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Fuga dal dolore della perdita, reale o anche solo temuta.

Il concetto di “fuga nella guarigione” in psicoterapia è molto importante.

Esso sta a indicare che il soggetto precorre i tempi della guarigione; si illude di essere guarito anzitempo, appena si sente un po’ meglio e più rinfrancato, rispetto alla condizione in cui si trovava quando era entrato in terapia.

In questo caso il soggetto, anziché elaborare fino in fondo il “lutto”, da cui derivava la sua sofferenza (cioè la perdita, la mancanza, dell’oggetto a lui più caro, per lui fondamentale), prende una scorciatoia per risolvere velocemente, il più in fretta possibile, il lutto.

Trova cioè un sostituto dell’oggetto perduto prima di averne elaborata fino in fondo la perdita o l’assenza.

In questo modo l’oggetto sostituto surroga (anche se al momento e solo provvisoriamente e superficialmente) l’assenza dell’oggetto perduto e non consente una piena e risolutiva elaborazione del lutto.

Che continuerà, quindi, ad agire in maniera subdola e sotterranea nella psiche del soggetto, che non lo ha veramente elaborato del tutto, minandone, corrodendone l’equilibrio e il benessere psichico.

Oltre a impedirgli di trovare un vero sostituto, all’altezza dell’oggetto d’amore perduto, e non un suo surrogato, che ovviamente non sarà mai in grado di riempire il vuoto creato dal lutto.

p. s. Questo movimento si verifica spesso anche fuori della psicoterapia, nelle normali relazioni.

Quando, di fronte ad un abbandono o anche solo alla sua minaccia, una persona sostituisce subito o addirittura preventivamente l’oggetto d’amore perduto, anziché elaborare fino in fondo il dolore della perdita subita o anche solo temuta.

© Giovanni Lamagna

Piccoli gesti per stare bene.

A volte bastano semplici gesti per stare bene con sé stessi e con gli altri.

Due piccoli esempi, che qualcuno potrà giudicare persino banali, ma che, a mio avviso, non lo sono.

Cedere il proprio posto sull’autobus ad una signora o ad una persona più anziana.

Lasciare entrare in o lasciare uscire da una porta prima gli altri, senza lasciarsi prendere dalla foga di fare in fretta le cose.

Sono gesti che, oltretutto, richiedono una presenza a sé stessi, un’attenzione, un autocontrollo, che potranno risultarci utili anche in altre situazioni, più importanti.

© Giovanni Lamagna

Fretta.

Alle volte, per fare le cose in fretta, le facciamo male.

E allora siamo costretti a rifarle.

E così, per farle, ci mettiamo ancora più tempo di quello che avremmo impiegato se non le avessimo fatte in fretta.

© Giovanni Lamagna

Lettura e cibo

Quando leggiamo, dovremmo fermarci ogni tanto; per pensare, meditare e introiettare bene quello che stiamo leggendo.

Allo stesso modo di come è consigliato di mangiare lentamente, masticando bene il cibo, senza fretta e ingordigia.

Innanzitutto perché, secondo l’antico precetto della scuola medica salernitana, “prima digestio fit in ore” (“la prima digestione si compie in bocca”).

E poi perché mangiando velocemente, soddisferemo magari il bisogno legato alla fame, ma non il desiderio di gustarci pienamente il piacere del cibo.

© Giovanni Lamagna

Recensione del film “Girl” (2018)

Ieri sera al cineforum ho visto “Girl”, un film del giovanissimo (appena 28enne) regista belga Lukas Dhont, alla sua prima prova con un lungometraggio (aveva fino ad ora prodotto solo cortometraggi).

Film doloroso, a tratti drammatico, ma allo stesso tempo tenero e delicato.

E’ la vicenda di un ragazzo quindicenne che si sente donna e per giunta con la vocazione a diventare una ballerina di danza classica.

Il ragazzo (nato Victor) è deciso a intraprendere una terapia ormonale per arrivare all’intervento chirurgico che gli consenta di acquisire un corpo di donna (il corpo di Lara), conforme finalmente a quello che lei si sente dentro.

E, in questo, trova (cosa piuttosto insolita) un ecosistema familiare e sociale del tutto favorevole e accogliente, al limite dell’ideale, se non proprio della favola.

Un padre tenero e disponibile, che ha accettato profondamente la situazione del figlio nato col corpo di maschio ma con una psiche da femmina.

Perfino un fratellino (di sei anni) che lo vive quasi come una piccola madre: la madre dei due (stranamente e un po’ misteriosamente) nel film non compare mai, è una figura totalmente assente.

Gli amici di famiglia, che lo coccolano senza mai minimamente fargli pesare la sua condizione “ambigua”.

Uno psicologo estremamente empatico e incoraggiante.

Un’equipe medica competente, attenta, scrupolosa, delicata, allo stesso tempo assertiva e stimolante.

Degli insegnanti amorevoli, premurosi, severi, esigenti, ma anche capaci di dare il giusto sostegno.

Perfino un gruppo di compagne e compagni di classe ben socializzati, che non fanno minimamente pesare a Victor/Lara la sua condizione ambivalente e, sia pure con qualche punta di malizia tipica dell’età, in fondo l’aiutano a superare le sue timidezze e inibizioni (ad esempio, quella di fare la doccia assieme a tutte loro o di mostrare il suo sesso).

Eppure Lara, una volta avviata la “procedura” per cambiare il suo sesso fisico, vive molti momenti di tensione e paura. E’ presa dall’angoscia di non farcela, dalla preoccupazione che la terapia ormonale non sortisca i risultati voluti e sperati, soprattutto è presa dall’ansia e dalla conseguente fretta, dal desiderio di anticipare i tempi stabiliti dal protocollo medico.

Il suo conflitto è tutto interiore e contrasta, stride, con l’ambiente esterno estremamente (e, ripeto, anche singolarmente) favorevole.

Questa situazione psicologica prelude al dramma finale del film, che però non lo conclude del tutto.

C’è un’ultima scena, che sa di “happy end”, ma non ha però nulla di retorico e sdolcinato: resta coerente col tono complessivo del film, tutto giocato sul doppio registro (come dicevo all’inizio) del dramma e del dolore e, allo stesso tempo, della delicatezza e della tenerezza.

Nel complesso un bel film. Che affronta una tematica oggi molto attuale. Ben scritto, ben diretto e ben recitato.

L’unico appunto che gli si potrebbe muovere è il seguente: anche tenendo conto che la vicenda è ambientata in un contesto molto emancipato (come è probabilmente quello di un paese nordeuropeo: il Belgio), è da considerare del tutto realistica la descrizione dell’ambiente socio-familiare, in cui essa si svolge? non è forse un po’ troppo idilliaca?

E, però, è un appunto sul quale si può sorvolare. Perché i film non sempre e non necessariamente devono raccontare la pura e semplice realtà. A volte possono anche descrivere una situazione utopica e aiutarci a sognare.

Anche questo può essere utile a farci crescere culturalmente ed emotivamente, come singole persone e come comunità.

Giovanni Lamagna

Camminare lentamente.

Camminare lentamente

Correre, correre, correre…

a questo ci spinge l’ansia,

specie nei tempi moderni…

Io sono per andare piano…

Camminare

(altrimenti è la morte prima del tempo),

ma lentamente,

lentamente,

senza fretta.

La vita si gusta di più così…

camminando,

ma lentamente,

senza correre…

Giovanni Lamagna

Il tempo e la vita

25 aprile 2015
Il tempo e la vita
E’ uno dei (tanti) paradossi della vita.
Il vecchio ha ancora poco tempo davanti a sé. Gli resta poco da vivere.
Eppure va piano, i suoi movimenti sono lenti, sembra non avere fretta.
Il giovane ha ancora molto tempo davanti a sé: tutta una vita.
Eppure ha fretta, va veloce, corre, come se il tempo stesse per sfuggirgli di mano.
Giovanni Lamagna