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La parabola dei rapporti di coppia.

Ad un certo punto succede (non in tutti, ma di certo nella grande maggioranza dei rapporti di coppia) che uno dei due o (ancora più spesso) tutti e due i membri della coppia si “siedano”, come se fossero giunti ad un approdo terminale, definitivo.

Per molti questo approdo coincide col matrimonio; quindi viene raggiunto abbastanza presto nella storia del rapporto, considerato che, in genere, ci si sposa dopo due o tre anni dal momento in cui si decide di “mettersi assieme”.

A questo punto i due diventano del tutto prevedibili l’uno per l’altro e, quindi, scontati; la loro relazione acquista pertanto i colori della malinconica monotonia.

Il rapporto, ovviamente, perde la brillantezza degli inizi, si opacizza; i partner cominciano col parlarsi di meno, continuano via, via col parlarsi sempre di meno e, infine giungono a non parlarsi proprio più.

Nella migliore delle ipotesi parlano di tante cose – degli altri, dei fatti che accadono, delle cose che li circondano, magari e perfino di arte, di filosofia, di scienza, di politica – ma non più di sé stessi.

Quando accade questo, per me il rapporto è psichicamente, spiritualmente, anche se non fisicamente, materialmente, morto.

Tra i due membri di una relazione c’è poi, spesso, se non sempre, chi a questa “morte” si rassegna, dandola per inevitabile e scontata, quasi fosse un esito naturale, fisiologico.

In certi casi entrambi sposano questa rassegnazione e in questo modo la relazione trova un nuovo equilibrio, basato su un tacito accordo, da entrambi condiviso: evitare ogni comunicazione profonda, davvero intima.

Il rapporto può, in questo modo, durare fino a che morte non li separi.

Altre volte, invece, tra i due c’è chi a questa “morte” non si rassegna e scalpita.

O facendo continue richieste (implicite o esplicite) all’altro di cambiamento, di rinnovamento; quasi sempre, però, inutili e fallimentari.

O/e cercando il cambiamento fuori, in un altro rapporto.

In questo caso il membro della coppia che cerca il cambiamento viene considerato il traditore del rapporto: lascio giudicare a voi con quale logica e fondatezza.

Conclusione: per mantenere vivo un rapporto non bisogna mai dare niente per scontato, bisogna continuamente stupire l’altro/a, presentandosi ai suoi occhi come una persona sempre nuova.

Tutto questo esige, ovviamente, cura, attenzione, dedizione, ma io dico soprattutto fantasia e creatività; immaginazione, come diceva Hillman.

Ad alcuni (anzi, forse, ai più) questo può risultare troppo faticoso; per cui viene spontaneo chiedersi, consciamente o inconsciamente: ne vale la pena?

A questa domanda io non ho dubbi nel rispondere: sì, ne vale la pena!

Sarà pure (anzi, è) faticoso, ma è anche l’unico modo per mantenersi vivi.

Non tanto o non solo per mantenere vivo, vitale il rapporto, ma per tenersi vivi come persone, come singole individualità.

L’alternativa è appassire come individui e contribuire, di conseguenza, per la propria parte, all’appassimento inesorabile della relazione di coppia.

© Giovanni Lamagna

Il nuovo, lo stesso, il diverso.

Sono pienamente d’accordo con Recalcati quando afferma che “il nuovo” e “lo stesso” non sono per forza di cose due concetti opposti, che debbano stare in antitesi.

Come, d’altra parte, “il nuovo” e “il diverso” non sono necessariamente sinonimi, non è scontato che vadano naturalmente e automaticamente sempre d’accordo.

Si può, infatti, trovare del “nuovo” nello “stesso”.

Mentre non è detto che si trovi sempre e davvero del “nuovo” nel “diverso”.

Fatta questa premessa, possiamo dire che è del tutto legittimo cercare le novità nella propria vita: questo fa parte del naturale, fisiologico bisogno di cambiare periodicamente pelle e dell’altrettanto naturale desiderio di arricchirsi umanamente, di crescere, di evolvere, di non restare fermi allo stesso palo per tutta la vita.

Cosa particolarmente vera, giusta, legittima, nelle relazioni, specie in quelle di coppia.

Non bisogna, però, cadere nell’illusione ingannevole che la novità la si trovi semplicemente cercando il nuovo; ad esempio, un nuovo partner.

Perché ci potremmo molto facilmente ritrovare con un partner nuovo molto simile, nelle sue caratteristiche psicologiche e, persino, in quelle fisiche, al partner vecchio, dal quale ci siamo separati per andare a vivere col nuovo.

Molto meno ingannevole e illusorio potrebbe essere il ricercare la novità, anzi le novità, all’interno dello stesso rapporto, anche se questo magari dura da anni.

La cosa è indubbiamente più faticosa e impegnativa per entrambi i partner di una relazione, ma molto meno a rischio di andare incontro a un (nuovo) fallimento.

Anche se, ovviamente, richiede una disponibilità continua, permanente, costante, alla ricerca, al rinnovamento e al cambiamento.

Richiede in altre parole che entrambi i partner siano persone evolutive, in cammino, disposte a rischiare, a mettersi in continua discussione; e non statiche, ferme, poltronare (oggi si direbbe “divaniste”), piccolo-borghesi, benpensanti, in cerca (solo) di rassicurazioni e conferme l’uno dall’altro.

© Giovanni Lamagna

L’atto sessuale può essere…

L’atto sessuale può essere il semplice sfogo di un istinto/bisogno fisiologico.

E in questo caso è ben povera cosa.

O l’incontro/fusione di due anime che si uniscono anche coi loro corpi.

E in questo caso è un’esperienza sublime, che sfiora il divino.

© Giovanni Lamagna

Alti e bassi in amore

A pensarci bene, che gli amori – anche i più grandi e potenti amori– soffrano di alti e bassi è – direi – un fatto fisiologico.

Perché un amore – allo stesso modo che una relazione terapeutica – mette in atto un transfert (un movimento di identificazione più o meno profonda con il partner), ma anche quello che potremmo definire un controtransfert (cioè un movimento che si oppone al transfert), dandogli in questo caso un significato diverso da quello che gli diede Freud.

Il rapporto con la persona amata – così come quello con lo psicoterapeuta – è dunque fatto (potremmo dire, quasi costitutivamente) di amore e odio.

Perché la persona amata ci costringe a guardarci più a fondo di quanto non eravamo abituati a fare da soli, a prendere atto (in maniera più chiara e consapevole di quanto non avessimo fatto fino ad allora) della nostra realtà psicologica (ovviamente imperfetta), e ci chiede (non esplicitamente il più delle volte, ma certe volte anche esplicitamente) dei cambiamenti.

E qui scattano molto spesso le nostre resistenze; che si manifestano attraverso forme di contrarietà, di conflitto, di aggressività, persino di odio, nei confronti del nostro partner, più o meno intense, a seconda della forza delle nostre resistenze al cambiamento, che ci viene, in modi – ripeto – più o meno espliciti, richiesto.

Perché la nostra natura è, per definizione, ambivalente: vuole cambiare, ambisce ad evolvere, a crescere, ad elevarsi (istanza biofila), ma allo stesso tempo non vuole cambiare, è affezionata a quello che è, trova più comodo e rassicurante farci restare immobili, fermi, protetti dalla tana delle nostre abitudini e dei comportamenti consolidati (istanza necrofila).

Persegue in molti casi l’utopia/illusione di poter cambiare senza cambiare nulla; e ciò ovviamente è fuori dalla realtà.

Mentre la presenza del nostro partner in amore ci ricorda continuamente il cambiamento necessario: in un certo senso egli è arrivato nella nostra vita proprio per questo, per segnalarci questa necessità e impedirci di continuare nell’inganno.

Come sarebbe, molto probabilmente, accaduto se non lo avessimo mai incontrato e come succederebbe se rompessimo la relazione che abbiamo instaurato.

Per questo, nel momento in cui il nostro partner ci chiede dei cambiamenti e noi non siamo ancora (o per nulla) disposti a realizzarli, diventiamo aggressivi nei suoi confronti o lo evitiamo, scappiamo, tendiamo a sfuggire la sua presenza.

Proprio come succede in psicoterapia, quando di fronte ai cambiamenti che ci vengono richiesti dallo sviluppo dell’analisi, scattano le nostre resistenze ed arriviamo (persino) ad odiare il nostro terapeuta, che ci rappresenta, ci pone davanti (spesso per il solo fatto di esserci) la prospettiva di cambiamento che dovremmo mettere in atto, se vogliamo sbloccare certi nodi che abbiamo dentro (magari da una vita) e vogliamo evolvere, andare avanti psicologicamente più spediti, sfuggendo alla cosiddetta, famosa “coazione a ripetere”.

© Giovanni Lamagna