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Funzione sociale di pornografia e prostituzione

Sono convinto che la pornografia svolga una sua funzione sociale. Così come la svolge, perfino, la prostituzione.

Il fatto che poi entrambi i fenomeni siano terreno fertile per un mercato obiettivamente di basso livello speculativo e, in certi casi (soprattutto nel campo della prostituzione), di sfruttamento perfino criminale, non invalida l’assunto – altrettanto obiettivo – della loro indubbia funzione sociale.

La prostituzione risponde alla domanda (soprattutto maschile, ma che da un po’ di tempo sta diventando anche femminile) di una sessualità diversa, altra, diciamo pure trasgressiva, rispetto ai canoni della sessualità di norma vissuta all’interno del legame coniugale o, quantomeno, della coppia stabile.

Oltre che alla domanda ovvia di chi, non avendo un partner fisso, in questo modo soddisfa le sue voglie sessuali.

Domande (entrambe) alle quali il più delle volte vengono date risposte scadenti e, nella grande maggioranza dei casi, del tutto insoddisfacenti o addirittura frustranti.

Il che non vuol dire che le domande in sé non abbiano un loro fondamento (se non fosse così, non si capirebbe perché milioni di persone nel mondo siano coinvolte nel fenomeno) e che ad esse non sarebbe giusto che venissero date delle risposte, ovviamente e auspicabilmente meno degradanti e più gratificanti.

La stessa funzione più o meno la svolge anche la pornografia.

Con la differenza che la prostituzione è pratica reale, materiale; la pornografia è pratica soprattutto dell’immaginario.

La funzione sociale della prostituzione è, infatti, quella di soddisfare in qualche modo, per quanto, come dicevo prima, del tutto insoddisfacente e surrogatorio, un istinto, una pulsione, che altrimenti rimarrebbero del tutto negati, frustrati.

La funzione sociale più specifica della pornografia è, invece, quella di sdoganare (almeno a livello dell’immaginario, del cosiddetto “virtuale”) ciò che nella pratica reale viene considerato proibito, perché giudicato peccaminoso o, quantomeno, offensivo del “comune senso del pudore”.

“Comune senso del pudore” che – lo sappiamo benissimo – è un valore quantomeno elastico, anzi estremamente variabile, a seconda dei contesti geografici e dei tempi storici.

In questo senso la pornografia (o, meglio, ciò che viene ritenuto pornografico in un determinato contesto sociale) aiuta (o quantomeno può aiutare, almeno in alcuni casi) chi vi fa ricorso a liberarsi di pregiudizi e tabù sociali che non hanno nessun fondamento reale obiettivo nel codice etico naturale, ma sono solo (almeno in alcuni casi) il frutto di proibizioni di una società repressiva, ancora lontana dall’aver espresso tutto il suo pieno potenziale libidico.

La pornografia contribuisce, quindi, ad alzare (o ad abbassare: dipende dai punti di vista, dall’ottica morale dalla quale ci poniamo) sempre di più il livello dell’asticella che separa ciò che nel sesso – in un dato momento storico – viene ritenuto socialmente lecito da ciò che è considerato ancora illecito.

E in questo senso può svolgere (e in alcuni casi effettivamente svolge), pur con tutti i suoi grandi limiti e le sue forti contraddizioni (che qui, sia bene inteso, non intendo minimamente nascondermi o sottovalutare), una sua (per certi aspetti persino utile) funzione culturale e, quindi, sociale.

© Giovanni Lamagna