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L’immagine storica prevalente del “femminile” e del “maschile”.

Ogni generalizzazione (soprattutto se pretende di fondarsi sui dati della biogenetica) è sicuramente sbagliata.

Ma non si può negare che la Storia plurimillenaria ci consegna (senza alcun dubbio; quasi a prescindere dalla varietà dei contesti geografici) l’immagine prevalente di una femmina tendenzialmente stanziale (colei che lavora in casa ed accudisce i figli) e, (anche) per questo tendenzialmente monogama e l’immagine di un maschio tendenzialmente nomade (colui che lavora fuori casa e vi porta il cibo) e (anche) per questo tendenzialmente poligamo.

Si può sperare (ed io personalmente lo auspico) che la Storia evolva e che modifichi quelli che ancora oggi continuano ad essere gli stereotipi del “femminile” e del “maschile”.

Ma non si può negare la Storia e non riconoscere che ancora oggi essa pesa e molto; di più: molte volte contraddice, smentisce le nostre aspirazioni emancipatrici.

Specie quelle di alcune avanguardie (ad esempio, femministe o poliamorose), per quanto sicuramente (almeno per me) illuminate; di certo più illuminate della massa nella quale predominano gli stereotipi.

© Giovanni Lamagna

L’uomo tra bisogno di sicurezza e desiderio di avventura.

La vita di noi si uomini si muove tra due opposte polarità, un bisogno e un desiderio tra di loro opposti eppure complementari.

Il bisogno di sicurezza, di cura, di assistenza, di serenità e tranquillità. E il desiderio opposto di mettersi in gioco, anche a costo di sottoporre a rischio le proprie sicurezze, per provare il brivido eccitante, adrenalinico, del pericolo, dell’avventura.

Ce lo insegnano anche le favole. Cappuccetto rosso poteva starsene tranquillamente a casa sua a giocare con le sue bambole o a coltivare il suo giardinetto.

Ed invece sentì il bisogno di andare a trovare la nonna (anche qui ancora un bisogno di affetto e di sicurezza; e però evidentemente un affetto altro rispetto a quello che le garantivano già i suoi genitori).

Ma per soddisfare questo suo bisogno doveva affrontare il bosco, col pericolo di incontrare il lupo, con le incognite che questo comportava.

Eppure non ebbe esitazioni: si avviò, decisa a non farsi paralizzare dall’ansia per i rischi che il tragitto avrebbe comportato.

Ho pensato a questo e mi è apparso ancora più chiaro di altre volte, appena qualche giorno fa, quando giocando con la mia nipotina di due anni e mezzo, ad un certo punto Ludovica mi ha chiesto di disegnarle, sul foglio bianco che avevamo davanti, un lupo.

Guarda un po’: è evidente che il lupo è un archetipo!

Allora io gliel’ho disegnato, così alla buona come ne sono stato capace. E lei subito ha messo il ditino vicino alla bocca dell’animale che avevo disegnato.

Ne è nata una piccola (ma significativa) sceneggiata. Ha cominciato a lamentarsi, quasi piangendo, che il lupo le aveva dato un morso.

E allora io le ho baciato il ditino e poi con una mano ho fatto per picchiare il lupo. E lei è diventata subito tutta sorridente: il lamento si è trasformato in gioia.

Questa situazione si è poi ripetuta svariate volte, fino a che il gioco non le è venuto a noia e siamo passati ad altro.

L’episodio racconta bene a mio avviso quello che ho provato a teorizzare all’inizio e che ben prima di me avevano già teorizzato ben più illustri pensatori.

Quello che lo ha fatto con più chiarezza è stato sicuramente – come tutti sappiamo – Sigmund Freud.

L’uomo è animale domestico e stanziale, ma è anche animale randagio e nomade, è contadino ma anche cacciatore, anzi è stato prima di tutto cacciatore e poi è diventato contadino.

In lui quindi ci sono le stigmate di entrambe le situazioni da lui primordialmente vissute: c’è lo stigma della sedentarietà e della sicurezza e quello della movimentazione e del rischio.

La sua vita è un’oscillazione continua tra queste due polarità. Non sta bene, non sta veramente bene, se si ferma, se si blocca, in una soltanto di essa.

Per stare bene ha bisogno di oscillare tra le due diverse situazioni: in questo modo si crea e si ricrea in continuazione.

Le alternative sono la noia, se si accontenta delle sicurezze e dei confort; o l’ansia, perfino l’angoscia, se eccede nel mettersi alla prova e nel sottoporsi ai rischi.

Entrambe, da sole, non gli fanno bene; se si alternano, invece, con sapiente equilibrio, gli assicurano l’agognato benessere.

Giovanni Lamagna