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Istinto, pulsione, desiderio e “legge di castrazione”.

Il puro istinto per diventare pulsione e, quindi, desiderio, nell’uomo ha sempre bisogno di trovare un ostacolo, un freno, un limite.

Quella che Massimo Recalcati (con il suo maestro Lacan) chiama “la legge della castrazione”.

La quale non impedisce né vieta affatto il godimento, ma semplicemente lo sposta dal suo primo oggetto (la “Cosa” materna) e lo rinvia ad altri oggetti.

Nel desiderio, pertanto, non c’è mai piena e totale corrispondenza tra la spinta a desiderare e l’oggetto desiderato.

Permane sempre una distanza, una mancanza.

Ma è proprio questa, che – come del resto ci insegna il mito – alimenta il desiderio e lo tiene non solo costantemente vivo, ma lo rende – a differenza del puro istinto animale – strutturalmente “perverso e polimorfo”.

© Giovanni Lamagna

Pulsione e istinto.

La pulsione è cosa molto diversa dall’istinto.

La pulsione è la trasformazione – più o meno varia e profonda – che dell’istinto fa la cultura.

L’istinto è dell’animale, la pulsione è dell’uomo.

Faccio solo due esempi di cosa significa questa distinzione.

L’animale – in base al suo istinto – si accontenta di ingurgitare cibo; quello che trova e dove lo trova.

L’uomo apparecchia la tavola e si inventa delle ricette per cucinare.

L’animale si accoppia sessualmente nell’unico modo che conosce; sempre lo stesso.

L’uomo lo fa in una varietà di modi e di forme; è “perverso e polimorfo”, per dirla con Freud.

© Giovanni Lamagna

Erotismo e sessualità.

L’erotismo è molto di più del semplice atto sessuale.

Non coincide – come ben sanno quelli che l’hanno sperimentato, almeno qualche volta – con il semplice esercizio della sessualità.

L’atto sessuale in sé è, in fondo, quasi sempre uguale, ripetitivo, tranne che per pochissime e piccolissime variazioni.

Basti vedere quello degli animali.

Possiamo anche dire che è un atto puramente meccanico, come quello del semplice mangiare.

L’erotismo, invece, è “perverso e polimorfo”; comprende infinite e imprevedibili variazioni; ed è specificamente umano.

Coinvolge la psiche più (e prima ancora) che il fisico.

Ha a che fare coi preliminari e con il contesto dell’atto sessuale, più che con l’atto sessuale vero e proprio.

È impraticabile, pertanto, senza fantasia e immaginazione.

E – dico di più – senza eleganza, senza una certa lentezza e, soprattutto, senza dei rituali.

È paragonabile, insomma, non al mangiare, che serve a soddisfare e appagare un bisogno puramente fisiologico, quello della fame, ma al piacere di mettersi a una tavola imbandita con gusto, in compagnia di persone divertenti e amabili, di godere di un cibo non solo commestibile, ma saporito e preparato con arte.

L’uomo erotico è paragonabile all’amante del buon cibo, al buongustaio, non all’affamato che mette sotto i denti qualsiasi cosa gli capiti a tiro pur di soddisfare il più primitivo e fondamentale dei bisogni.

Anzi, a dirla tutta, l’erotismo non mira tanto a soddisfare un bisogno, quanto ad appagare dei desideri, delle voglie e, prima ancora, delle fantasie.

L’erotismo ha a che fare – come molte volte ha affermato James Hillman – con l’immaginazione prima che con la realtà.

È immaginazione realizzata.

Potremmo dire, infine, per restare nel paragone/metafora col cibo: il sesso è omologo al fast-food, l’erotismo allo slow-food.

© Giovanni Lamagna

Pornografia ed erotismo.

C’è una differenza abissale tra pornografia ed erotismo.

Associabile a quella che passa tra istinto e pulsione.

L’istinto appartiene all’uomo come a tutti gli altri animali.

La pulsione, invece, è propria, specifica degli uomini.

La pulsione è l’istinto raffinato, elaborato, l’istinto diventato cultura.

E’ l’istinto “perverso e polimorfo” di cui parla Freud, a proposito della sessualità.

Ma la stessa definizione potrebbe essere data anche di tutti gli altri istinti umani; o, meglio, di tutte le altre pulsioni.

L’istinto animale è unidirezionale e uniforme.

L’istinto umano è (o, meglio, tende ad essere) “perverso e polimorfo”; quindi pulsione.

E più è “perverso e polimorfo” più è umano.

Più è unidirezionale e uniforme più è – semplicemente, naturalmente – animale.

Faccio solo due esempi per evidenziare la profonda differenza: il primo relativo alla sessualità, di cui hanno parlato abbondantemente Freud e la psicoanalisi; il secondo relativo alla fame.

Negli animali la sessualità è mossa esclusivamente dall’istinto verso l’accoppiamento, generato dall’eccitazione sessuale.

Nell’uomo la sessualità trova indubbiamente nello stesso istinto degli animali la sua spinta primordiale.

Ma, mentre negli animali questo istinto si esprime in forme quasi meccaniche, sostanzialmente uguali per tutti gli animali, ripetitive e uniformi, nell’uomo si esprime nelle forme più varie (è, appunto, “polimorfo”), non solo a seconda degli individui, dei loro temperamenti, caratteri, culture e fasi della loro vita, ma anche a seconda dei tempi/contesti storici e dei luoghi/contesti geografici.

In altre parole, a differenza che negli animali, la sessualità negli uomini si fa storia e cultura.

Inoltre, mentre negli animali l’istinto sessuale è davvero solo “al servizio della specie”, cioè al servizio della riproduzione della specie (come affermava Schopenhauer di tutti gli animali, compreso l’uomo), per gli uomini l’istinto sessuale è anche, se non soprattutto, uno dei fattori principi del piacere e una spinta a relazionarsi all’altro/a in maniera empatica, simpatetica, affettiva, sentimentale.

Per questo nell’uomo l’istinto sessuale può definirsi “perverso”, nel senso che si perverte, allontana (almeno in parte) dal suo scopo principale, quello per cui lo ha previsto la natura, e ne acquisisce un altro, ben più complesso e articolato.

La stessa cosa avviene con la fame, l’istinto a cibarsi, a mettere cioè carburante nel nostro motore, per tenerlo in vita, per assicurargli la sopravvivenza.

Gli animali soddisfano questo istinto ingurgitando qualsiasi cosa trovino sulla loro strada, con l’unica differenza che alcuni di essi sono erbivori, altri carnivori.

Gli uomini, invece, non si accontentano di ingurgitare, gli uomini mangiano (che è cosa diversa dal semplice ingurgitare); in certi casi addirittura cucinano i loro cibi, non li mangiano crudi, così come li trovano in natura.

Non mangiano, quindi, solo per soddisfare un istinto, mangiano per soddisfare anche un gusto, un piacere, il piacere del cibo.

Ecco allora che anche in questo caso, come nel caso della sessualità, il mangiare diventa “perverso e polimorfo”.

“Perverso”, nel senso che si allontana, perverte, dal suo fine primario, che è quello di garantire la semplice sopravvivenza.

“Polimorfo”, nel senso che si soddisfa nelle forme più varie, complesse ed elaborate, a seconda degli individui, dei tempi e dei luoghi e, quindi, si fa storia e cultura.

La differenza tra ciò che rientra nella categoria di pornografia e ciò che possiamo considerare invece come erotismo (per tornare al punto da cui è iniziata questa riflessione) trova qui la sua radice: nella differenza tra istinto e pulsione.

La pornografia rappresenta l’atto sessuale e tutto ciò che ha a che fare col sesso come pura espressione di un istinto rozzo, primitivo, potremmo dire persino bestiale.

L’erotismo, invece, li rappresenta come manifestazione di una pulsione molto più complessa, evoluta, raffinata del semplice istinto; dunque specificamente umana.

© Giovanni Lamagna

L’uomo, la donna, il rapporto con la nudità e con la sessualità. (Genesi 3, 7)

3 ottobre 2015

L’uomo, la donna, il rapporto con la nudità e con la sessualità. (Genesi 3, 7)

3,7 Allora si aprirono gli occhi ad entrambi e s’accorsero che erano nudi; unirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture.

Adamo ed Eva, dopo aver disubbidito a Dio per ubbidire al serpente, cioè alla loro natura di esseri fatti non solo di “spirito” ma anche di “terra”, “aprirono gli occhi”.

Cosa vuol dire questa espressione? Non certo che non avessero gli occhi aperti anche prima e che prima non vedessero. Dunque, con tutta evidenza, li aprirono ad una nuova vista, videro le cose con occhi nuovi, in una nuova ottica “… e si accorsero che erano nudi…”.

La nudità che prima, fino ad allora, non era stata per loro un problema (come continuava a non esserlo per gli altri animali del creato) fu da questo momento in poi un problema: l’uomo e la donna diventarono animali pudichi, come nessun altro animale lo è.

Allora “… unirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture”; in altre parole coprirono i loro organi sessuali.

Perché (viene naturale chiedersi) non coprirono (anche) le altre parti del corpo, perché coprirono solo gli organi sessuali.?

Perché evidentemente sono solo queste le zone del corpo che generano vergogna. Non a caso in un certo linguaggio sono passate alla storia con il termine di “pudenda”, cioè “le parti del corpo di cui si ha vergogna”.

E perché gli organi sessuali generano vergogna? Perché nessun altro organo del corpo umano genera vergogna, mentre quelli sessuali la generano?

Non è facile dare una risposta a questa domanda. Ci provo.

Perché (io penso) agli organi sessuali è legato, dagli organi sessuali si genera il bisogno/desiderio più potente presente in natura, dopo quelli legati alla fame, alla sete e al sonno.

Non solo. Ma dagli organi sessuali si genera un bisogno/desiderio, che per sua natura è “perverso e polimorfo”, come ha detto Freud.

E’ perverso perché può essere destinato a fini altri rispetto a quello canonico, per il quale sembra essere stato pensato: la procreazione. Un fine perverso della sessualità è, infatti, il piacere, il godimento fine a se stesso.

E’ polimorfo perché questo piacere/godimento può assumere le forme di soddisfazione le più diverse, non obbedisce a canoni rigidi e precostituiti, come, invece, la fame, la sete e il sonno.

Letto, visto in questo modo, è un bisogno/desiderio, se non proprio ingovernabile, certo difficile da governare da parte dell’individuo, che rischia quindi la perdita di controllo, la dispersione, la dissipazione e, in certi casi limite, addirittura la disintegrazione della propria unità psichica.

Inoltre è un bisogno/desiderio difficilmente governabile dal sociale, le cui forme di espressione difficilmente possono essere tenute sotto controllo dalle Istituzioni, che devono assicurare la “pace” (nel senso di minima competizione) tra gli individui e la “coesione sociale”.

Di qui il bisogno di sottoporre tale bisogno/desiderio (sin dal suo primo apparire) ad un rigido, severo, sistema di controlli, di freni, di minacce di sanzioni. E il sentimento della vergogna è il primo freno che agisce in questo senso.

Il racconto biblico, di questo sistema di norme imposte dall’esterno e di inibizioni imposte dall’interno, è una perfetta metafora.

(7, continua)

Giovanni Lamagna