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Obbedienza e disobbedienza alle leggi.

Una cosa è denunciare la quota di ingiustizia e di ipocrisia presente in molte leggi degli uomini, quando si propongono di reprimere tout court la pulsione, anziché limitarsi a controllarne e incanalarne l’energia.

In questi casi non solo “l’obbedienza non è più una virtù”, ma sono lecite, anzi sacrosante, l’obiezione di coscienza e, quindi, la disobbedienza, la ribellione alle leggi ingiuste o anche solo ipocrite.

Altra cosa è negare la funzione stessa della Legge, di qualsiasi legge, anche la più utile a regolare i rapporti tra gli uomini e limitare la libertà dei singoli per garantire la libertà (quella possibile e mai assoluta) di tutti.

In questi casi la disobbedienza non solo non è una virtù, ma è un vizio, che conduce (seppure conduce) al godimento; ma a un godimento mortifero e autodistruttivo, oltre che distruttivo delle relazioni sociali.

© Giovanni Lamagna

Fatti e interpretazioni.

Nessuno di noi vede i fatti, le cose, le persone, insomma la cosiddetta “realtà”, per quelli che sono.

Ma ciascuno di noi vede la “realtà” filtrata sempre attraverso le lenti della sua interpretazione: quella che Massimo Recalcati chiama “il nostro fantasma fondamentale”.

Per cui possiamo ben dire che ci sono tante “realtà” quanti sono i soggetti che la osservano; non vi è una sola realtà uguale per tutti.

In fondo anche Nietzsche aveva detto la stessa cosa, estremizzando forse un po’ troppo: “Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni”.

© Giovanni Lamagna