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Due modi di fare sesso.

Esistono due modi di fare sesso, profondamente diversi tra di loro.

Il primo mira essenzialmente alla penetrazione del fallo nella vagina e all’accettazione-accoglimento del fallo da parte della vagina.

E’ il modo tipicamente maschile (o, perlomeno, quello più diffuso tra i maschi) di fare l’amore o, sarebbe meglio dire, di fare sesso.

Utilizzando al posto della vagina un organo od organi diversi questo è anche il modo di alcuni omosessuali di fare sesso.

E’ un modo che differisce, come è del tutto evidente, poco o nulla dal modo degli altri animali di congiungersi sessualmente.

Esso si basa sulla seguente sequenza, biologico-fisiologica più che psicologica: insorgenza di una pressione ormonale, incontro con lo stimolo sessuale in grado di farla sfogare, accoppiamento, soddisfazione e liberazione della pressione ormonale attraverso l’orgasmo.

Questa modalità di fare sesso abbisogna di tempi molto rapidi: alcuni secondi, al massimo alcuni minuti.

L’altro modo è più tipico della femminilità, nel senso che è più diffuso tra le femmine.

Anche se alcune femmine prediligono pure loro il primo modo: sono forse le femmine che hanno dei problemi non del tutto risolti con la loro sessualità e che vivono (e preferiscono vivere) l’atto sessuale (almeno a livello di fantasia inconscia) come una sorta di violenza da subire e non di relazione del tutto paritaria e reciproca da condividere.

Questa fantasia inconscia, forse (è l’ipotesi che faccio), consente loro di deresponsabilizzarsi rispetto all’atto vissuto e di goderne (quando e seppure ne godono) senza una piena consapevolezza e consensualità.

Questo secondo modo di vivere la sessualità, che ho definito più tipicamente – anche se non necessariamente – femminile, si basa sulla sequenza, che – al contrario della prima – è psicologica almeno allo stesso modo che biologico-fisiologica: insorgenza della pressione ormonale, incontro col potenziale oggetto sessuale, nascita del desiderio, cerimoniali di seduzione, prolungati preliminari sessuali non ancora genitali, accoppiamento (neanche del tutto e sempre indispensabile) degli organi genitali, infine liberazione della pressione ormonale attraverso l’orgasmo.

Per questo modo di fare sesso, la fase dei preliminari, che precede il vero e proprio accoppiamento, è la fase, potremmo dire, più importante del rapporto, quella che lo rende propriamente umano, in quanto lo contraddistingue nettamente dal modo di fare sesso degli altri animali.

In questa fase un ruolo fondamentale, primario, lo rivestono i baci, gli abbracci e le carezze: si fa sesso con l’intero corpo e non solo con gli organi genitali.

Ma lo rivestono anche gli sguardi, gli odori, i profumi, i sapori, i suoni (sospiri, gemiti, urla…): si fa sesso con tutti e cinque i sensi e non solo con uno o, al massimo, due.

Lo rivestono, infine, anche il contesto (mi verrebbe di dire) scenico, il luogo, nel quale si fa sesso (per alcuni deve essere quello tradizionale della camera da letto; altri prediligono la natura, altri ancora posti insoliti e strani, che devono dare il senso della trasgressione…) e poi l’abbigliamento, le movenze del corpo, alcuni gesti allusivi e seduttivi, il ricorso ad alcuni rituali ed oggetti (che potremmo definire feticci) e, per chiudere, l’uso della parola, del racconto, a volte del turpiloquio: si fa sesso non solo col corpo e con i sensi, ma anche (se non soprattutto) con la mente e l’immaginazione, la fantasia.

Inutile dire che questa seconda modalità di fare sesso richiede tempi molto più lunghi del primo: chi la sceglie può arrivare a fare sesso per ore o anche per intere giornate.

In conclusione: nel primo modo di fare sesso (quello che all’inizio ho definito “maschile”, non in quanto genere, ma in quanto categoria, quasi archetipica) il corpo dell’altro è vissuto come puro oggetto, pretesto per un atto che è prevalentemente fisiologico, con caratteristiche che potremmo definire perfino (e al limite) onanistiche.

Nel secondo modo di fare sesso, invece, più che il corpo viene in risalto la psicologia, l’intera persona dell’altro/a; l’atto non è solo sessuale, ma erotico in senso pieno: è un vero incontro con l’altro/a e in quanto tale può essere definito atto d’amore; sesso e amore convergono, si unificano, non sono più separati.

© Giovanni Lamagna

Che cos’è lo Spirito?

13 aprile 2016

Che cos’è lo Spirito?

A commento di un mio post, che parlava di “vitalità spirituale”, un “amico” di facebook mi ha fatto la seguente domanda: “Dicci allora qualcosa dello Spirito. Ne abbiamo sentito parlare spesso e molto, ma ci sembra ancora qualcosa di sfuggente, inclassificabile, inattingibile, misterioso. Che cos’è lo Spirito?”

Io ho risposto come di seguito.

La domanda è molto pertinente e stimola una riflessione utile e per me importante.

Provo a dare una risposta, che ovviamente è “la mia verità” e non ha nessuna pretesa di essere “la Verità”.

Quello che lei chiama “Spirito” è per me una realtà molto materiale e concreta, per niente “altra cosa” dalla materia e dal corpo. Come lo è, invece, per alcune religioni, anzi per la maggior parte di esse.

Per le quali l’anima è una cosa e il corpo un’altra. Il corpo, infatti, per la maggior parte delle religioni, è una realtà materiale e, quindi, mortale. L’anima è una realtà del tutto spirituale, che sopravvivrà al corpo.

Per me l’anima (o, meglio, la psiche) non è una realtà separabile dal corpo. Essa farà la stessa fine del corpo. Non sopravvivrà al corpo, quando questo avrà esalato l’ultimo respiro. Tutt’al più si trasformerà in altra cosa, così come il corpo. Ma “altra cosa” sempre materiale, cioè sempre legata alla consistenza materiale di questo mondo.

Non a caso io non ho parlato di Spirito, ma di “vitalità spirituale”.

La “vitalità spirituale” è (per me) una caratteristica propria degli uomini (e delle donne, ovviamente), che hanno saputo trovare dentro di loro un sapiente e armonioso equilibrio tra la loro parte istintuale, quella emotivo/affettiva e quella intellettuale/razionale.

Degli esseri umani che non si sono fatti catturare e imprigionare dalla loro parte istintuale o da quella emotivo/affettiva o da quella intellettuale/razionale. Ma hanno fatto di queste tre parti una sintesi armoniosa e perciò vitale, creativa.

Anche se parlare di “parti” è ovviamente, come ben si può comprendere, solo una convenzione intellettuale, che non rispecchia la realtà.

In quanto la realtà dell’uomo non è fatta di parti, ma è un tutto, le cui parti si integrano tra di loro e non potrebbero mai vivere separate tra di loro.

Allo stesso modo che non potremmo avere un cervello che funzionasse a prescindere dal cuore o uno stomaco a prescindere dal fegato. E viceversa. Per parlare solo degli organi più importanti del corpo.

E tuttavia, pur essendo parti di un tutto integrato, non sempre (anzi quasi mai) le tre dimensioni fondamentali della psiche umana (istinti/pulsioni, emozioni/sentimenti, intelligenza) funzionano negli esseri umani in armonia tra di loro.

Come (e allo stesso modo) non sempre i vari organi del corpo funzionano in armonia tra di loro.

In questi casi si dà malattia, patologia.

Nel caso del corpo una patologia fisica. Nel caso della psiche una patologia “spirituale”. Ma altrettanto reale. Che dà origine a quella che io ho definito come una mancanza o deficienza di “vitalità spirituale”.

Alcune volte queste due patologie sono autonome, separate tra di loro, del tutto indipendenti l’una dall’altra.

Ma, in non pochi casi, c’è una correlazione tra di esse L’una influenza e rafforza l’altra.

Una malattia psichica può provocare danni anche di tipo somatico.

Come una malattia del corpo può ingenerare depressione e, quindi, ammalare anche l’anima.

Giovanni Lamagna