Archivi Blog

Odi et amo.

La natura umana è caratterizzata da una strutturale e radicale ambivalenza.

L’uomo ha un disperato bisogno dell’Altro, per vincere (o, quantomeno, illudersi di vincere) la propria radicale e strutturale solitudine.

Potremmo anche dire, quindi, che l’uomo ha un disperato bisogno d’amore.

Dell’amore che riceve, ma anche dell’amore che dà.

Senza amore l’uomo muore.

Spiritualmente sempre; in certi casi, perfino fisicamente.

Allo stesso tempo l’uomo vive l’Altro come limite, come barriera, come ostacolo alla sua ingordigia, alla sua ambizione di essere come Dio, al suo desiderio di sconfinamento e onnipotenza.

E, quindi, l’uomo – allo stesso tempo che ama – odia pure.

Il suo amore è, dunque, sempre viziato, ambiguo, ambivalente, contraddittorio.

Non è mai puro, diritto, univoco, senza macchie.

Lo colse bene Gaio Valerio Catullo, quando, quasi ventuno secoli fa, scrisse il famoso carme 85:

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.

Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia.

Non lo so, ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato

……………………………………………

A sua volta, l’odio in fondo è sempre il segno di una dipendenza, di un bisogno mai del tutto soddisfatto, impossibile da soddisfare pienamente: quello di inglobare l’altro, di assimilarlo a noi.

Io ti odio perché la tua presenza mi dice nei fatti che io non sono Tutto, che io manco di qualcosa, che tu sei una parte di me che mi manca, che è insuperabilmente, irrimediabilmente e irrecuperabilmente separata da me.

La tua presenza/esistenza non conforta solo la mia solitudine, come in certi momenti felici accade.

Ma la conferma, la sancisce; e in maniera radicale, strutturale.

Questa ambivalenza radicale e strutturale si manifesta a volte, in tutta la sua massima evidenza e con esplosiva violenza, nell’assassinio della persona che si dice di amare.

Più spesso femminicidio che omicidio.

Come a confermare l’antico mito, secondo il quale Eva sarebbe stata creata manipolando una costola di Adamo.

Eva, quindi, prima della sua creazione, sarebbe stata una sola cosa con Adamo.

Mentre, dal momento della sua creazione, non lo sarà più; e non lo sarà più per sempre.

Nessun amore potrà mai colmare questa distanza, suturare questa separazione.

E per questo (forse) l’amore è sempre venato dall’odio.

O, quantomeno, da una quota parte di aggressività, se non proprio di odio.

© Giovanni Lamagna

Lettura e cibo

Quando leggiamo, dovremmo fermarci ogni tanto; per pensare, meditare e introiettare bene quello che stiamo leggendo.

Allo stesso modo di come è consigliato di mangiare lentamente, masticando bene il cibo, senza fretta e ingordigia.

Innanzitutto perché, secondo l’antico precetto della scuola medica salernitana, “prima digestio fit in ore” (“la prima digestione si compie in bocca”).

E poi perché mangiando velocemente, soddisferemo magari il bisogno legato alla fame, ma non il desiderio di gustarci pienamente il piacere del cibo.

© Giovanni Lamagna

Schiavi o padroni di noi stessi?

Siamo chiamati a procurarci il necessario per vivere una vita sobria e dignitosa.

Desiderare di più ci rende schiavi della nostra ingordigia.

Siamo chiamati a godere dei piaceri della vita, in primo luogo di quello sessuale.

Dobbiamo evitare, però, di diventare succubi dei piaceri, specie di quello sessuale.

Diventando schiavi di quello che Lacan definiva “godimento senza limiti”.

Siamo, infine, chiamati a realizzare la volontà del nostro Maestro interiore, cioè del nostro Alter-Ego.

Non a seguire la nostra volontà narcisista, diventando schiavi del nostro Ego.

© Giovanni Lamagna

Avarizia e ingordigia

L’avarizia è figlia della paura di perdere i beni materiali accumulati.

L’ingordigia del desiderio di accumularne in quantità sempre maggiori.

L’avarizia è parente della gelosia.

L’ingordigia dell’invidia.

Giovanni Lamagna

Il bicchiere mezzo pieno e il bicchiere mezzo vuoto

2 marzo 2015

Il bicchiere mezzo pieno e il bicchiere mezzo vuoto.

Mi dico spesso: “Perché non ti accontenti di avere il bicchiere mezzo pieno e spesso stai piuttosto a guardare al bicchiere mezzo vuoto?”

E non ci sono dubbi: in questo consiglio, in questo invito ci sono sicuramente elementi di verità e di saggezza.

Vivere nello stato d’animo della fondamentale e perenne insoddisfazione, del malcontento per quello che si ha e nel rimpianto o nel desiderio mai pacificato per quello che non si ha, non è certo un bel vivere, non aiuta certo a vivere bene, non dico felici, ma neanche contenti, neanche sereni.

E, però, … c’è un “però” … Siamo proprio del tutto sicuri che accontentarsi del “bicchiere mezzo pieno” sia il massimo non dico di felicità ma di benessere possibile e concesso all’uomo?

Qui nutro qualche dubbio. Se ci accontentassimo sempre o troppo presto del “bicchiere mezzo pieno” e non aspirassimo mai, non dico sempre ma almeno qualche volta, a riempirlo quel bicchiere o almeno fargli superare il livello che indica la metà del pieno, a quanti desideri possibili, a quante aspirazioni alla nostra portata saremmo costretti a rinunciare o avremmo rinunciato nella nostra vita?

E allora mi dico: forse la saggezza sta nel giusto mezzo.

Il giusto mezzo tra l’ingordigia bulimica e la rinuncia anoressica, tra l’ambizione sfrenata e l’apatia rassegnata.

In un mix di accettazione serena di quello che la vita fin a un certo momento ci ha offerto e noi siamo stati capaci di meritarci e il desiderio mai spento di conquistare nuovi stadi di benessere, di sperimentare nuove situazioni di piacere e di gioia.

Nell’equilibrio tra la tensione della ricerca mai conclusa una volta e per sempre di ciò che non siamo e non abbiamo ancora e la capacità di godere serenamente di ciò che già siamo e di ciò che già ci è stato dato.

Giovanni Lamagna