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Insoddisfazione sessuale maschile, mercato della prostituzione e diffusione della pornografia.
A me pare evidente che ci sia – ancora oggi, nonostante la “rivoluzione sessuale” del ‘68 – una notevole discrasia, tra la natura del desiderio sessuale maschile, ciò di cui esso si alimenta, e la capacità femminile (media) di condividerlo e soddisfarlo.
Qui, ovviamente, io parlo da maschio e non ho alcuna remora a farlo; perché il fatto che analoga discrasia ci sia, senza alcun dubbio, tra il desiderio sessuale femminile e la capacità maschile di soddisfarlo non elimina il problema, semmai lo raddoppia.
Tanto è vero che questa doppia discrasia sembra confermare ai miei occhi la nota teoria lacaniana, per molti incomprensibile, ma a questo punto – a me pare – non poi così difficile da intuire, de “l’inesistenza del rapporto sessuale”.
E, di conseguenza, spiegare anche altri due fenomeni; uno antico quanto l’uomo: il mercato della prostituzione; l’altro più recente, almeno quanto a diffusione: quello della pornografia.
L’oggettiva e diffusa insoddisfazione sessuale maschile nei confronti delle loro abituali compagne non giustifica – sia chiaro – né l’uno né l’altro fenomeno (entrambi sono risposte surrogatorie e degradanti al problema) ma in qualche modo li spiegano.
Ovviamente – ne sono pienamente consapevole – lo stesso problema di insoddisfazione potrebbe essere esaminato dal punto di vista femminile; ma questo discorso è forse meglio che lo affrontino le donne; senz’altro lo faranno meglio di me.
© Giovanni Lamagna
Differenze tra uomo e donna.
A proposito del suo volume “L’esperienza vissuta” (1949), Simone de Beauvoir così scrive: “Uno dei fraintendimenti che il mio libro ha provocato è l’idea che io non riconosca la differenza tra uomo e donna. Al contrario! Man mano che scrivevo mi era sempre più chiaro cosa divide i generi. Dico solo che queste differenze non sono naturali ma legate alla cultura.”.
Io concordo con la de Beauvoir che molte differenze tra il genere maschile e quello femminile, normalmente e comunemente attribuite alla natura, hanno invece una genesi culturale.
Non sono d’accordo però che abbiano una origine solo culturale.
Ce ne sono alcune (molte) che hanno una origine culturale, altre che hanno un’origine biologica, naturale.
Che la donna (per fare un solo esempio, quello più eclatante e banale) abbia una struttura fisica, che la predispone a diventare madre, e che l’uomo non ce l’abbia è scritto nella biologia, quindi nella natura, e non solo (anzi in questo caso neanche in primo luogo) nella cultura.
© Giovanni Lamagna
Il valore della “debolezza”.
L’incontro con una donna, un bambino, un vecchio, un ammalato, un indigente suscitano (quasi) sempre in me un sentimento di tenerezza.
La debolezza (o, meglio, ciò che nell’immaginario collettivo – specie di quello maschile – viene considerato debole) “m’intenerisce il core”.
E di ciò sono ben lieto; perché sento che la mia mascolinità ne esce arricchita.
E non perché nel confronto mi senta superiore, ma perché avverto che nella “debolezza” c’è un valore che non c’è nella “forza”.
© Giovanni Lamagna
Il poliamoroso.
Il poliamoroso non cerca più donne o più uomini.
In realtà cerca l’unica Donna o l’unico Uomo che è presente in ogni donna e in ogni uomo.
Anche se in ciascuna donna e in ciascun uomo in forme ed aspetti diversi, a volte estremamente diversi.
In altre parole il poliamoroso cerca l’eterno Femminile o l’eterno Maschile, che nessuna donna e nessun uomo racchiude completamente in sé.
© Giovanni Lamagna
L’immagine storica prevalente del “femminile” e del “maschile”.
Ogni generalizzazione (soprattutto se pretende di fondarsi sui dati della biogenetica) è sicuramente sbagliata.
Ma non si può negare che la Storia plurimillenaria ci consegna (senza alcun dubbio; quasi a prescindere dalla varietà dei contesti geografici) l’immagine prevalente di una femmina tendenzialmente stanziale (colei che lavora in casa ed accudisce i figli) e, (anche) per questo tendenzialmente monogama e l’immagine di un maschio tendenzialmente nomade (colui che lavora fuori casa e vi porta il cibo) e (anche) per questo tendenzialmente poligamo.
Si può sperare (ed io personalmente lo auspico) che la Storia evolva e che modifichi quelli che ancora oggi continuano ad essere gli stereotipi del “femminile” e del “maschile”.
Ma non si può negare la Storia e non riconoscere che ancora oggi essa pesa e molto; di più: molte volte contraddice, smentisce le nostre aspirazioni emancipatrici.
Specie quelle di alcune avanguardie (ad esempio, femministe o poliamorose), per quanto sicuramente (almeno per me) illuminate; di certo più illuminate della massa nella quale predominano gli stereotipi.
© Giovanni Lamagna
Due modi di fare sesso.
Esistono due modi di fare sesso, profondamente diversi tra di loro.
Il primo mira essenzialmente alla penetrazione del fallo nella vagina e all’accettazione-accoglimento del fallo da parte della vagina.
E’ il modo tipicamente maschile (o, perlomeno, quello più diffuso tra i maschi) di fare l’amore o, sarebbe meglio dire, di fare sesso.
Utilizzando al posto della vagina un organo od organi diversi questo è anche il modo di alcuni omosessuali di fare sesso.
E’ un modo che differisce, come è del tutto evidente, poco o nulla dal modo degli altri animali di congiungersi sessualmente.
Esso si basa sulla seguente sequenza, biologico-fisiologica più che psicologica: insorgenza di una pressione ormonale, incontro con lo stimolo sessuale in grado di farla sfogare, accoppiamento, soddisfazione e liberazione della pressione ormonale attraverso l’orgasmo.
Questa modalità di fare sesso abbisogna di tempi molto rapidi: alcuni secondi, al massimo alcuni minuti.
L’altro modo è più tipico della femminilità, nel senso che è più diffuso tra le femmine.
Anche se alcune femmine prediligono pure loro il primo modo: sono forse le femmine che hanno dei problemi non del tutto risolti con la loro sessualità e che vivono (e preferiscono vivere) l’atto sessuale (almeno a livello di fantasia inconscia) come una sorta di violenza da subire e non di relazione del tutto paritaria e reciproca da condividere.
Questa fantasia inconscia, forse (è l’ipotesi che faccio), consente loro di deresponsabilizzarsi rispetto all’atto vissuto e di goderne (quando e seppure ne godono) senza una piena consapevolezza e consensualità.
Questo secondo modo di vivere la sessualità, che ho definito più tipicamente – anche se non necessariamente – femminile, si basa sulla sequenza, che – al contrario della prima – è psicologica almeno allo stesso modo che biologico-fisiologica: insorgenza della pressione ormonale, incontro col potenziale oggetto sessuale, nascita del desiderio, cerimoniali di seduzione, prolungati preliminari sessuali non ancora genitali, accoppiamento (neanche del tutto e sempre indispensabile) degli organi genitali, infine liberazione della pressione ormonale attraverso l’orgasmo.
Per questo modo di fare sesso, la fase dei preliminari, che precede il vero e proprio accoppiamento, è la fase, potremmo dire, più importante del rapporto, quella che lo rende propriamente umano, in quanto lo contraddistingue nettamente dal modo di fare sesso degli altri animali.
In questa fase un ruolo fondamentale, primario, lo rivestono i baci, gli abbracci e le carezze: si fa sesso con l’intero corpo e non solo con gli organi genitali.
Ma lo rivestono anche gli sguardi, gli odori, i profumi, i sapori, i suoni (sospiri, gemiti, urla…): si fa sesso con tutti e cinque i sensi e non solo con uno o, al massimo, due.
Lo rivestono, infine, anche il contesto (mi verrebbe di dire) scenico, il luogo, nel quale si fa sesso (per alcuni deve essere quello tradizionale della camera da letto; altri prediligono la natura, altri ancora posti insoliti e strani, che devono dare il senso della trasgressione…) e poi l’abbigliamento, le movenze del corpo, alcuni gesti allusivi e seduttivi, il ricorso ad alcuni rituali ed oggetti (che potremmo definire feticci) e, per chiudere, l’uso della parola, del racconto, a volte del turpiloquio: si fa sesso non solo col corpo e con i sensi, ma anche (se non soprattutto) con la mente e l’immaginazione, la fantasia.
Inutile dire che questa seconda modalità di fare sesso richiede tempi molto più lunghi del primo: chi la sceglie può arrivare a fare sesso per ore o anche per intere giornate.
In conclusione: nel primo modo di fare sesso (quello che all’inizio ho definito “maschile”, non in quanto genere, ma in quanto categoria, quasi archetipica) il corpo dell’altro è vissuto come puro oggetto, pretesto per un atto che è prevalentemente fisiologico, con caratteristiche che potremmo definire perfino (e al limite) onanistiche.
Nel secondo modo di fare sesso, invece, più che il corpo viene in risalto la psicologia, l’intera persona dell’altro/a; l’atto non è solo sessuale, ma erotico in senso pieno: è un vero incontro con l’altro/a e in quanto tale può essere definito atto d’amore; sesso e amore convergono, si unificano, non sono più separati.
© Giovanni Lamagna