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Fondo depressivo.

Dice Recalcati: “… (c’è un) fondo depressivo che accompagna ogni fine analisi che, come tale, implica sempre l’incontro del soggetto con l’inesistenza dell’Altro.”.

Io aggiungo: c’è un fondo depressivo che accompagna ogni distacco, ogni separazione, ogni lontananza.

E, quindi, ogni trasloco, ogni fine estate, ogni fine vacanza o viaggio, perfino la fine della lettura di un libro che ci aveva particolarmente coinvolto, appassionato.

© Giovanni Lamagna

Fuga dal dolore della perdita, reale o anche solo temuta.

Il concetto di “fuga nella guarigione” in psicoterapia è molto importante.

Esso sta a indicare che il soggetto precorre i tempi della guarigione; si illude di essere guarito anzitempo, appena si sente un po’ meglio e più rinfrancato, rispetto alla condizione in cui si trovava quando era entrato in terapia.

In questo caso il soggetto, anziché elaborare fino in fondo il “lutto”, da cui derivava la sua sofferenza (cioè la perdita, la mancanza, dell’oggetto a lui più caro, per lui fondamentale), prende una scorciatoia per risolvere velocemente, il più in fretta possibile, il lutto.

Trova cioè un sostituto dell’oggetto perduto prima di averne elaborata fino in fondo la perdita o l’assenza.

In questo modo l’oggetto sostituto surroga (anche se al momento e solo provvisoriamente e superficialmente) l’assenza dell’oggetto perduto e non consente una piena e risolutiva elaborazione del lutto.

Che continuerà, quindi, ad agire in maniera subdola e sotterranea nella psiche del soggetto, che non lo ha veramente elaborato del tutto, minandone, corrodendone l’equilibrio e il benessere psichico.

Oltre a impedirgli di trovare un vero sostituto, all’altezza dell’oggetto d’amore perduto, e non un suo surrogato, che ovviamente non sarà mai in grado di riempire il vuoto creato dal lutto.

p. s. Questo movimento si verifica spesso anche fuori della psicoterapia, nelle normali relazioni.

Quando, di fronte ad un abbandono o anche solo alla sua minaccia, una persona sostituisce subito o addirittura preventivamente l’oggetto d’amore perduto, anziché elaborare fino in fondo il dolore della perdita subita o anche solo temuta.

© Giovanni Lamagna

Alcune semplici domande agli attuali governanti degli Stati del mondo.

Nel Vangelo di Luca (14; 31-32) Gesù racconta la seguente parabola:

… se un re va in guerra contro un altro re, che cosa fa prima di tutto?

Si mette a calcolare se con diecimila soldati può affrontare un nemico che avanza con ventimila, non vi pare?

Se vede che non è possibile, allora manda dei messaggeri incontro al nemico; e mentre il nemico si trova ancora lontano gli fa chiedere quali sono le condizioni per la pace.”

Questa parabola di Gesù a me sembra che oggi potrebbe essere raccontata così.

Se il capo di un piccolo Stato è consapevole che non potrà reggere lo scontro armato con il capo di un grande Stato (dotato, tra l’altro, di bomba atomica), cosa fa?

Va alla guerra, magari cercando aiuti militari a capi di Stato amici, o cerca forme di mediazione e di accordo, magari cedendo parte dei suoi territori al nemico per rabbonirlo e non esserne sopraffatto o, addirittura, annientato?

Mettiamo pure che ottenga gli aiuti richiesti e vada alla guerra!

Se, dopo lunghi mesi o anni di guerra, vede che non è riuscito a respingere l’esercito nemico che ha invaso il suo territorio e che questo è soggetto ogni giorno di più a nuove e immani distruzioni e che milioni di suoi concittadini hanno abbandonato le loro terre, per rifugiarsi all’estero e sfuggire ai disastri della guerra, cosa fa, continua a chiedere nuovi e sempre più potenti aiuti militari o va ad un accordo?

E i capi di Stato, che gli hanno dato, per mesi o magari anni, aiuti militari per impedirne la sconfitta, a questo punto cosa faranno?

Manderanno nuovi aiuti in armi e alfine truppe, allargando così il conflitto da locale a continentale e poi, inevitabilmente, mondiale?

E a voi pare che il gioco valga la candela?

Qualcuno replicherà: ma allora cosa dovrebbero fare il capo del piccolo Stato aggredito e i capi di Stato che lo hanno aiutato? dovrebbero accettare le condizioni del capo dello Stato aggressore? in altre parole dovrebbero arrendersi?

Risposta alla replica: e vi pare che, invece, valga la pena, per non cedere pochi e piccoli territori contesi in una guerra locale, andare ad un conflitto mondiale e, a questo punto, inevitabilmente atomico, che significherebbe la fine molto probabile, se non proprio del tutto sicura, dell’intera Umanità?

Vi pare che il gioco valga la candela?

Vi pare che questo suggerisca la parabola evangelica?

Non solo; ma che questo suggeriscano anche il normale buonsenso e la saggezza che dovrebbe contraddistinguere chi è chiamato ad alti compiti di governo di uno Stato?

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p. s. con l’augurio di buona Pasqua… nonostante tutto!… con l’augurio che la Saggezza prevalga sulla Follia… con l’augurio – soprattutto – che ognuno di noi sia capace di opporsi alla Follia che in questo momento sembra stia prevalendo…

Sì, perché, se ognuno di noi saprà opporsi alla Follia dei capi di Stato che ci governano, nessun capo di Stato, nessun governo, nessun Parlamento potranno imporci la loro follia…

Se, invece, non saremo capaci di farlo, se non lo faremo in tanti, tanti di più di quelli che vogliono la guerra, nessun augurio di buona Pasqua avrà quest’anno senso: è meglio esserne consapevoli…

© Giovanni Lamagna

Super-io e Ideale dell’Io.

Una cosa è il cosiddetto “Super-io”, altra cosa è il cosiddetto “Ideale dell’Io”: entrambe espressioni del linguaggio di Freud.

Il Super-ego è un “ideale” sovra-imposto autoritariamente al soggetto dal contesto sociale (specie quello familiare) in cui egli è nato, è cresciuto o nel quale vive in un dato momento.

L’Ideale dell’Io è quell’ideale che il soggetto stesso autonomamente si è dato, come risultato di un compromesso voluto, ricercato, tra le istanze dell’Es, che lo spingono verso il piacere assoluto, e le istanze della Realtà, fisica, materiale o sociale in cui egli vive, che a quel piacere tendono a porre dei limiti.

In altre parole – a voler usare, invece, termini di Lacan – l’Ideale dell’Io è il risultato della mediazione raggiunta tra il “desiderio” e la “Legge”.

Del Super-ego il soggetto è succube e vittima.

Il Super-ego agisce nel soggetto sotto traccia e in maniera subdola, attraverso i sensi di colpa.

Dell’Ideale dell’Io il soggetto è autore e attore.

L’Ideale dell’Io agisce nel soggetto alla luce del sole, attraverso il senso di responsabilità.

© Giovanni Lamagna

“Reale” e “realtà”, simbolizzazione e sublimazione.

Per Lacan esiste una differenza tra il “reale” e la “realtà”.

La “realtà” è il “reale” nel quale è sopravvenuto il simbolico, è il reale attraversato dal simbolico, rivestito dal simbolico.

La “realtà” sopravviene per il soggetto, quando questi ha attraversato il conflitto edipico, ha vissuto cioè “la legge della castrazione”.

Il simbolico sopravviene quando il soggetto è capace di non godere più immediatamente della “Cosa”, di rinviarne il godimento, quando, in altre parole, è capace di sublimare.

Sublimare, in fondo, è la stessa cosa che simbolizzare.

Sublimare e simbolizzare costituiscono la coscienza, che in fondo è la presa di distanza dal “reale” allo stato puro, è la costituzione della diade “Io-Altro”.

© Giovanni Lamagna

L’uomo è diviso; è un puzzle.

Il soggetto uomo – anche l’uomo sano, il cosiddetto “normale” – non è affatto una realtà unitaria, compatta, solida, come siamo portati a pensarlo.

Ma è “multiplo, decomposto, equivoco”, come dice Recalcati, nel suo “In cammino nella psicoanalisi” (Mimesis 2016; pag. 162).

Da questo punto di vista le nevrosi e, ancora di più, le psicosi mettono in rilievo, perché portano all’ennesima potenza, quella che è la costituzione fondamentale, strutturalmente divisa e niente affatto unitaria, del soggetto uomo, anche del soggetto sano, cosiddetto “normale”.

© Giovanni Lamagna

Sull’inconscio.

Secondo Lacan “il soggetto dell’inconscio non è il contrario della ragione, non è il suo opposto irriducibile, …” (Massimo Recalcati; “Un cammino nella psiconalisi”; Mimesis 2016; p. 147).q

Ma, a mio avviso, non è neanche “una sua espressione fondamentale”, come invece sostiene lo stesso Lacan (ibidem).

Per me l’inconscio è un misto di razionale e irrazionale, di ragione ed emozione, di passione e sapere.

È il luogo della verità fondamentale del soggetto, laddove risiede la sua “passione più singolare”, il sito dove alberga il suo desiderio più profondo.

Ma è anche il luogo dove risiedono le sue pulsioni (potenzialmente) omicide e suicide, le sue tendenze necrofile, autodistruttive e distruttive.

© Giovanni Lamagna

“Ripetizione” e “ritorno del rimosso”.

Molto importante e interessante la distinzione che fa Massimo Recalcati tra il concetto di “ripetizione” e quello di “ritorno del rimosso”. (da “Un cammino nella psicoanalisi”; Mimesis 2016 ; p. 84-86)

Il “ritorno del rimosso” è il riaffiorare del desiderio che è stato allontanato dalla coscienza.

Esso si manifesta attraverso gli atti mancati, il sintomo, i lapsus, il sogno, i motti di spirito.

È, quindi, in qualche modo un segnale di vitalità del soggetto, anche se confligge con la sua vita conscia.

È il desiderio inconscio che ribolle ed affiora – sia pure in forme improprie, deviate, potremmo anche dire “travestite” – dall’interno verso l’esterno.

La “ripetizione” è, invece, la tendenza a ripetere nella vita conscia le situazioni del passato, nelle quali il desiderio del soggetto si è bloccato ed ha assunto una forma perversa, regressiva: invece di aprirsi alla vita, si è chiuso, anestetizzato.

La “ripetizione”, dunque, sa totalmente di morte, laddove il “ritorno del rimosso” sa, invece, comunque e in qualche modo, di vita, è la vita che si apre un varco, prova a riaffiorare da una situazione mortifera.

© Giovanni Lamagna

Coscienza e in-coscienza.

La nostra coscienza – potremmo dire – è fatta a multistrati.

Da uno strato di consapevolezza piena, più o meno estesa a seconda delle persone.

E da strati via, via sempre più decrescenti di consapevolezza, sempre meno consapevoli e sempre più inconsapevoli, che vanno dal preconscio al subconscio.

Fino all’ inconscio puro: uno strato di coscienza che comunque è in grado di muovere e guidare le emozioni, i pensieri e le azioni, ma senza che il soggetto cosciente (o, meglio, in-cosciente) ne sia padrone.

© Giovanni Lamagna

Lo snodo decisivo di ogni psicoterapia.

È il movimento che accade in ogni analisi: il soggetto incontra una verità che rifiutava accanitamente, pur dichiarando di averla voluta ricercare con tutte le sue forze. Questa verità coincide con il peggio di noi stessi.” (Massimo Recalcati; “Il segreto del figlio”; Feltrinelli 2017; p.53)

Io mi permetto di aggiungere: questa verità/rivelazione può essere talmente luminosa, solare, abbagliante, da accecare; da costituire quindi un trauma simile, pari per intensità, a quello da cui era derivata la rimozione della verità, che aveva poi provocato la nevrosi.

Tanto è vero che l’analisi, giunta a questo punto, può impantanarsi.

Perché da un lato il soggetto vuole sapere, in quanto inconsciamente coglie che, se non scopre la verità su sé stesso, egli non sarà mai libero (“…la verità vi farà liberi”; Vangelo di Giovanni 8, 32).

Dall’altro ha la sensazione che la scoperta della verità può essere talmente traumatica per lui da sommergerlo, da provocargli un tracollo psicotico peggiore della nevrosi da cui voleva guarire.

In questo snodo l’analisi gioca il suo esito, che non può mai essere dato per scontato quando inizia un percorso terapeutico.

Questo esito sarà positivo, evolutivo, progressivo, se il paziente sarà in grado di affrontare e reggere il peso della verità su sé stesso.

Sarà negativo, involutivo e regressivo, se il paziente non avrà il coraggio e la forza di reggerlo e vi si sottrarrà, preferendo continuare a coltivare illusioni su sé stesso.

© Giovanni Lamagna