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La Rete e la realtà dei rapporti umani
Scrive Franco Arminio ( in “La cura dello sguardo”; Bompiani 2020; pag. 89-90) : “La Rete ha creato un mondo di solitari che aspettano ogni giorno una parola che non arriva e se arriva non è mai bastevole. Primo e ultimo gesto della giornata: accendere e spegnere il telefonino. È come portarsi dietro una bombola di ossigeno vuota. Non c’è aria in Rete, è solo un traffico di ombre. E quello che una volta si chiamava mondo reale è un deserto.“
Come sono vere queste parole! La Rete dà un senso di onnipotenza assolutamente illusorio e copre con il suo luccichio di mille “amicizie” il buio pesto della povertà di relazioni reali.
Eppure la Rete sarebbe in potenza (e in parte, seppure minima, lo è) un formidabile strumento, canale, per mettere in comunicazione le persone, il punto di partenza per avviare e costruire amicizie reali, rapporti veri e non solo virtuali.
Ma in quanti casi succede questo? In quanti casi all’iniziale contatto e amicizia virtuali fanno seguito l’incontro fisico e l’amicizia reale?
A me pare mai o quasi mai. Ed anche quando, in rarissimi casi, sembra succedere, poi la cosa dopo un po’ si rivela un bluff, un’illusione: l’amicizia virtuale sfuma, si ecclissa.
Come se la Rete fosse un mondo fantastico, di sogno appunto, che non avesse niente a che fare col mondo reale, delle relazioni vere. Cosa triste, triste assai!
Posso sbagliarmi, ma mi appare proprio questa la realtà: la maggior parte delle persone si affaccia da questo schermo, apparentemente in cerca (a volte sembra quasi disperata) di un contatto e di un rapporto umano.
In realtà ha bisogno di rimanere nascosta dietro di esso perché dei rapporti umani reali ha in fondo paura e lo schermo del computer o dello smartphone rappresenta il suo muro di difesa, la sua maschera.
Anche in questo si manifesta la profonda ambiguità e ambivalenza della psiche di noi umani, che da un lato manifestiamo un formidabile, intenso, a volte addirittura spasmodico e ossessivo bisogno di contatto e di relazioni, dall’altro ci portiamo dentro (e riveliamo prima o poi all’esterno) un timore profondo di entrare in relazione con gli altri, quasi la paura di esserne risucchiati, assorbiti, annullati nella nostra identità.
© Giovanni Lamagna