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Imparare a vivere e imparare a morire.

Imparare a vivere è in fondo la stessa cosa dell’imparare a morire.

Che vuol dire non solo imparare a morire con dignità.

Ma vuol dire soprattutto imparare a vincere la paura della morte.

Che così spesso paralizza la nostra voglia, il nostro desiderio di vivere.

Ecco in che senso l’imparare a morire è condizione necessaria, anzi imprescindibile, per imparare a vivere bene!

© Giovanni Lamagna

Morale sessuale.

La morale sessuale della maggior parte delle persone è figlia della pigrizia, del conformismo, delle convenzioni, del quieto vivere, delle paure e dei tabù, della povertà di fantasia e della scarsa immaginazione.

È, insomma, a mio avviso, figlia della loro miseria emotiva, sentimentale, intellettuale e spirituale in senso lato.

Altro che virtù: la virtù c’entra ben poco!

Se fosse figlia della virtù, sarebbe accompagnata dalla gioia di vivere e, quindi, dall’allegria, dall’entusiasmo, dalla vitalità, dalla pace interiore ed esteriore.

E, invece, io vedo ben poche di queste “qualità” in giro tra le persone con le quali vengo in contatto, in maniera più o meno intima e profonda.

© Giovanni Lamagna

L’attimo presente.

Facciamo fatica a vivere nell’attimo presente perché siamo interiormente (anche quando non consciamente) convinti che ci siano alcune azioni che sono nobili e importanti e altre che lo sono meno.

Per cui ci concentriamo in quelle che reputiamo nobili e importanti (e quindi ci piacciono di più) e trascuriamo, snobbiamo, quelle che non riteniamo tali (e quindi ci piacciono di meno).

© Giovanni Lamagna

Perché, nonostante tutto, desideriamo vivere?

Perché, nonostante tutto, desideriamo vivere? Tutti, chi più e chi meno, poveri e ricchi, sani e malati, belli e brutti, intelligenti e stupidi.

Nonostante che numerosi e illustri filosofi, soprattutto in questi ultimi due secoli, ci abbiano indotto a pensare che la vita è solo dolore e noia, sofferenze e malanni, un triste capriccio della natura.

Forse la risposta sta nel fatto – per quanto banale esso possa sembrare – che non è per niente vero quello che illustri filosofi hanno sostenuto; penso, per fare solo tre esempi, a Leopardi, a Schopenhauer e a Cioran.

Forse la vita non è solo dolore e noia, dispiaceri e sventure, come tanti filosofi – soprattutto moderni e, ancor più, contemporanei – si sono convinti a credere e hanno provato a convincerci.

La vita è anche gioie e piaceri, è anche avventure e scoperte.

Anzi forse, nonostante tutto, i secondi, per ognuno di noi, prevalgono sui primi.

Ne possiamo concludere che, quindi, la vita – checché ne pensino i Leopardi, gli Schopenahuer e i Cioran – vale la pena di essere vissuta, nonostante si concluda con la morte, che – non a caso – la maggior parte di noi si augura arrivi il più tardi possibile.

D’altra parte quegli stessi pensatori hanno confermato tale verità coi fatti, in contraddizione con le parole da loro dette e scritte.

Infatti, se pensavano veramente e fino in fondo le cose che affermavano sulla vita, perché hanno preferito tenersela cara, fino alla morte naturale, e non togliersela anticipandone la fine; come pure, se fossero stati coerenti con le loro teorie, avrebbero potuto fare?

© Giovanni Lamagna

Il desiderio è generato dal desiderio.

Senza il desiderio della madre e (io direi anche) del padre, il desiderio della vita non si installa forte e stabile nel figlio o nella figlia.

Perché in un figlio o in una figlia si radichi un vero e profondo desiderio di vivere, c’è bisogno che essi siano stati desiderati, voluti, amati.

Il desiderio può nascere, infatti, solo dal desiderio: senza essere stati oggetto del desiderio altrui non si può diventare soggetti del desiderio proprio.

© Giovanni Lamagna

Vivere è studiare e studiare è vivere.

La mia vita è studio: non saprei vivere senza studiare.

Ma non lo studio che mira alla erudizione, fatto solo di lettura di pagine e pagine di libri.

Bensì lo studio che è fatto di ricerca: di letture, ma anche di osservazione, di curiosità, di sguardo attento, di colloqui, conversazioni e, soprattutto, di riflessione, meditazione, contemplazione.

Lo studio, insomma, che non è solo studio, ma che è soprattutto vita: vita di studio e studio della vita.

© Giovanni Lamagna

Si può vivere senza desiderare?

La consapevolezza che ciò che desidero in questo momento (forse) non esiste da nessuna parte (è, cioè, un “utopia”) non mi impedisce di desiderarlo e persino di cercarlo.

Potremmo pertanto affermare: desidero, dunque sono; sono, dunque desidero.

© Giovanni Lamagna

Realizzare il proprio daimon, la propria vocazione.

Cercare di realizzare quello che i Greci chiamavano il proprio “daimon”, cioè la propria vocazione, non vuol dire affatto inseguire fantasie o sogni irrealizzabili.

Del tipo diventare attori o attrici, calciatori, uomini politici potenti, ricchi imprenditori, scienziati o artisti famosi…

Questi sogni e fantasie sono solo la parodia del nostro daimon, anzi ne impediscono la effettiva realizzazione.

Con l’esito inevitabile di delusioni e frustrazioni.

Realizzare il nostro daimon significa innanzitutto avere una realistica consapevolezza delle proprie potenzialità e del contesto economico, sociale, culturale, politico, familiare nel quale ci troviamo a vivere.

Solo sulla base di questa consapevolezza noi potremo individuare la nostra vera e specifica e vocazione e provare a realizzarla.

E, se ci metteremo d’impegno, sicuramente riusciremo a realizzarla (qualunque essa sia) e potremo esserne così felici e soddisfatti.

Che non significa – sia detto per inciso – vivere una vita senza dolori e, in certi momenti, addirittura angosce.

Significa solo riuscire a dare un senso e una direzione di marcia a questi dolori e a queste angosce.

© Giovanni Lamagna

Da cosa nasce la scrittura?

Non ci sono dubbi: “… la scrittura nasce sempre da una perdita, da una complicazione del vivere e dal desiderio di compensare il dolore che essa provoca.”; come giustamente scrive Fabrizio Coscia a pag. 27 del suo “Soli eravamo” (Ad Est dell’Equatore 2015)

Io voglio aggiungere che la scrittura, il bisogno di scrivere nasce anche e spesso dalla solitudine, da una profonda solitudine, e dal bisogno conseguente di lenire il dolore della solitudine, trovando conforto in chi si spera leggerà le cose che scriviamo e magari ce ne rimanderà qualche riscontro.

Ma, forse, innanzitutto e soprattutto, trovando la compagnia di noi stessi nel momento in cui ci ritroviamo davanti a una pagina e proviamo a trasferire su di essa (quasi alter-ego) i nostri stati d’animo e pensieri di quel momento.

© Giovanni Lamagna

Si può fare a meno di un fine nella vita?

“… si potrebbe abbandonare l’idea di fine” – dice, quasi provocatoriamente, Benny Levy, che (in “La speranza oggi” Mimesis 2019; pag. 74) sta intervistando Sartre.

E questi gli replica secco: “Allora perché vivere?”

Affermando così (ed io condivido in pieno) che la vita dell’uomo senza un fine, senza uno scopo, potremmo dire anche “senza un compito da realizzare” (cito qui Victor Frankl) non avrebbe, non ha senso.

Tanto varrebbe suicidarsi!

© Giovanni Lamagna