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Rapporto genitori/figli.

Nessuno di noi nasce ovviamente dal nulla, ciascuno di noi nasce da (è figlio di) due genitori.

Di cui – in un certo senso – è, dunque, la copia, la replica.

È quindi la copia, la replica di un Altro.

Allo stesso tempo ognuno di noi è però Altro rispetto ai suoi genitori, è il Nuovo, il diverso che nasce.

La copia, la replica, infatti, non sono mai fedeli, ma sempre in qualche misura infedeli e, quindi, per certi aspetti almeno, originali.

Il rapporto figli/genitori si gioca, dunque, tutto su questa contraddizione-paradosso: continuità/discontinuità, medesimo/diverso, fedeltà/infedeltà, interezza/rottura.

© Giovanni Lamagna

Il nuovo, lo stesso, il diverso.

Sono pienamente d’accordo con Recalcati quando afferma che “il nuovo” e “lo stesso” non sono per forza di cose due concetti opposti, che debbano stare in antitesi.

Come, d’altra parte, “il nuovo” e “il diverso” non sono necessariamente sinonimi, non è scontato che vadano naturalmente e automaticamente sempre d’accordo.

Si può, infatti, trovare del “nuovo” nello “stesso”.

Mentre non è detto che si trovi sempre e davvero del “nuovo” nel “diverso”.

Fatta questa premessa, possiamo dire che è del tutto legittimo cercare le novità nella propria vita: questo fa parte del naturale, fisiologico bisogno di cambiare periodicamente pelle e dell’altrettanto naturale desiderio di arricchirsi umanamente, di crescere, di evolvere, di non restare fermi allo stesso palo per tutta la vita.

Cosa particolarmente vera, giusta, legittima, nelle relazioni, specie in quelle di coppia.

Non bisogna, però, cadere nell’illusione ingannevole che la novità la si trovi semplicemente cercando il nuovo; ad esempio, un nuovo partner.

Perché ci potremmo molto facilmente ritrovare con un partner nuovo molto simile, nelle sue caratteristiche psicologiche e, persino, in quelle fisiche, al partner vecchio, dal quale ci siamo separati per andare a vivere col nuovo.

Molto meno ingannevole e illusorio potrebbe essere il ricercare la novità, anzi le novità, all’interno dello stesso rapporto, anche se questo magari dura da anni.

La cosa è indubbiamente più faticosa e impegnativa per entrambi i partner di una relazione, ma molto meno a rischio di andare incontro a un (nuovo) fallimento.

Anche se, ovviamente, richiede una disponibilità continua, permanente, costante, alla ricerca, al rinnovamento e al cambiamento.

Richiede in altre parole che entrambi i partner siano persone evolutive, in cammino, disposte a rischiare, a mettersi in continua discussione; e non statiche, ferme, poltronare (oggi si direbbe “divaniste”), piccolo-borghesi, benpensanti, in cerca (solo) di rassicurazioni e conferme l’uno dall’altro.

© Giovanni Lamagna

Negazione della differenza e omosessualità.

Nel libro “la Legge della parola” (2022 Einaudi; pag. 58-59) Massimo Recalcati così scrive:

Ripudiando la via lunga del pensiero, il soggetto della violenza appare trascinato verso l’illusione incestuosa di una totalizzazione compiuta con la Cosa.

E’ quello che secondo Freud possiamo vedere in atto nell’omicidio, nel cannibalismo e nell’incesto quali forme estreme di negazione dell’alterità dell’Altro.

Queste tre esperienze condividono infatti come unico denominatore la spinta della negazione della differenza: nell’omicidio attraverso l’eliminazione fisica dell’esistenza dell’Altro, nel cannibalismo mediante la sua incorporazione e, infine, nell’incesto attraverso un movimento di riunificazione senza scarti con la nostra origine.

In tutte e tre queste situazioni si verifica un movimento di assimilazione o di negazione dell’alterità dell’Altro.

Ecco perché secondo Freud il programma di ogni Civiltà si impernia sull’edificazione di tre fondamentali interdizioni simboliche che impediscano omicidio, cannibalismo e incesto.

La trasgressione di questi divieti trascinerebbe il soggetto fuori dalla Legge degli uomini, gettandolo in quel campo desertico che Lacan ha definito come “godimento mortale” dove la vita umana si dissolve in una regressione all’indifferenziato.

Condivido in buona sostanza questa riflessione.

Che però mi insinua un dubbio, che diventa, automaticamente, una domanda: all’elenco delle tre esperienze, che, secondo Freud, Lacan e lo stesso Recalcati, tendono a negare la differenza dell’Altro, non se ne dovrebbe – seguendo il filo logico del loro ragionamento – aggiungere una quarta: quella omosessuale?

Non c’è, infatti, a fondamento (anche) dell’esperienza dei rapporti omosessuali la negazione dell’Altro come differenza, un bisogno (a suo modo incestuoso) di riconoscersi nell’Altro uguale a sé e una difficoltà ad entrare in relazione con il diverso da sé?

Qui ricordo, ad avvalorare questo mio dubbio e questa mia domanda, che una certa lettura psicoanalitica dell’omosessualità già in passato avevo fatto risalire questo orientamento sessuale ad un rapporto incestuoso più o meno latente col genitore del latente,genitore,sesso opposto.

Cosa che avrebbe comportato la sacralizzazione di questa figura, con la conseguenza di inibire successivamente il rapporto sessuale con persone di questo stesso sesso e orientare lo spostamento dell’interesse libidico verso persone del proprio sesso.

Ricordo benissimo che Cesare Musatti, padre della psicoanalisi italiana, dava una tale lettura e interpretazione della omosessualità di un suo contemporaneo, personalità molto conosciuta della cultura italiana; sto parlando di Pier Paolo Pasolini.

Di Pasolini era, infatti, ultra-noto il rapporto di grande amore e intimità che lo legava alla madre, alla quale sono dedicate pagine indimenticabili e molto poetiche dello scrittore friulano; rapporto che sembrerebbe avvalorare la tesi di Musatti.

Ovviamente manco lontanamente mi passa per la mente di accostare – dal punto di vista della psicopatologia e meno che mai dal punto di vista della criminologia – l’omosessualità ad esperienze quali l’omicidio, il cannibalismo o l’incesto.

In questi tre casi ci troviamo senza ombra di dubbi in presenza di fenomeni non solo deprecabili, ma da giudicare e condannare anche sotto l’aspetto giuridico e penale; ci troviamo in altre parole di fronte a veri e propri crimini, più o meno gravi.

Sicuramente, invece, nel caso dell’omosessualità ci troviamo di fronte a un’esperienza che non ha nulla di deplorevole né sul piano etico né, tantomeno, sul piano giuridico penale.

E, però, sulla base del ragionamento che fa Recalcati, mi chiedo se non siano da riscontrare nell’esperienza dell’omosessualità elementi, fattori psicologici che sanno di chiusura, di blocco, di mancato sviluppo della libido.

Come, d’altra parte, sono, con tutta evidenza, da riscontrare, a mio avviso, (e qui l’accostamento può risultare utile) nell’esperienza della masturbazione; la quale certamente non ha nulla di riprovevole sul piano etico e meno che mai ovviamente (dovrebbe essere persino superfluo rimarcarlo) su quello giuridico.

E, però, altrettanto certamente, l’atto masturbatorio rappresenta una “sconfitta” o, quantomeno, una deviazione surrogatoria, sul piano psicologico del naturale istinto dell’uomo ad accoppiarsi sessualmente con un suo simile.

Tanto è vero che esso non può fare a meno (solitamente) di accompagnarsi a fantasie e a desideri di accoppiamento, seppure solo virtuale.

La solitudine in cui si svolge l’atto sessuale masturbatorio è la negazione del fine stesso a cui tende naturalmente l’istinto sessuale, che è quello dell’accoppiamento, della “coniunctio”, e non del soddisfacimento solitario.

L’atto masturbatorio è in fondo – come ben sa chi ha vissuto e vive tale esperienza – solo un triste e malinconico soddisfacimento surrogatorio dell’istinto e del desiderio sessuale, che tendono per loro natura all’accoppiamento, al congiungimento e all’unione di due corpi.

Tanto è vero che viene seguito in genere da un senso (più o meno profondo) di frustrazione e non di appagamento.

Per cui il fatto che sia sciocco, ancora oggi, emettere un giudizio etico sul fenomeno della masturbazione (come pure, invece, si è fatto per secoli, anzi millenni, e ancora oggi si fa presso alcune tradizioni culturali, soprattutto religiose), non vieta né impedisce una sua valutazione sul piano psicologico, come fenomeno tipicamente adolescenziale, quindi regressivo (o tutt’al più surrogatorio), se vissuto in età adulta.

Mi rendo conto che qui avanzo – almeno come ipotesi interpretativa di un’esperienza come l’omosessualità – un ragionamento di questi tempi molto poco politically correct.

Ma la mia onestà intellettuale me lo impone e perciò lo faccio anche a costo di attirarmi – come prevedo – una montagna di critiche.

Pronto altresì a sciogliere i miei dubbi e a rivedere queste mie analisi di fronte ad argomenti contrari e inoppugnabili, che dovessero risultare da un eventuale confronto con tesi opposte.

© Giovanni Lamagna

Omologazione e integrazione nei rapporti.

É mia ferma convinzione che una cosa sia la tendenza a cercare l’integrazione tra due persone in un rapporto, altra cosa sia la tendenza di una delle due ad omologare, assimilare, l’altra a sé.

L’integrazione per me dovrebbe essere l’obiettivo scontato di ogni rapporto, nei desiderata di tutti quelli che avviano una qualsiasi relazione.

Non credo, infatti, che quando due persone si incontrano e decidono di frequentarsi desiderino o siano destinate a restare ognuna di loro uguale a come era prima dell’incontro e della frequentazione.

O, meglio, possono pure restarlo, ma in questo caso non ci sarà stato nessun vero incontro tra di loro e non ne sarà nata una vera relazione.

L’incontro, infatti, c’è davvero e la relazione si instaura effettivamente solo quando si verificano due condizioni.

La prima è che le due persone siano attratte l’una verso l’altra perché ciascuno/a trova nell’altro/a ciò (o, almeno, una parte di ciò) che desiderava e che gli serviva per completare sé stesso/a.

La seconda è che ciascuna delle due si impegni a “prendere” dall’altro/a ciò che lo ha attratto verso di lui/lei e che (spesso inconsciamente) desiderava per integrare, cioè per completare, sé stessa.

Non (come molti sono portati a pensare) per diventare uguale a lui/lei, ma per accogliere (fin dove le riesce) le sue caratteristiche nel suo modo personale di essere, per avvicinarsi a lui/lei, pur restando pienamente sé stesso/a.

In questo consiste per me l’integrazione; che è cosa ben diversa dall’omologazione.

Questa integrazione, a mio avviso, è necessaria, anzi indispensabile, in ogni rapporto degno di questo nome, in ogni rapporto che non voglia sussistere solo in apparenza; la sua mancanza sancisce l’inesistenza sostanziale o l’esaurimento del rapporto.

L’omologazione è tutt’altra cosa: è la pretesa di arrivare ad essere “unum” da parte di uno dei due (o anche di entrambi) che stanno nel rapporto, di rendere uno dei due uguale, simile all’altro, e, quindi, plagiato, dipendente dall’altro.

Un rapporto in cui c’è omologazione potrà anche durare molto, perfino tutta la vita, ma non per questo sarà un rapporto funzionale, che farà stare bene le due persone impegnate nella relazione.

La sua durata, in questo caso, dipenderà da una forma di dipendenza reciproca, di natura morbosa, e non dall’autentico e sano desiderio, che cerca l’altro senza dipendere dall’altro.

Ma anche un rapporto, in cui manchi la voglia, il desiderio di integrarsi, “contaminarsi”, “meticciarsi”, reciprocamente, funzionerà male, non consentirà alle persone che lo vivono di stare bene insieme; sarà un rapporto solo apparente.

Un rapporto per essere funzionale, sano, deve dunque tendere necessariamente all’integrazione reciproca: un processo attraverso il quale ciascuno si arricchisce delle qualità dell’altro restando comunque diverso da lui, restando cioè sé stesso.

Un processo, questo dell’integrazione tra due persone, unite da un rapporto d’amore o anche di semplice amicizia, destinato a non finire mai, a proseguire fin quando durerà il rapporto; questo renderà il rapporto vero, sano, generativo.

© Giovanni Lamagna

Un altro mondo è possibile

Non mi sono mai rassegnato al mondo nel quale vivo, così com’è.

Ho sempre desiderato un mondo diverso, migliore: più libero, più giusto, più fraterno.

Un mondo possibile, ma altro da quello che è attualmente.

E resto convinto che un altro mondo sia possibile e realizzabile.

Dipende solo dalla volontà e dall’impegno degli uomini e delle donne che lo abitano.

© Giovanni Lamagna