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Donna in orgasmo.

Quanto mi piace la donna che, quando gode durante l’orgasmo, urla lamentosamente, allegramente, sguaiatamente, senza alcun ritegno!

E, ancor più, quando, all’acme del piacere, allaga il letto del suo brodo caldo.

Mi dona un surplus di godimento.

© Giovanni Lamagna

Tre tipi di approccio al sesso.

22 aprile 2015
Tre tipi di approccio al sesso.
Ci sono tre tipi di rapporto col sesso.
Il primo è quello di chi considera il sesso una cosa schifosa e ne fa del tutto a meno. O quello di chi ne ha vergogna e cerca di evitarlo o farlo il meno possibile. Non solo non ne prova piacere, ma ne ha addirittura fastidio e, in certi casi, perfino ripugnanza.
Si tratta di una situazione estrema ed oggi ridotta a pochi e rari casi. Ma comunque di una situazione ancora oggi esistente, nella quale è possibile riconoscere persone (poche magari) a noi vicine o persone di cui abbiamo o abbiamo avuto conoscenza.
Il secondo è quello di chi ha piacere a vivere il sesso, ma non osa dirlo fino in fondo, manco a se stesso, come se avesse una qualche ritrosia a dire “Il sesso mi piace!”, un qualche pudore (in altre parole: vergogna).
E’ la situazione di chi pratica il sesso, anche con una buona frequenza e costanza, ma quasi come una realtà separata dal resto della propria vita, di cui si parla con qualche ritegno e molta riservatezza, che non si vuole, insomma, dare troppo a vedere. Il sesso deve rimanere una realtà recondita, nascosta. Fa parte della pura privacy, quella che si definisce “intimità”.
E’ la situazione di chi, per fare sesso, (io dico) ha bisogno di tenere gli occhi chiusi. Metaforicamente. Ma, spesso, anche materialmente. Perché in qualche misura ne prova vergogna. Vergogna mascherata da (e presentata) come senso del pudore.
E’ la situazione di chi per fare sesso ha bisogno di essere un po’ brillo, quasi in una situazione di trance, al limite tra la consapevolezza e l’inconsapevolezza, tra la veglia e il sonno.
Per questo secondo tipo di persone il sesso, in genere, deve essere una cosa mordi e fuggi. Se non proprio una sveltina, manco una cosa che duri troppo a lungo. Altrimenti diventa difficile reggerne la tensione emotiva, legata al senso di colpa.
Per questo tipo di persone in genere la nudità è un problema; si preferisce fare sesso scoprendosi il meno possibile.
Per questo tipo di persone nel sesso prevale nettamente la dimensione affettiva e sentimentale su quella fisica ed erotica. Per queste persone il sesso deve rassicurare più che scuotere, confermare più che turbare.
Esiste, infine, il terzo tipo di rapporto col sesso: quello di chi non solo non ha paura del sesso e non lo trova ripugnante; quello di chi non solo lo trova piacevole ma ha qualche ritrosia a parlarne, come se si trattasse di una realtà in qualche misura comunque scabrosa; ma quello di chi considera il sesso una dimensione centrale della propria vita, allo stesso livello di quella emotiva, di quella sentimentale, di quella affettiva, di quella intellettuale. Non semplicemente funzionale (e quindi subordinata) a queste.
E’ il rapporto di chi trova nel sesso una dimensione unica per conoscere se stesso e l’altro. E, quindi, non solo lo vive senza alcun imbarazzo, ma ha desiderio di raccontarlo, rivelarlo, manifestarlo nel suo agire quotidiano, nei suoi gesti ordinari di ogni momento. Non come forma di (sguaiato) esibizionismo, ma come naturale manifestazione di un suo modo naturale, complessivo e profondo di essere e, quindi, anche di apparire.
E’ il rapporto di chi è erotico non solo a letto, quando fa all’amore col suo partner, ma lo è sempre, in ogni momento della sua vita. E non solo non se ne vergogna, ma ne è fiero (potremmo dire “gay”), perché si sente, in questo suo modo di essere, una persona unificata e perciò liberata.
E’ il rapporto di chi attraverso il sesso entra in maniera privilegiata in contatto con la propria natura animale. E non solo non si vuole sottrarre a questo contatto, ma lo ricerca, come occasione unica e speciale di crescita psicologica e, quindi, umana.
E’ il rapporto di chi attraverso il sesso entra in contatto con la propria natura perversa e polimorfa (come Freud definiva la sessualità umana).
Perversa non nel senso usuale, deteriore e negativo, del termine. Ma perversa nel senso che non si limita a vedere nel sesso un atto puramente procreativo (come ha previsto la natura), ma una forma di linguaggio (del tutto speciale), quindi figlio e generatore di cultura.
Polimorfa perché, proprio dal momento che il sesso è una forma di linguaggio, esso non si realizza in una sola lingua, non usa una sola ortografia, una sola grammatica e una sola sintassi, ma può realizzarsi nelle forme più varie.
Ad una sola condizione: che il linguaggio che io voglio usare sia compreso e condiviso dall’altro/a. Che ci sia alleanza, complicità con l’altro/a.
Il sesso è un linguaggio del tutto particolare, che ci consente, più e meglio della parola parlata, di scendere negli abissi della nostra natura più oscura e quindi di fare luce sulle nostre ombre più inconfessabili.
Per chi lo intende in questo modo il sesso è un’avventura speciale, ogni volta trasgressiva, perché ogni volta alla ricerca del superamento del limite, del confine già raggiunto.
In questo senso il sesso è una forma di conoscenza e di ascesi, che ha a che fare con la crescita spirituale. Gli orientali da questo punto di vista hanno molte cose da insegnare a noi occidentali.
Per questo considero la pratica tantrica la massima espressione della religiosità umana. Perché è quella che più di altre è stata capace di coniugare e conciliare gli (apparenti) opposti: corpo e anima, sesso e spiritualità, amore e trasgressione, fedeltà e infedeltà, desiderio e oblatività, egoismo e altruismo, aggressività e donazione, gioco e impegno.
Laddove, invece, molte forme di religiosità, anzi la maggior parte di esse, vivono, fondano la loro teoria (teologia) e la loro pratica (ascesi) proprio sull’affermazione della inconciliabilità di questi “opposti”. Di cui alcuni rappresentano (per loro) il bene e altri il male, alcuni le virtù e altri il peccato, alcuni la salvazione e altri la perdizione.
La spiritualità tantrica ci insegna (o, meglio, può insegnarci) che non esiste peccato, non esiste dannazione, laddove c’è un desiderio, laddove un desiderio incontra il desiderio di un altro. Che anzi il vero peccato, la vera dannazione stanno – direbbe Lacan – nella rinuncia al proprio desiderio.
Giovanni Lamagna