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Rivoluzione e fratellanza.
Per l’ultimo Sartre – quello dell’intervista a Benny Levy, pubblicata nel libro “La speranza oggi” (Mimesis 2019) – l’idea di rivoluzione – in cui Sartre evidentemente ancora credeva o che (sarebbe meglio dire) alimentava ancora la sua speranza esistenziale – non è legata ad un atto, un evento specifico, cioè all’atto/evento insurrezionale nel quale sono inevitabili azioni cruente, di natura perfino terroristica.
Ma è piuttosto associata al messianesimo ebraico, cioè al processo intrinseco alla Storia, al termine del quale gli uomini si vivranno come autentici fratelli.
La rivoluzione, insomma, come piena realizzazione della fratellanza tra gli uomini.
Speranza forse illusoria, perché del tutto utopica.
Ma che unica – anche per me, come per Sartre, si parva licet – riesce a dare un senso (o, almeno, una direzione di marcia) alla vita.
E, quindi, la voglia di camminare, procedere, andare avanti.
© Giovanni Lamagna
Si può fare a meno di un fine nella vita?
“… si potrebbe abbandonare l’idea di fine” – dice, quasi provocatoriamente, Benny Levy, che (in “La speranza oggi” Mimesis 2019; pag. 74) sta intervistando Sartre.
E questi gli replica secco: “Allora perché vivere?”
Affermando così (ed io condivido in pieno) che la vita dell’uomo senza un fine, senza uno scopo, potremmo dire anche “senza un compito da realizzare” (cito qui Victor Frankl) non avrebbe, non ha senso.
Tanto varrebbe suicidarsi!
© Giovanni Lamagna
Fini realistici e scacco finale.
L’uomo che aspira a diventare Dio è destinato ad un inevitabile scacco e ad una sonora sconfitta, come afferma Sartre nella sua prima grande opera filosofica “L’Essere il Nulla”.
Ma l’uomo che si pone dei fini realistici, alla sua portata, può benissimo realizzarli e quindi non subire né scacchi né sconfitte.
Certo, ci saranno sempre dei fini che egli non riuscirà a realizzare, se non altro perché la morte lo raggiungerà prima.
In questo senso (ma solo in questo senso) l’uomo è davvero destinato a subire qualche scacco.
La morte è il principale di questi scacchi, quello a cui sicuramente non potrà sfuggire, perché lo coglierà mentre egli è ancora desideroso e magari in procinto di realizzare altri fini.
Ma non è uno scacco così ontologicamente radicale da togliere qualsiasi senso al suo esistere e desiderare di esistere.
Questo lo riconosce anche l’ultimo Sartre, quello delle interviste al suo segretario Benny Levy (Mimesis edizioni 2019).
© Giovanni Lamagna
Non c’è bisogno di credersi Dio.
Non c’è bisogno di credersi Dio per darsi dei fini.
Come sembra dire il primo Sartre, quello de “L’essere e il nulla”.
A meno di non essere posseduti da un delirio di onnipotenza e credersi “ens causa sui”.
Io posso, infatti, coltivare dei fini a portata di uomo, limitati e concretamente praticabili; e realizzarli anche più o meno tutti; perché no?
Ma questo posso farlo anche senza ritenermi Dio, bensì coltivando la normale speranza umana.
Come sembra dire l’ultimo Sartre, quello delle interviste al suo segretario Benny Lévy (Mimesis edizioni 2019).
© Giovanni Lamagna