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Alba e timore della morte.
Aspetto sempre il nuovo giorno, alle prime ore dell’alba, con qualche ansia.
Mi assale sempre il dubbio/timore che questa volta il sole non si alzerà.
E questo pensiero ovviamente mi crea una piccola forma di angoscia.
Il timore della morte evidentemente incombe.
© Giovanni Lamagna
Una vita senza infamia e senza lode.
Ci si difende dalla luce accecante del sole abbassando lo sguardo o dal calore ustionante allontanandosi dalla sua fonte.
Allo stesso modo molti, forse i più, preferiscono evitare piaceri e gioie troppo intensi e accontentarsi di piaceri e gioie tiepidi e non troppo forti.
In questo modo optano per una vita senza infamia e senza lode, non particolarmente eccitante, ma indubbiamente meno rischiosa e più rassicurante.
© Giovanni Lamagna
Ansia e paura della morte.
Quando mi sveglio poco prima dell’alba ed è ancora buio, talvolta sono preso da una piccola forma di ansia: e se il sole oggi non sorgesse?
È la paura della morte? Certo!
La morte incombe sempre come un’ombra, una minaccia, sulla nostra vita.
Anche quando siamo abbastanza in salute, anche quando non soffriamo di particolari problemi.
La morte è compagna della vita.
© Giovanni Lamagna
Tempio e preghiera per me.
Non conosco tempio migliore per la mia religione che quello costituito dalla natura.
Non c’è luogo migliore per pregare che appartarsi in un bosco (sotto l’ombra di un albero) o stare in riva al mare (meglio se nelle ore in cui il sole sorge o tramonta) o sul leggero pendio di una montagna.
Pregare per me è nient’altro che entrare in contatto col divino presente nell’Universo.
© Giovanni Lamagna
Letterina di Pasqua 2023
Io non credo in nessun Dio che risorge.
Credo però nella possibilità che l’uomo possa rialzarsi dalle sue cadute,
che ogni giorno possa diventare una persona un poco migliore.
Credo nei piccoli passi, nei piccoli gesti,
quelli che appena si notano
o non si notano per nulla
ma che, a lungo andare, fanno la Storia.
Non credo nei miracoli: quelli soprannaturali.
Credo però che un sorriso, una carezza,
la parola giusta detta al momento giusto,
un gesto di aiuto, un atto di solidarietà,
la fraternità, l’amicizia, l’amore
possano fare miracoli: quelli naturali.
Simili al seme che prima muore e poi dà frutto,
all’arcobaleno che colora il cielo dopo la tempesta,
al sole che risorge ogni giorno,
al corpo stanco che va dormire la sera e
si risveglia fresco e riposato la mattina dopo,
al tempo che guarisce molte ferite, corporali e spirituali.
Queste sono le resurrezioni in cui credo!
© Giovanni Lamagna
Paura, coraggio e temerarietà.
Nell’isola di Creta il re Minosse aveva chiesto a Dedalo di costruire il labirinto per il Minotauro.
Avendolo costruito e, quindi, conoscendone la struttura, a Dedalo e a suo figlio Icaro fu preclusa ogni via di fuga da Creta da parte di Minosse, poiché questi temeva che ne fossero svelati i segreti.
Dedalo e Icaro vennero perciò rinchiusi nel labirinto.
Per scappare, allora, Dedalo costruì delle ali con delle penne e le attaccò ai loro corpi con la cera.
Malgrado gli avvertimenti del padre di non volare troppo alto, Icaro si fece prendere dall’ebbrezza del volo e si avvicinò troppo al sole (nella mitologia Febo).
Il calore fuse la cera, facendolo cadere nel mare, dove in balìa delle onde Icaro trovò la morte.
In questo mito, come in tutti i miti, ci sono varie simbologie e metafore, che possono essere interpretate, anzi è interessante e persino utile interpretare.
La prima metafora mi sembra questa. A volte noi diventiamo prigionieri dei nostri stessi progetti o dei nostri segreti. Così come Dedalo diventa prigioniero del labirinto da lui costruito.
Forse questo capita quando diventiamo prigionieri e succubi della dimensione mentale del nostro Sé.
Che indubbiamente svolge la sua funzione, è utile (anzi indispensabile) all’esistenza. Ma diventa una prigione quando è l’unica dimensione che ci guida, quando ad essa affidiamo totalmente il destino delle nostre scelte.
Allora sentiamo (possiamo sentire) il bisogno di scappare, di liberarci da una tale prigione. E per questo ci costruiamo delle ali.
Che qui rappresentano, a mio avviso, sotto forma simbolica, i nostri desideri non ancora consapevoli, le nostre fantasie, le nostre aspirazioni, le nostre “utopie”.
Queste ali sono indispensabili per evadere da una condizione routinaria, abitudinaria, eccessivamente rassicurante, che senza lo spirito di avventura (rappresentato dal volo) diventerebbe mortifera.
Ma qui sopravviene il rischio opposto a quello rappresentato dalla routine della prigionia: il rischio dell’osare troppo.
Lo spirito di avventura ci mette sempre in una situazione di precarietà, di pericolo, qui rappresentati dalle ali di cera.
L’uomo avventuroso non deve mai trasformarsi in avventuriero. Una cosa è il coraggio, altra cosa la temerarietà.
Icaro, al contrario del padre, uomo coraggioso ma allo stesso tempo prudente, sfida i limiti imposti dalla natura e da coraggioso diventa temerario, imprudente: vola troppo in alto, va dove non sarebbe dovuto andare, conoscendo la sua condizione, si avvicina troppo al sole (simbolo di una meta, un obiettivo non realistici) e quindi si autodistrugge.
Questa fine è simboleggiata dalla metafora della caduta in mare.
Per concludere, io penso, questo mito ci vuole insegnare che il coraggio è una virtù indispensabile, se vogliamo uscire dalla depressione a cui ci condannerebbe una vita senza audacia, senza guizzi, senza immaginazione, senza fantasia, senza ardore.
Ma, allo stesso tempo, ci dice che l’imprudenza, le velleità prive di ogni base razionale, sono altrettanto dannose dell’ignavia, cioè della mancanza di coraggio.
La virtù, come ci insegna il vecchio Stagirita, sta nel giusto mezzo.
Nel caso di cui abbiamo parlato finora sta nel coraggio. Che si situa giusto a metà tra la paura infondata e paralizzante e la temerarietà narcisista e delirante.
Giovanni Lamagna
Alla ricerca del sole
5 novembre 2016
Alla ricerca del sole.
Stamattina
la signora del basso sotto casa mia
cerca premurosa un angolo di sole
nella piazza
per stendere ad asciugare
i suoi panni
freschi di bucato.
Come mi sento vicino
stamattina
alla signora del basso sotto casa mia!
Anch’io cerco spesso
un angolo di sole
al quale asciugare i dolori
dell’anima mia.
Giovanni Lamagna
Le parole
15 settembre 2015
Le parole.
Le parole
(non tutte,
solo quelle che sanno di saggezza)
sono già scritte,
a volte nascoste da qualche parte,
in uno scrigno,
in un vaso,
chiuse a volte in una cassaforte.
Si tratta solo di scovarle,
leggerle
e poi dirle, pronunciarle
o trascriverle su una pagina bianca.
Altre volte non devi fare neanche lo sforzo di cercarle,
ti compaiono davanti d’improvviso,
talvolta all’alba,
come un sole che sorge,
parole trovate,
incontrate,
parole non cercate
né, tanto meno, create.
Le vedi, le leggi,
ti si stagliano davanti,
nette, nitide:
e tu devi solo pronunciarle
o trascriverle.
Le parole sono come dei semi:
una volta scovate
o trovate,
vanno lanciate,
sparse sui prati, nei campi.
Altrimenti ti si seccano tra le mani.
Alcune saranno subito portate via dal vento
e disperse chissà dove.
Di esse si perderà traccia
e memoria.
Altre marciranno sotto la pioggia,
poi faranno tutt’uno col terreno
sul quale sono cadute,
quindi attecchiranno,
metteranno radici
e dopo un po’
daranno il loro frutto
o partoriranno un fiore.
Le parole,
una volta dette o scritte,
non sono più tue.
Come non erano tue,
quando le hai raccolte.
Non esserne quindi geloso.
Abbi solo cura di dirle
o scriverle,
quando ti passeranno dinnanzi:
è quello il tuo compito
e basta.
Il resto lo faranno loro:
è compito loro.
Tu sei solo strumento,
via,
mano,
bocca.
Ma siine contento lo stesso,
ti è toccato comunque un privilegio:
dare loro voce!
Giovanni Lamagna