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L’uomo non è né angelo né diavolo, ma diavolo e angelo allo stesso tempo.

Freud, ne “Il disagio della civiltà” (1929), così scrive:

… l’uomo non è una creatura mansueta, bisognosa d’amore, capace, al massimo, di difendersi se viene attaccata; ma … occorre attribuire al suo corredo pulsionale anche una buona dose di aggressività.

Ne segue che egli vede nel prossimo non soltanto un eventuale aiuto e oggetto sessuale, ma anche un invito a sfogare su di lui la propria aggressività, a sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, ad abusarne sessualmente senza il suo consenso, a sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, ad umiliarlo, a farlo soffrire, a torturarlo e a ucciderlo.

Homo homini lupus: chi ha il coraggio di contestare quest’affermazione dopo tutte le esperienze della vita e della storia?

Questa crudele aggressività è di regola in attesa di una provocazione, oppure si mette al servizio di qualche altro scopo, che si sarebbe potuto raggiungere anche con mezzi più benigni.

In circostanze estreme che le sono propizie, quando le forze psichiche contrarie che ordinariamente la inibiscono cessano di operare, essa si manifesta anche spontaneamente e rivela nell’uomo una bestia selvaggia, alla quale è estraneo il rispetto per la propria specie.”

Vorrei commentare brevemente queste tesi freudiane.

Non certo per mettere in discussione che molte delle affermazioni sostenute qui da Freud corrispondano alla verità.

Ma solo per contestare che esse siano del tutto vere, l’unica verità sulla natura umana.

Io concordo che l’uomo non sia una creatura (solo o del tutto) mansueta: sarebbe certamente una falsità affermarlo.

Indubbiamente – come dice Freud – al suo corredo pulsionale appartiene (anche) una buona dose di aggressività.

Contesto, invece, che l’uomo sia solo un lupo in mezzo ad altri lupi (homo homini lupus), come sembra concludere Freud nel passo sopra citato, riprendendo una famosa tesi di Hobbes.

No, io – onestamente, proprio guardando alle esperienze della mia vita e alla storia, come ci invita a fare Freud – non riesco a condividere una tale tesi.

Che mi appare anch’essa estrema e unilaterale, come quella opposta e speculare dell’uomo naturalmente buono di – per citare un solo nome – Rousseau.

D’altra parte lo stesso Freud sembra (almeno in parte) contraddirla, quando riconosce che ordinariamente ci sono nell’uomo forze psichiche che inibiscono la sua aggressività, la quale esplode solo “in circostanze estreme”.

Questo mi porta a pensare: se esistono nell’uomo forze psichiche che normalmente inibiscono la sua aggressività, da qualche parte esse devono pur scaturire.

E da dove scaturirebbero, se esse non facessero parte intrinseca della sua natura?

La mia tesi, pertanto, è che l’uomo non sia né tutto buono, né tutto cattivo, né sempre mansueto come un agnellino, né sempre feroce come un lupo.

Ma costituisca un impasto complesso di mansuetudine e di aggressività, di amore e di odio, di tensione alla cooperazione, alla generosità e al rispetto per gli altri e, allo stesso tempo, di propensione alla competizione, allo sfruttamento, all’invidia e alla gelosia.

La constatazione che in alcuni uomini prevalgano nettamente la cattiveria e la malvagità (la Storia ce ne mostra indubbiamente infiniti esempi) non smentisce e non annulla il fatto che in altri uomini (la stessa Storia ce ne mostra altrettanto numerose testimonianze) prevalgano la bontà e la dedizione agli altri.

Ne deduco, in conclusione, che questo è l’Uomo: né angelo, né diavolo, ma angelo e diavolo allo stesso tempo!

© Giovanni Lamagna

Funzione sociale di pornografia e prostituzione

Sono convinto che la pornografia svolga una sua funzione sociale. Così come la svolge, perfino, la prostituzione.

Il fatto che poi entrambi i fenomeni siano terreno fertile per un mercato obiettivamente di basso livello speculativo e, in certi casi (soprattutto nel campo della prostituzione), di sfruttamento perfino criminale, non invalida l’assunto – altrettanto obiettivo – della loro indubbia funzione sociale.

La prostituzione risponde alla domanda (soprattutto maschile, ma che da un po’ di tempo sta diventando anche femminile) di una sessualità diversa, altra, diciamo pure trasgressiva, rispetto ai canoni della sessualità di norma vissuta all’interno del legame coniugale o, quantomeno, della coppia stabile.

Oltre che alla domanda ovvia di chi, non avendo un partner fisso, in questo modo soddisfa le sue voglie sessuali.

Domande (entrambe) alle quali il più delle volte vengono date risposte scadenti e, nella grande maggioranza dei casi, del tutto insoddisfacenti o addirittura frustranti.

Il che non vuol dire che le domande in sé non abbiano un loro fondamento (se non fosse così, non si capirebbe perché milioni di persone nel mondo siano coinvolte nel fenomeno) e che ad esse non sarebbe giusto che venissero date delle risposte, ovviamente e auspicabilmente meno degradanti e più gratificanti.

La stessa funzione più o meno la svolge anche la pornografia.

Con la differenza che la prostituzione è pratica reale, materiale; la pornografia è pratica soprattutto dell’immaginario.

La funzione sociale della prostituzione è, infatti, quella di soddisfare in qualche modo, per quanto, come dicevo prima, del tutto insoddisfacente e surrogatorio, un istinto, una pulsione, che altrimenti rimarrebbero del tutto negati, frustrati.

La funzione sociale più specifica della pornografia è, invece, quella di sdoganare (almeno a livello dell’immaginario, del cosiddetto “virtuale”) ciò che nella pratica reale viene considerato proibito, perché giudicato peccaminoso o, quantomeno, offensivo del “comune senso del pudore”.

“Comune senso del pudore” che – lo sappiamo benissimo – è un valore quantomeno elastico, anzi estremamente variabile, a seconda dei contesti geografici e dei tempi storici.

In questo senso la pornografia (o, meglio, ciò che viene ritenuto pornografico in un determinato contesto sociale) aiuta (o quantomeno può aiutare, almeno in alcuni casi) chi vi fa ricorso a liberarsi di pregiudizi e tabù sociali che non hanno nessun fondamento reale obiettivo nel codice etico naturale, ma sono solo (almeno in alcuni casi) il frutto di proibizioni di una società repressiva, ancora lontana dall’aver espresso tutto il suo pieno potenziale libidico.

La pornografia contribuisce, quindi, ad alzare (o ad abbassare: dipende dai punti di vista, dall’ottica morale dalla quale ci poniamo) sempre di più il livello dell’asticella che separa ciò che nel sesso – in un dato momento storico – viene ritenuto socialmente lecito da ciò che è considerato ancora illecito.

E in questo senso può svolgere (e in alcuni casi effettivamente svolge), pur con tutti i suoi grandi limiti e le sue forti contraddizioni (che qui, sia bene inteso, non intendo minimamente nascondermi o sottovalutare), una sua (per certi aspetti persino utile) funzione culturale e, quindi, sociale.

© Giovanni Lamagna

Il ribelle e il rivoluzionario.

Il ribelle è contro lo stato di cose presente, ma non ha un’idea chiara e pienamente consapevole del modo di vivere che vuole sostituirgli.

Anzi spesso è culturalmente succube dello stato di cose presente. E, mentre lo contrasta a parole e nei gesti esteriori e superficiali, ne copia molti comportamenti e alcune scelte fondamentali.

Il rivoluzionario è anche lui, ovviamente, contro lo stato di cose presente. Ma si è formato una idea chiara e abbastanza precisa del mondo che vuole sostituirgli.

Soprattutto, comincia a praticare modelli di vita alternativi a quelli presenti e prevalenti. Anticipa in sé, nella sua vita personale e in quel poco o molto di comunità che riesce a creare attorno a sé o di cui fa parte, lo stato di cose futuro che vuole sostituire allo stato di cose presente.

Ad esempio, sostituisce nei suoi comportamenti allo stile di vita basato sull’avere, cioè sull’accumulazione sempre maggiore di beni materiali (tipico della società capitalistica), uno stile di vita basato sull’essere, che privilegia i beni spirituali e relazionali rispetto a quelli puramente oggettuali e di scambio, sostituisce ai valori della ricchezza materiale e del possesso quelli della sobrietà e del distacco.

Al modello relazionale prevalente, basato sulla competizione e, perfino, talvolta, sull’odio sostituisce quello fondato sulla cooperazione e sulla fraternità. Alla violenza risponde con la nonviolenza.

E, senza attendere la palingenesi di una società senza più classi sociali o senza più nessuna forma di sfruttamento e di guerra, in un certo senso anticipa in sé, nella sua vita privata e relazionale, la società che vorrebbe vedere realizzata all’esterno di sé, in un futuro più o meno lontano, più o meno prossimo.

Spesso il ribelle e il rivoluzionario vengono identificati nell’immaginario collettivo. Per i più il ribelle e il rivoluzionario sono la stessa cosa. Mentre si tratta di due figure o, meglio, di due modi di essere, due stili di vita molto diversi tra di loro.

Di più. Da alcuni il ribelle viene considerato il vero rivoluzionario. E il vero rivoluzionario viene considerato un moderato, se non un vero e proprio conformista, cioè uno incline ad accettare lo stato di cose presente.

In altre parole, per alcuni, il vero rivoluzionario è una persona che si è adattata. Solo perché non ama fare ricorso a parole e discorsi roboanti o a gesti ed azioni eclatanti.

Ma questo modo diffuso di considerare il ribelle e il rivoluzionario non corrisponde per niente alla realtà.

Il ribelle spesso è una persona superficiale. Che si ribella perché in una certa fase è di moda farlo. Passata la moda, rientra pienamente nei ranghi e diventa un conformista.

Si è, infatti, spesso ribelli da giovani. Perché è di moda esserlo in quella fase della vita. Ma quanti, che erano ribelli da giovani, sono diventati poi moderati da adulti o si sono adattati pienamente con l’avanzare degli anni!

Il rivoluzionario non segue nessuna moda. Anzi è contro le mode. Nasce (o, meglio, diventa, con il maturare della sua coscienza) rivoluzionario e muore rivoluzionario. Non cambia bandiera o partito con gli anni. Non diventa moderato col passare del tempo. Anzi con gli anni, talvolta, radicalizza le sue posizioni.

C’è grande differenza tra un semplice ribelle e un vero rivoluzionario. Impariamo a distinguere il grano dal loglio. Non sempre è oro ciò che luccica.

Giovanni Lamagna

Sesso e potere.

10 aprile 2016

Sesso e potere.

Esiste un rapporto tra sesso e potere, come afferma Foucault?

Certo che esiste!

Infatti, nel momento in cui io provoco un desiderio sessuale in te o tu provochi un desiderio sessuale in me, io divento (in qualche misura, più o meno intensa) dipendente da te e tu diventi dipendente da me.

Quindi io ho un potere su di te e tu hai un potere su di me. Oggettivamente. A prescindere dalle nostre volontà e intenzioni.

Potere che possiamo esercitare positivamente, cioè per la reciproca soddisfazione, io dando piacere a te e tu dando piacere a me.

In questo caso la dimensione e la motivazione del piacere sessuale prevalgono su quella del potere fine a se stesso.

Se, invece, io o tu (o entrambi) vogliamo approfittare di questo potere di cui disponiamo, per affermare, con qualche intenzionalità (o anche senza nessuna intenzionalità cosciente), la superiorità di uno dei due sull’altro/a, stabilire cioè una qualche gerarchia di potere tra noi, in altre parole far valere in termini di sfruttamento la dipendenza dell’altro/a da noi, allora il nostro rapporto (sessuale) diventa un vero e proprio rapporto di potere.

Anzi un conflitto di potere, una lotta per il potere.

Che si può esercitare anche (e persino), per fare un esempio, negandosi sessualmente all’altro/a, pur provando attrazione per l’altro/a e desiderio di fare sesso con l’altro/a.

In questo caso il piacere che può derivare da un rapporto sta più nel godimento del potere esercitato che nel godimento del sesso praticato.

Purtroppo bisogna prendere atto che molti rapporti sessuali tendono più al primo tipo di godimento che al secondo. Sono rapporti, quindi, in qualche modo pervertiti. Nel senso che hanno deviato dalla loro natura originaria.

Giovanni Lamagna