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Alba e timore della morte.

Aspetto sempre il nuovo giorno, alle prime ore dell’alba, con qualche ansia.

Mi assale sempre il dubbio/timore che questa volta il sole non si alzerà.

E questo pensiero ovviamente mi crea una piccola forma di angoscia.

Il timore della morte evidentemente incombe.

© Giovanni Lamagna

Ad ogni giorno il suo affanno! (Matteo; 6, 34)

Bisogna fare le cose una alla volta.

Senza farsi prendere (troppo) dall’affanno.

Parafrasando il Vangelo: ad ogni cosa basti il suo affanno!

Questa è la condizione prima e imprescindibile per farla il meglio possibile.

© Giovanni Lamagna

Ansia e “grazia di stato”.

A me succede che l’ansia per qualcosa di fastidioso o doloroso che devo fare o subire è maggiore quando dal momento in cui la devo fare o subire mi separano parecchi giorni; diminuisce, invece e stranamente, mano a mano che mi avvicino al giorno in cui la devo fare o subire.

Come se subentrasse quella che la teologia cattolica chiama “grazia di stato”, cioè una speciale energia (secondo la teologia cattolica proveniente direttamente da Dio) per sostenere, con efficacia, cioè senza eccessivi e paralizzanti timori o paure, la prova che mi tiene in apprensione.

Ovviamente, non avendo io fede in Dio, non riesco ad attribuire questo stato di grazia ad un intervento divino.

Allo stesso tempo, però, non posso non registrare questa dinamica psicologica e prenderne atto, come si prende atto di un qualunque altro dato di fatto ricorra talvolta nella nostra vita.

© Giovanni Lamagna

Solstizio d’inverno.

Il giorno in cui giunge l’inverno già preannuncia la primavera: la luce del giorno da oggi comincia ad allungarsi.

Di poco, ogni giorno di poco, ma in modo continuativo, fino al 21 giugno, il giorno in cui arriva l’estate.

E questo pensiero a me (che sono un po’ meteoropatico) comunica una certa euforia.

Così come il giorno in cui giunge l’estate già preannuncia l’inverno: le giornate dal 21 giugno in poi già cominciano ad accorciarsi.

Lentamente, ma inesorabilmente.

E questo pensiero mi suscita sempre – soprattutto quando inizia l’autunno – una certa malinconia.

Ora – se ci pensiamo appena un po’ – così è fatta la vita: anch’essa ha le sue stagioni.

Nel momento in cui siamo più felici, dobbiamo sapere (e purtroppo a volte accade) che potrebbe arrivarci un dispiacere, un dolore, addirittura una disgrazia.

Così come nel momento in cui soffriamo da matti, possiamo sperare (e a volte, per fortuna, accade) che ci raggiungano la gioia e perfino la felicità.

© Giovanni Lamagna

Si può giurare amore eterno?

Ogni promessa d’amore – come dice giustamente Massimo Recalcati – è “per sempre”, cioè promessa di amore eterno.

Nessuno promette amore a termine; quando si dichiara il proprio amore, questo amore lo si pensa sempre destinato a durare “per sempre”.

Poi, però, la storia di parecchi rapporti, se non addirittura della loro maggioranza, ci dice che molte di queste promesse, col passare del tempo, vengono meno.

E non perché chi le ha fatte fosse in malafede, volesse quindi ingannare l’amato.

Ma perché chi ha promesso amore eterno nel frattempo cambia, è destinato a modificarsi; a distanza di tempo – si può dire – non è più la stessa persona che aveva fatto quella promessa.

Questo è un terribile paradosso dell’amore: che chi lo promette non può che prometterlo “per sempre”; ma la sua promessa poggia su un terreno friabile, che può franare da un momento all’altro.

Chi promette amore eterno in un dato momento non può garantire (non sarebbe onesto con sé stesso se lo facesse) di rimanere la stessa persona anche in futuro, addirittura “in eterno”.

Anzi, per molti aspetti, sarebbe addirittura un fatto negativo se questo avvenisse nella realtà.

Infatti, una persona che non cambia nel tempo è una persona non viva, una persona che può essere considerata spiritualmente morta.

Io sono portato a dire perfino che una persona che non evolve è in realtà una persona che involve, che regredisce. Inevitabilmente!

Chi, infatti, non cambia andando avanti, cambia andando indietro.

Nessuno nella vita resta fermo; è solo un’illusione ottica che si possa rimanere nel tempo sempre uguali a sé stessi.

In questo senso e da questo punto di vista nessuno può (o dovrebbe) giurare “amore eterno”.

Tutt’al più può promettere che si impegnerà a renderlo eterno; o, per dire ancora meglio, che si impegnerà a vivificarlo in continuazione.

Per quello che tocca a lui, per quello che a lui compete.

E noi sappiamo bene che l’amore è un vincolo la cui tenuta non dipende da una sola persona, ma quantomeno da entrambe le persone che stringono un legame d’amore.

Io preferisco chiamarlo “rapporto”, perché la parola “legame” sa di carcere, prigionia.

Per cui una relazione d’amore può anche durare “in eterno”, ma a condizione che ciascuna delle due persone coinvolte si impegni a curarla, coltivarla, farla crescere, mantenerla viva.

Facendo la propria parte per rinnovare ogni giorno sé stessa come singola persona e la coppia come relazione.

Da questo punto di vista è proprio il cambiamento, la capacità di rinnovarsi e cambiare assieme, facendo un cammino fianco a fianco, che garantisce la durata di un rapporto.

Se, invece, uno cambia e l’altro sta fermo, il rapporto è destinato a logorarsi e a finire, prima o poi, nelle secche.

Ma, infine, manco questo impegno è garanzia totale ed assoluta che la relazione duri in eterno; perché ci sono poi fattori oggettivi e di contesto che prescindono dalla volontà e dall’impegno dei singoli amanti.

Ci sono cambiamenti che essi alle volte non riescono a gestire e governare.

In questo caso è difficile e forse addirittura ingiusto chiedere loro di rimanere “fedeli” ad una promessa fatta quando tutto era diverso dal presente che qui e ora si trovano a vivere.

E allora forse è meglio a questo punto dirsi che l’amore è finito; o, quantomeno, che il rapporto è mutato, come (del resto) accade a molte cose, anzi a tutte le cose, nella vita.

Come cambiano le ore in un giorno, le stagioni in un anno, come cambiano le piante, come cambiano persino le montagne, che pure sembrano inscalfibili e perciò apparentemente (ma solo apparentemente) ci appaiono eterne.

© Giovanni Lamagna

Letterina di Pasqua 2023

Io non credo in nessun Dio che risorge.

Credo però nella possibilità che l’uomo possa rialzarsi dalle sue cadute,

che ogni giorno possa diventare una persona un poco migliore.

Credo nei piccoli passi, nei piccoli gesti,

quelli che appena si notano

o non si notano per nulla

ma che, a lungo andare, fanno la Storia.

Non credo nei miracoli: quelli soprannaturali.

Credo però che un sorriso, una carezza,

la parola giusta detta al momento giusto,

un gesto di aiuto, un atto di solidarietà,

la fraternità, l’amicizia, l’amore

possano fare miracoli: quelli naturali.

Simili al seme che prima muore e poi dà frutto,

all’arcobaleno che colora il cielo dopo la tempesta,

al sole che risorge ogni giorno,

al corpo stanco che va dormire la sera e

si risveglia fresco e riposato la mattina dopo,

al tempo che guarisce molte ferite, corporali e spirituali.

Queste sono le resurrezioni in cui credo!

© Giovanni Lamagna

Invecchia male.

Invecchia male chi per una vita ha tradito sé stesso, giorno dopo giorno.

Anche se un poco, solo un poco, ogni giorno.

In maniera impercettibile e senza, magari, manco esserne consapevole.

© Giovanni Lamagna

Trascorrere del tempo e Storia

Il trascorrere del tempo e la storia sono la stessa cosa? Con tutta evidenza, no.

Il trascorrere del tempo è un processo che riguarda la vita in generale, da quella inerte (o apparentemente inerte) della materia a quella viva delle piante, a quella animata degli animali, fino a quella (più o meno) consapevole dell’uomo.

Il trascorrere del tempo è scandito dall’incedere anonimo e sempre uguale a sé stesso delle lancette dell’orologio.

Da questo punto di vista ogni giorno è (o sembra essere, perché poi in realtà non lo è) uguale a quello precedente e sarà uguale a quelli successivi.

Diverso è per la Storia.

Innanzitutto la Storia è il tempo che riguarda l’uomo e solo lui; le pietre, le piante e gli altri animali, diversi dall’uomo, non hanno storia, hanno solo un tempo di vita, appunto, un tempo che trascorre.

La Storia presuppone la consapevolezza del tempo che trascorre e questa consapevolezza ce l’ha solo l’uomo.

Alcuni – i Greci antichi, ad esempio – hanno paragonato la Storia ad un cerchio, che incomincia da un punto e si chiude sempre allo stesso punto.

Secondo questa concezione la Storia sarebbe un eterno ritorno, un continuo ripetersi dello Stesso.

Altri – i Moderni, ad esempio – paragonano la Storia ad una linea retta destinata a non avere mai fine.

Secondo questa concezione la Storia sarebbe un continuo avanzare del Nuovo rispetto al Vecchio, un continuo progresso.

In questa concezione è implicito il giudizio che il Nuovo sia sempre migliore del Vecchio e che quindi il Progresso sia in sé un valore, un evento sempre e comunque positivo.

Io ho una concezione della Storia che è un po’ a metà tra le due precedenti.

Per me l’immagine che rende meglio il senso della Storia è quella della spirale; un po’ (mi pare) come quella che aveva Giovambattista Vico.

La spirale è una figura geometrica che in un certo senso mette insieme il cerchio e la linea retta.

La Storia per me è quindi sì un avanzamento (secondo l’immagine della linea retta), ma non un avanzamento continuo; bensì un avanzamento che contempla anche dei ritorni (ricorsi?) all’indietro, perfino (almeno in apparenza) al punto di partenza (secondo l’immagine del cerchio).

Nella Storia, quindi, in un certo senso tutto si ripete (concezione conservatrice e statica della Storia), ma mai nello stesso identico modo, bensì sempre in forme inedite e nuove (concezione che, più che progressista, definirei mobile, mai statica e ripetitiva, della Storia).

Quanto al progresso per me, come ho già detto prima, esso non può essere identificato, sic et simpliciter, col nuovo.

Ci sono, infatti, cose nuove che costituiscono un reale progresso ed altre che non lo sono affatto; anzi possono segnare addirittura un regresso: altro che progresso!

Ciò che definisce, può definire, il reale progresso non è il nuovo in sé, ma è la scala dei valori umani, è l’etica, chiamata di volta in volta a giudicare ciò che è reale progresso da ciò che è un falso progresso.

Ma qui entriamo in un campo minato, nel quale nessuno può ergersi a giudice assoluto, in quanto nessuno può avere la pretesa di possedere “la Verità”, ma ognuno può proporre solo “la sua verità”.

Quali sono, infatti, i veri valori umani? Chi li decide? Qualcuno o alcuni possono deciderli per tutti? Si possono decidere (democraticamente) a maggioranza?

Io credo che la scala dei valori umani sia relativa sempre alla storia e alla geografia: la decidono i popoli e le diverse società che li costituiscono attraverso delle convenzioni, che spesso si traducono anche in leggi.

Ma alla fine arbitri ultimi di cosa è bene e cosa è male, quindi di ciò che vale e di ciò che non vale, rimangono i singoli individui, la loro coscienza, il loro foro interiore, che si assumono (o, meglio, potrebbero e dovrebbero assumersi) la responsabilità delle loro convinzioni, scelte, decisioni e azioni.

© Giovanni Lamagna

L’ora più bella

Non c’è ora più bella per me che quella, ancora nel cuore della notte, poco prima dell’alba, quando tutto tace, perché la maggior parte delle persone ancora dorme.

E si è, quindi, da soli con se stessi.

L’ora più favorevole alla meditazione, in cui è più facile raccogliersi e cogliere le emozioni, i sentimenti e i pensieri, che giungono puliti, limpidi, affilati, cristallini.

Come in nessun’altra ora del giorno.

© Giovanni Lamagna

Nascita e morte

Stamattina albeggiava,

ero ancora tra il sonno e la veglia,

ho sentito il gracchiare dei gabbiani.

Era un canto allegro,

quasi ilare,

che mi sembrava salutasse

con gioia

la nascita del nuovo giorno.

Eppure anche i gabbiani muoiono.

 

© Giovanni Lamagna