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La grandezza di Giorgio Gaber.

A mio avviso Gaber è stato grande sempre, anche agli inizi, quando faceva il rockettaro.

La sua grandezza ovviamente è stata confermata, anzi accresciuta, dal fatto che nel corso degli anni si è evoluto, ha avuto un percorso, è andato avanti, non è rimasto fermo al rock.

Anche se il suo non è mai stato un rock puro, rozzo, elementare; era un rock colto, mescolato col jazz; e questo sin dagli esordi.

Gaber è stato, oltre che un cantante meraviglioso, dalla voce calda e profonda, melanconica e allegra, dura e romantica allo stesso tempo, un formidabile uomo (anzi, animale) di spettacolo: cantava e parlava col volto e col corpo, oltre che con la bocca.

Lo si è visto subito, sin dalle sue prime apparizioni televisive; e, infatti, ha avuto da subito un grande successo.

Anche se il Gaber che resta di più nei miei ricordi e che ha segnato la mia vita negli anni ’70 è il Gaber del teatro-canzone; qui Gaber ha dato, secondo me, il meglio di sé, anche grazie alla collaborazione col grande Sandro Luporini.

Di questo Gaber, poi, in modo particolare ricordo (ed è questo il Gaber nel quale più mi riconosco) la capacità di denunciare – e la forza, il coraggio, l’anticonformismo con cui lo ha fatto – le derive involutive di una certa sinistra movimentista, quella che in una prima fase si era riconosciuta in lui e che lui a suo modo aveva rappresentato e che, infatti, cominciò a contestarlo, perché completamente priva di spirito autocritico, mentre Gaber, al contrario, era uno che si metteva continuamente in discussione.

La capacità di denunciare gli ideologismi, le astrattezze, la violenza (verbale e fisica), la cecità rispetto al dato personale e concreto (“voglio parlare di Maria”), il rivoluzionarismo parolaio, la finta democrazia assembleare; in questo ricordava – è evidente – il Pasolini degli “Scritti corsari”.

È questo il Gaber – anche se di lui mi piace (quasi) tutto, anche il primo, quello rockettaro – che resterà per sempre maggiormente nei miei ricordi e che ieri mi ha fatto ancora una volta piangere e commuovere, mentre vedevo il film documentario che gli ha dedicato Riccardo Milani a venti anni dalla sua morte.

© Giovanni Lamagna