idea della morte.

© Giovanni Lamagna

Sull’inconscio.

Secondo Lacan “il soggetto dell’inconscio non è il contrario della ragione, non è il suo opposto irriducibile, …” (Massimo Recalcati; “Un cammino nella psiconalisi”; Mimesis 2016; p. 147).q

Ma, a mio avviso, non è neanche “una sua espressione fondamentale”, come invece sostiene lo stesso Lacan (ibidem).

Per me l’inconscio è un misto di razionale e irrazionale, di ragione ed emozione, di passione e sapere.

È il luogo della verità fondamentale del soggetto, laddove risiede la sua “passione più singolare”, il sito dove alberga il suo desiderio più profondo.

Ma è anche il luogo dove risiedono le sue pulsioni (potenzialmente) omicide e suicide, le sue tendenze necrofile, autodistruttive e distruttive.

© Giovanni Lamagna

Il mio antidoto alla frenesia e al logorio della vita moderna.

Vedo, constato, che, in questa nostra epoca nella quale la velocità è diventata un valore principe, la grande maggioranza delle persone corre, si affanna, fa le cose senza un attimo di tregua, senza mai tirare il fiato.

Come presa da un ingranaggio al quale non riesce a sottrarsi, ma che anzi forse le piace perfino assecondare, in certi casi addirittura autolesionisticamente e, quindi, masochisticamente.

Io, invece, a differenza di questa maggioranza, amo stare il più possibile fermo, seduto, a pensare, a riflettere, a meditare, a contemplare, a connettermi con la parte di me più intima e nascosta, con il mio io profondo.

È questo il mio status fondamentale, stavo quasi per dire il mio lavoro odierno, specie da quando sono andato in pensione e non vado più a lavorare.

L’ho scelto e lo preferisco anche a costo di apparire (anzi, essere) un po’ lento, se non proprio passivo, nelle mie reazioni agli stimoli esterni o eccessivamente statico, inattivo.

E, forse, questo mio atteggiamento, ne sono consapevole, può indurre reazioni negative nei miei confronti da parte di alcuni, che possono giudicarlo persino indolente, pigro.

Eppure niente e nessuno riesce a smuovermi, a distogliermi da questa mia postura fondamentale.

Quasi mi fossi assegnato un compito: quello di andare contro corrente, di compensare con una loro aggiunta, un loro surplus, un loro eccesso, la carenza di lettura-meditazione-contemplazione, direi addirittura di anima, di spiritualità, che a me sembra caratterizzare il muoversi frenetico, in certi casi e momenti addirittura caotico e agitato, della maggior parte dei miei simili.

Cosa è, infatti, l’agire senza il necessario distacco e, quindi, senza una quota parte di pensiero, di riflessione, di meditazione, se non un inutile e a volte persino sciocco girare a vuoto?

Non che sia tale o che giudichi tale la maggior parte delle azioni degli uomini che mi circondano; non arrivo a pensare questo; anche se talvolta, anzi in molti casi – devo confessarlo – tale pensiero mi sfiora.

È che, forse, a mio giudizio, un po’ più di riflessione prima di agire, prima di tradurre un impulso istintivo o puramente emotivo in azione, non farebbe male; anzi!

È a questa carenza, a questa deficienza di consapevolezza, che ritengo voglia (lo ammetto: forse presuntuosamente), quasi per un istinto o per un riflesso condizionato uguale e contrario, sopperire il mio non-agire, il mio “stare fermo”.

Che, forse, per altri aspetti, non lo nego, arriva ad essere anch’esso negativo, per motivi opposti, soprattutto quando eccede, quando supera un certo livello.

Come se esso (forse mi illudo in questo) potesse essere il necessario o, quantomeno, utile bilanciamento di altri eccessi; quelli che vedo prevalere attorno a me.

© Giovanni Lamagna