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Dialogo intorno a sesso, pudore, discrezione e liberazione.
Pubblicato da giovannilamagna
Qualche tempo fa, su facebook, avevo pubblicato il seguente post:
“Il sesso è ancora oggi per molti un argomento tabù.
Segno inequivocabile che va a toccare dimensioni profonde della psiche umana.
Come, del resto, ci ha insegnato già da tempo la psicoanalisi.
Chi considera il sesso argomento tabù si mantiene dunque ad un livello superficiale di sé.
Anche se si dà arie da grande intellettuale e, perfino, se aspira a fare esperienze mistiche.
Ha in realtà paura, ha delle difese, a scendere in profondità dentro di sé.”
Un amico molto caro, Fausto Maggiori, così lo ha commentato:
“Sarà anche vero, ma io credo che il sesso coinvolga per sua natura un certo pudore.
Se il sesso è pulsione istintiva, anche il pudore è pulsione istintiva e non vedo per quale motivo debba essere demonizzato o messo in ridicolo.
Gűnter Anders scrisse: “Metteremo la sessualità al primo posto degli interessi umani. Come tranquillante sociale non c’è niente di meglio”
Sarà per questo che oggi si parla tanto di sesso?”
Io così ho replicato al suo commento:
“Caro Fausto, una cosa è il pudore (anche se io, al suo posto, adopererei il termine “discrezione”), altra cosa è il tabù del sesso.
Il mio post evidenziava l’esistenza – ancora oggi – di tabù che riguardano il sesso, non esaltava di certo l’esibizionismo o (se preferisci) la spudoratezza.”
Di nuovo Fausto Maggiori ha commentato:
“Giovanni, io non lo vedo in giro questo tabù.
Io preferisco il termine “pudore”, è più preciso e specifico, mentre “discrezione” è molto molto vago.”
Al che ho ancora replicato:
“Caro Fausto, il termine “pudore” è sinonimo di “ritegno, vergogna, castigatezza, morigeratezza, pudicizia, verecondia”, cioè l’esatto contrario di quello che io ritengo debba essere, in linea teorica e ideale, l’atteggiamento che un po’ tutti dovremmo avere nei confronti del sesso.
Il quale per me è sempre sano, in tutte le sue manifestazioni, una volta fatti salvi – ovviamente – la libertà dell’altro/a e il rispetto per la sensibilità dei terzi.
Del sesso, quindi, a mio parere, non bisogna avere alcuna vergogna, in qualsivoglia sua manifestazione.
La vergogna nei confronti del sesso, anzi, a mio avviso, è una manifestazione di nevrosi, più o meno grave, a seconda della sua entità, dovuta alle inibizioni che spesso ci sono state trasmesse da un’educazione sbagliata.
Gli unici limiti che ammetto e riconosco come legittimi alla mia libertà sessuale sono, dunque, 1) il consenso dell’altro/a (la mancanza di consenso equivale ad una violenza) e 2) la discrezione nei confronti della sensibilità di terzi, che potrebbero essere turbati (ed anche questa sarebbe una forma di violenza) dal mio modo di esprimere e manifestare la mia sessualità.
Non ne riconosco altri, se mi consenti.
P. S. Non credo, poi, che il pudore possa essere considerato una pulsione istintiva allo stesso modo di quella sessuale, come sostieni tu.
Basti considerare come è cambiato nel corso dei secoli, anzi dei millenni, il cosiddetto “comune senso del pudore”.
Segno che esso non è affatto “comune”, cioè universale, uguale per tutti.
Infatti, non ha una base nella natura, cioè nella costituzione bio-fisiologica della persona (come è, invece, nel caso della pulsione sessuale), ma è un derivato della cultura, anzi delle culture, che variano non solo a seconda dei tempi storici ma anche degli spazi geografici.
Infine, quanto alla frase da te citata (“Metteremo la sessualità al primo posto degli interessi umani. Come tranquillante sociale non c’è niente di meglio.”) essa è stata in modo farlocco attribuita a Gunter Anders.
In realtà – come ho potuto appurare da una breve ricerca – fu scritta da un filosofo spiritualista francese, tale Serge Carfantan, e si trova in un testo sì ispirato al filosofo tedesco di origini ebree, ma che non è di Gunter Anders.
In ogni caso, anche se fosse stata di Gunter Anders (filosofo di certo molto più autorevole del quasi sconosciuto Serge Carfantan), non penso sia corretto riferirla al fenomeno della “liberazione sessuale”, che ha riguardato il XX secolo e che ha raggiunto il suo apice nel fatidico anno 1968.
La “liberazione sessuale” che io prendo a riferimento delle mie analisi sulla storia della sessualità in generale e di quella contemporanea in particolare.
Questa liberazione, per me, è stata sacrosanta ed io personalmente la rivendico in pieno; anzi credo che vada ulteriormente portata avanti.
Ancora oggi, infatti, come sostenevo nel post che stiamo commentando, nonostante le apparenze, permangono tabù e paure, legate al sesso, che non sono state ancora superate.
La critica che fai tu credo, dunque, non vada riferita alla liberazione sessuale, che ha abbattuto molte barriere dell’antico senso del pudore.
Ma, semmai, all’utilizzo deformante e consumistico (vedi pornografia, ma non solo) che di quel fenomeno (autenticamente liberatorio e, quindi, sacrosanto) ha fatto il sistema capitalistico.
Che è capace di guastare, ammalare, intossicare tutto ciò che tocca, anche le cose che sono nate con le migliori intenzioni.
Ai nostri giorni (guarda caso!) mi pare si stia verificando analogo fenomeno con l’ecologia.
Cosa è, infatti, la green-economy se non il tentativo da parte dello stesso sistema di impadronirsi, ma per soli fini di profitto (becero e opportunistico), di una giusta esigenza maturata in ambito extra-capitalistico negli ultimi decenni: quella di un diverso rapporto tra sviluppo e ambiente?
Possiamo noi dire che questa esigenza è diventata esagerata, onnipervasiva e, dunque, fuorviante, solo perché il sistema capitalistico tende ad utilizzarla a suo uso e profitto?
© Giovanni Lamagna
Pubblicato su antropologia, ascetica, cenni autobiografici, costume, cultura, economia, educazione, erotismo, etica, Filosofia, mistica, morale, pedagogia, personalità autorevoli, personalità storiche, Psicologia, sessualità, società, sociologia, Spiritualità, storia, testi medio-lunghi
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Funzione sociale di pornografia e prostituzione
Pubblicato da giovannilamagna
Sono convinto che la pornografia svolga una sua funzione sociale. Così come la svolge, perfino, la prostituzione.
Il fatto che poi entrambi i fenomeni siano terreno fertile per un mercato obiettivamente di basso livello speculativo e, in certi casi (soprattutto nel campo della prostituzione), di sfruttamento perfino criminale, non invalida l’assunto – altrettanto obiettivo – della loro indubbia funzione sociale.
La prostituzione risponde alla domanda (soprattutto maschile, ma che da un po’ di tempo sta diventando anche femminile) di una sessualità diversa, altra, diciamo pure trasgressiva, rispetto ai canoni della sessualità di norma vissuta all’interno del legame coniugale o, quantomeno, della coppia stabile.
Oltre che alla domanda ovvia di chi, non avendo un partner fisso, in questo modo soddisfa le sue voglie sessuali.
Domande (entrambe) alle quali il più delle volte vengono date risposte scadenti e, nella grande maggioranza dei casi, del tutto insoddisfacenti o addirittura frustranti.
Il che non vuol dire che le domande in sé non abbiano un loro fondamento (se non fosse così, non si capirebbe perché milioni di persone nel mondo siano coinvolte nel fenomeno) e che ad esse non sarebbe giusto che venissero date delle risposte, ovviamente e auspicabilmente meno degradanti e più gratificanti.
La stessa funzione più o meno la svolge anche la pornografia.
Con la differenza che la prostituzione è pratica reale, materiale; la pornografia è pratica soprattutto dell’immaginario.
La funzione sociale della prostituzione è, infatti, quella di soddisfare in qualche modo, per quanto, come dicevo prima, del tutto insoddisfacente e surrogatorio, un istinto, una pulsione, che altrimenti rimarrebbero del tutto negati, frustrati.
La funzione sociale più specifica della pornografia è, invece, quella di sdoganare (almeno a livello dell’immaginario, del cosiddetto “virtuale”) ciò che nella pratica reale viene considerato proibito, perché giudicato peccaminoso o, quantomeno, offensivo del “comune senso del pudore”.
“Comune senso del pudore” che – lo sappiamo benissimo – è un valore quantomeno elastico, anzi estremamente variabile, a seconda dei contesti geografici e dei tempi storici.
In questo senso la pornografia (o, meglio, ciò che viene ritenuto pornografico in un determinato contesto sociale) aiuta (o quantomeno può aiutare, almeno in alcuni casi) chi vi fa ricorso a liberarsi di pregiudizi e tabù sociali che non hanno nessun fondamento reale obiettivo nel codice etico naturale, ma sono solo (almeno in alcuni casi) il frutto di proibizioni di una società repressiva, ancora lontana dall’aver espresso tutto il suo pieno potenziale libidico.
La pornografia contribuisce, quindi, ad alzare (o ad abbassare: dipende dai punti di vista, dall’ottica morale dalla quale ci poniamo) sempre di più il livello dell’asticella che separa ciò che nel sesso – in un dato momento storico – viene ritenuto socialmente lecito da ciò che è considerato ancora illecito.
E in questo senso può svolgere (e in alcuni casi effettivamente svolge), pur con tutti i suoi grandi limiti e le sue forti contraddizioni (che qui, sia bene inteso, non intendo minimamente nascondermi o sottovalutare), una sua (per certi aspetti persino utile) funzione culturale e, quindi, sociale.
© Giovanni Lamagna
Pubblicato su antropologia, costume, etica, morale, Psicologia, sessualità, società, sociologia, storia
Tag: codice etico naturale, comune senso del pudore, contesti geografici, contraddizioni, coppia, funzione culturale, funzione sociale, illecito, immaginario, istinto, lecito, legame coniugale, limiti, mercato, partner, pornografia, potenziale libidico, pregiudizi, proibizioni, prostituzione, pulsione, sesso, sessualità, sfruttamento, società repressiva, tabù sociali, tempi storici, virtuale