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La gelosia si può educare.
Certo che gelosia, orgoglio ferito, delusione, rabbia fanno parte della natura umana; che in buona parte è simile a quella degli altri animali!
Ma l’uomo, a differenza degli altri animali, ha una coscienza e un’intelligenza che possono aiutarlo a divenire consapevole dei suoi impulsi e ad educarli, per non restarne prigioniero.
L’uomo – volendo – si può educare a non essere possessivo, a non considerare l’altro/a una sua proprietà; e, quindi, a non essere più geloso.
Tra l’altro io sento che, quando l’altro/a non ci appartiene mai del tutto e in qualche modo ci sfugge, si sviluppa in noi un’adrenalina, un’eccitazione, che appassisce, muore, quando egli/ella sono invece per noi troppo scontati.
Un rapporto in cui non c’è la presenza di un “terzo” (quantomeno immaginario, simbolico) tende a diventare fatalmente “incestuoso”, più fraterno e amicale, che passionale ed erotico.
Accettare questa presenza ha (può avere) due effetti: ci aiuta a diventare meno possessivi e gelosi nei confronti di un nostro “rivale” (potenziale o reale) ed alimenta il nostro desiderio nei confronti del “nostro” partner.
© Giovanni Lamagna
Madre, moglie e amante.
Nessuna donna potrà essere una buona madre se non sarà prima di tutto una buona moglie o compagna del suo uomo.
E, se dopo essere diventata madre e ad aver assolto per una certa fase al compito primario e impegnativo della cura e dell’allevamento dei figli, non tornerà ad essere prima o poi innanzitutto una moglie o una compagna.
O, meglio e per dirla tutta, l’amante del proprio uomo: nel senso propriamente erotico e sessuale del termine; recuperando appieno non solo la propria vita sessuale ma anche la propria femminilità e il proprio erotismo.
Cosa che, invece, non sempre accade; o, perlomeno, non è scontato che accada.
Anzi – se proprio vogliamo dirla tutta – molto spesso non accade.
Perché la donna molto spesso, una volta diventata madre, rimane prigioniera a vita, di questo suo ruolo di madre.
E, invece, – è questo che ci tengo a sottolineare qui – solo se tornerà ad essere prima di tutto l’amante del suo uomo, la donna riuscirà a trovare l’energia per separarsi dal figlio.
Così da favorirne il giusto distacco e allontanamento; e, quindi, una crescita sana, una positiva evoluzione.
Dimostrandosi in questo modo (e solo in questo modo) una buona e brava madre.
La madre, invece, che vuole tenere legato a sé il figlio (o la figlia), che fa del figlio (o della figlia) un sostituto (asessuato e sublimato) del marito, tutto è tranne che una buona e brava madre.
Anche se tenderà a spendersi questa immagine all’esterno e nell’immaginario collettivo sarà pure ritenuta, riconosciuta, confermata, come tale.
Mentre l’altra, la madre che tornerà a fare l’amante, sarà magari ritenuta una cattiva madre, solo perché non si riduce ad essere tutta “serva” e “tappetino” dei propri figli.
Perché avrà rotto il cordone ombelicale (anche quello simbolico) che correva il rischio di tenerla legata a vita in maniera simbiotica al figlio o ai figli.
© Giovanni Lamagna
Amore ossessione,amore mania.
C’è chi per amore (parlo qui, ovviamente, dell’amore erotico) diventa ossessivo e maniacale.
Ma l’amore, specie nella fase dell’innamoramento, non è sempre (almeno un po’, in alcuni di più, in altri di meno) ossessivo e maniacale?
Non è l’amore, specie nella fase dell’innamoramento, una forma di ossessione e di mania?
Io penso di sì; altrimenti sarebbe pura amicizia, che è un sentimento molto più pacato e tranquillo dell’amore, specie dell’innamoramento.
© Giovanni Lamagna
Ogni atto sessuale è una sorta di orgia.
Penso che un atto sessuale, qualsiasi atto sessuale, anche il più sbrigativo e veloce, anche il più semplice, intimo, privato ed affettuoso, sia sempre un atto che coinvolge più persone, anche se solo a un livello fantasmatico.
È quindi sempre – spero con questa affermazione di non offendere la sensibilità di alcuno – una sorta di orgia.
Perché nell’atto sessuale (come del resto in qualsiasi altro atto della nostra vita) non è coinvolta solo la persona con la quale lo stiamo realizzando, ma lo sono anche tutte le persone, reali o virtuali, che hanno avuto un significato nel corso della nostra vita.
A cominciare ovviamente dai nostri genitori, dai nostri fratelli e sorelle, dai nostri parenti più stretti, dai nostri amici, da tutti coloro sui quali abbiamo fatto (consciamente o inconsciamente) degli investimenti di natura erotico/sessuale.
© Giovanni Lamagna
Eros è figlio di Penia.
L’amore (parlo qui di quello specifico amore che è l’amore erotico) dura fin quando nell’altro rimane un residuo di incognito, di sconosciuto, financo di mistero per me.
Ovverossia una zona/territorio che mi resta ancora da esplorare, qualcosa che ancora mi manca, un che non ancora diventato “mio”.
Quando l’altro è diventato per me una carta del tutto conosciuta, un territorio di cui non ho più nulla da esplorare, perché mi è oramai totalmente noto, l’eros fatalmente appassisce.
E, nel migliore dei casi, diventa altra cosa: amore fraterno, se non addirittura materno o paterno (ovviamente in senso simbolico).
Eros è figlio di Penia, la dea che, nella mitologia greca, personificava la povertà e il bisogno.
© Giovanni Lamagna
Due modi di fare sesso.
Esistono due modi di fare sesso, profondamente diversi tra di loro.
Il primo mira essenzialmente alla penetrazione del fallo nella vagina e all’accettazione-accoglimento del fallo da parte della vagina.
E’ il modo tipicamente maschile (o, perlomeno, quello più diffuso tra i maschi) di fare l’amore o, sarebbe meglio dire, di fare sesso.
Utilizzando al posto della vagina un organo od organi diversi questo è anche il modo di alcuni omosessuali di fare sesso.
E’ un modo che differisce, come è del tutto evidente, poco o nulla dal modo degli altri animali di congiungersi sessualmente.
Esso si basa sulla seguente sequenza, biologico-fisiologica più che psicologica: insorgenza di una pressione ormonale, incontro con lo stimolo sessuale in grado di farla sfogare, accoppiamento, soddisfazione e liberazione della pressione ormonale attraverso l’orgasmo.
Questa modalità di fare sesso abbisogna di tempi molto rapidi: alcuni secondi, al massimo alcuni minuti.
L’altro modo è più tipico della femminilità, nel senso che è più diffuso tra le femmine.
Anche se alcune femmine prediligono pure loro il primo modo: sono forse le femmine che hanno dei problemi non del tutto risolti con la loro sessualità e che vivono (e preferiscono vivere) l’atto sessuale (almeno a livello di fantasia inconscia) come una sorta di violenza da subire e non di relazione del tutto paritaria e reciproca da condividere.
Questa fantasia inconscia, forse (è l’ipotesi che faccio), consente loro di deresponsabilizzarsi rispetto all’atto vissuto e di goderne (quando e seppure ne godono) senza una piena consapevolezza e consensualità.
Questo secondo modo di vivere la sessualità, che ho definito più tipicamente – anche se non necessariamente – femminile, si basa sulla sequenza, che – al contrario della prima – è psicologica almeno allo stesso modo che biologico-fisiologica: insorgenza della pressione ormonale, incontro col potenziale oggetto sessuale, nascita del desiderio, cerimoniali di seduzione, prolungati preliminari sessuali non ancora genitali, accoppiamento (neanche del tutto e sempre indispensabile) degli organi genitali, infine liberazione della pressione ormonale attraverso l’orgasmo.
Per questo modo di fare sesso, la fase dei preliminari, che precede il vero e proprio accoppiamento, è la fase, potremmo dire, più importante del rapporto, quella che lo rende propriamente umano, in quanto lo contraddistingue nettamente dal modo di fare sesso degli altri animali.
In questa fase un ruolo fondamentale, primario, lo rivestono i baci, gli abbracci e le carezze: si fa sesso con l’intero corpo e non solo con gli organi genitali.
Ma lo rivestono anche gli sguardi, gli odori, i profumi, i sapori, i suoni (sospiri, gemiti, urla…): si fa sesso con tutti e cinque i sensi e non solo con uno o, al massimo, due.
Lo rivestono, infine, anche il contesto (mi verrebbe di dire) scenico, il luogo, nel quale si fa sesso (per alcuni deve essere quello tradizionale della camera da letto; altri prediligono la natura, altri ancora posti insoliti e strani, che devono dare il senso della trasgressione…) e poi l’abbigliamento, le movenze del corpo, alcuni gesti allusivi e seduttivi, il ricorso ad alcuni rituali ed oggetti (che potremmo definire feticci) e, per chiudere, l’uso della parola, del racconto, a volte del turpiloquio: si fa sesso non solo col corpo e con i sensi, ma anche (se non soprattutto) con la mente e l’immaginazione, la fantasia.
Inutile dire che questa seconda modalità di fare sesso richiede tempi molto più lunghi del primo: chi la sceglie può arrivare a fare sesso per ore o anche per intere giornate.
In conclusione: nel primo modo di fare sesso (quello che all’inizio ho definito “maschile”, non in quanto genere, ma in quanto categoria, quasi archetipica) il corpo dell’altro è vissuto come puro oggetto, pretesto per un atto che è prevalentemente fisiologico, con caratteristiche che potremmo definire perfino (e al limite) onanistiche.
Nel secondo modo di fare sesso, invece, più che il corpo viene in risalto la psicologia, l’intera persona dell’altro/a; l’atto non è solo sessuale, ma erotico in senso pieno: è un vero incontro con l’altro/a e in quanto tale può essere definito atto d’amore; sesso e amore convergono, si unificano, non sono più separati.
© Giovanni Lamagna