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Apparire.

Noi abbiamo il dovere non di apparire belli e piacenti agli occhi degli altri (se non lo siamo, non possiamo neanche apparirlo), ma di mostrarci quantomeno al meglio di noi stessi, delle nostre potenzialità, sia fisiche che spirituali.

Se vogliamo davvero loro bene.

L’occhio (sia quello fisico che quello spirituale) vuole, infatti, la sua parte.

Quindi lo dobbiamo fare non (solo) per narcisismo.

Che poi – entro certi limiti – è del tutto lecito; infatti, anche il nostro occhio (sia interiore che esteriore) vuole la sua parte.

Ma (anche e, forse, soprattutto) per altruismo.

Se vogliamo fare stare bene gli altri, quando stanno con noi.

© Giovanni Lamagna

Non sempre l’obbedienza alla Legge è una virtù.

L’unica funzione che riconosco legittima della Legge (sia quella giuridica che quella morale) è di far presente al soggetto i limiti che impone la Realtà.

Quando la Legge pretende di imporre limiti che niente hanno a che fare con il principio freudiano di realtà, commette un abuso.

E’, a mio avviso, una Legge… fuori legge, una legge capricciosa; alla quale, quindi, è lecito disobbedire.

Non sempre, allora, l’obbedienza è una virtù etica.

Anzi, in certi casi, disobbedire è un dovere morale.

© Giovanni Lamagna

Sesso e consenso.

Nel sesso tutto è moralmente (oltre che giuridicamente) lecito, se incontra il consenso libero dell’altro/a e se non offende la sensibilità, il “senso del pudore” di terzi.

Sono leciti tutti i desideri, tutte le fantasie, tutte le parole, tutte le posizioni, tutte le situazioni, perfino quelle che una volta la psichiatria giudicava “perversioni”.

Dal momento che – come ci hanno insegnato Freud e la psicoanalisi, rivoluzionando la psichiatria classica – la sessualità umana, al contrario di quella bestiale, è per sua natura “perversa e polimorfa”.

Nel senso che l’uomo riesce, quando vuole, a separarla (perciò, “perversa”) dal suo scopo biologico primario, quello della procreazione, ed è capace di viverla nelle forme più varie e diverse (perciò, “polimorfa”).

Ovviamente per consenso libero si intende un consenso non comprato, non ricevuto per circonvenzione d’incapace, né, tantomeno, estorto con la violenza fisica o morale.

Ogni riferimento a Silvio Berlusconi (pace all’anima sua!) è puramente casuale; anche se la sua morte recente mi ha dato lo spunto per questa riflessione.

© Giovanni Lamagna

Funzione sociale di pornografia e prostituzione

Sono convinto che la pornografia svolga una sua funzione sociale. Così come la svolge, perfino, la prostituzione.

Il fatto che poi entrambi i fenomeni siano terreno fertile per un mercato obiettivamente di basso livello speculativo e, in certi casi (soprattutto nel campo della prostituzione), di sfruttamento perfino criminale, non invalida l’assunto – altrettanto obiettivo – della loro indubbia funzione sociale.

La prostituzione risponde alla domanda (soprattutto maschile, ma che da un po’ di tempo sta diventando anche femminile) di una sessualità diversa, altra, diciamo pure trasgressiva, rispetto ai canoni della sessualità di norma vissuta all’interno del legame coniugale o, quantomeno, della coppia stabile.

Oltre che alla domanda ovvia di chi, non avendo un partner fisso, in questo modo soddisfa le sue voglie sessuali.

Domande (entrambe) alle quali il più delle volte vengono date risposte scadenti e, nella grande maggioranza dei casi, del tutto insoddisfacenti o addirittura frustranti.

Il che non vuol dire che le domande in sé non abbiano un loro fondamento (se non fosse così, non si capirebbe perché milioni di persone nel mondo siano coinvolte nel fenomeno) e che ad esse non sarebbe giusto che venissero date delle risposte, ovviamente e auspicabilmente meno degradanti e più gratificanti.

La stessa funzione più o meno la svolge anche la pornografia.

Con la differenza che la prostituzione è pratica reale, materiale; la pornografia è pratica soprattutto dell’immaginario.

La funzione sociale della prostituzione è, infatti, quella di soddisfare in qualche modo, per quanto, come dicevo prima, del tutto insoddisfacente e surrogatorio, un istinto, una pulsione, che altrimenti rimarrebbero del tutto negati, frustrati.

La funzione sociale più specifica della pornografia è, invece, quella di sdoganare (almeno a livello dell’immaginario, del cosiddetto “virtuale”) ciò che nella pratica reale viene considerato proibito, perché giudicato peccaminoso o, quantomeno, offensivo del “comune senso del pudore”.

“Comune senso del pudore” che – lo sappiamo benissimo – è un valore quantomeno elastico, anzi estremamente variabile, a seconda dei contesti geografici e dei tempi storici.

In questo senso la pornografia (o, meglio, ciò che viene ritenuto pornografico in un determinato contesto sociale) aiuta (o quantomeno può aiutare, almeno in alcuni casi) chi vi fa ricorso a liberarsi di pregiudizi e tabù sociali che non hanno nessun fondamento reale obiettivo nel codice etico naturale, ma sono solo (almeno in alcuni casi) il frutto di proibizioni di una società repressiva, ancora lontana dall’aver espresso tutto il suo pieno potenziale libidico.

La pornografia contribuisce, quindi, ad alzare (o ad abbassare: dipende dai punti di vista, dall’ottica morale dalla quale ci poniamo) sempre di più il livello dell’asticella che separa ciò che nel sesso – in un dato momento storico – viene ritenuto socialmente lecito da ciò che è considerato ancora illecito.

E in questo senso può svolgere (e in alcuni casi effettivamente svolge), pur con tutti i suoi grandi limiti e le sue forti contraddizioni (che qui, sia bene inteso, non intendo minimamente nascondermi o sottovalutare), una sua (per certi aspetti persino utile) funzione culturale e, quindi, sociale.

© Giovanni Lamagna

Il genio di Tinto Brass

Il genio di Tinto Brass (perché di vero e proprio genio, a mio avviso, si tratta) è stato quello di demistificare il sesso e, in fondo, lo stesso amore erotico.

E così depurarlo, ripulirlo (non suoni paradossale l’uso di tali termini), mi verrebbe di dire (a voler usare una metafora quanto mai appropriata in questo caso) svestirlo dei suoi (falsi) miti.

Per secoli, anzi per millenni, il sesso e l’amore erotico sono stati, infatti, avvolti da un alone di sacralità, in ogni epoca e latitudine, del tutto smentita dalla realtà concreta dei fatti; e quindi sostanzialmente ipocrita.

Gli “ideali” della fedeltà e della monogamia hanno costruito scale di valori dai più formalmente condivisi e sottoscritti perfino con atti solenni (come il matrimonio), ma dagli stessi poi praticamente, in moltissimi casi, disattesi, traditi.

Tinto Brass ha avuto, a mio avviso, il grande merito, assieme a pochi altri, ma forse ancora più di altri, di sollevare il velo di questa grande ipocrisia sociale.

E di affermare (verrebbe di dire, nel senso letterale e mai così appropriato dell’espressione) “il Re è nudo!”.

Con questo attirandosi montagne di critiche dal pubblico colto e il rifiuto sprezzante del pubblico perbenista; mai come in questo caso perfettamente in accordo.

Tale dissacrazione (pars destruens) ha così restituito (pars costruens) al sesso e all’erotismo la sua dimensione primaria, primitiva, naturale e connaturata di gioco, in cui tutto è innocente e, quindi, tutto (tranne la violenza, che, guarda caso, non compare mai nei suoi film) è lecito.

In cui lo stesso (cosiddetto) “tradimento”, lungi dal costituire un vulnus (da alcuni ritenuto perfino insanabile) al rapporto erotico tra due persone, può affermarsi, invece, addirittura come un fattore di complicità tra gli amanti e, quindi, un elemento stimolante, intrigante, del loro gioco erotico.

Rinnovandolo di continuo e regalandogli quell’adrenalina che è invece così facile si affievolisca col tempo, con il risultato di inaridire la passione e far venir meno, quindi, quel desiderio reciproco che aveva dato origine alla relazione erotica.

© Giovanni Lamagna