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L’uomo animale razionale e quindi politico
Tra le definizioni che Aristotele dà dell’uomo – “zoon politikòn” (animale politico) e “zoon logon èchon” (animale razionale) quella che io ritengo prioritaria in ordine di importanza, nel senso che è la condizione dell’altra, è per me la seconda.
Anche gli altri animali, infatti, a loro modo sono esseri sociali, abituati come sono a vivere in gruppi, più o meno elementari o complessi, come lo sono, ad esempio, uno stormo di uccelli, un banco di pesci, una mandria di buoi, un gregge di pecore o un branco di lupi.
Cosa sono, infatti, questi gruppi di animali se non una forma più elementare e rozza del vivere sociale rappresentato dalle comunità costituite degli uomini, prima sotto forma di tribù e poi nella forma più complessa e articolata della polis?
Ciò che, invece, distingue in maniera radicale l’uomo dagli altri animali è la estrema complessità delle sue funzioni cerebrali, la cosiddetta razionalità (la mens, l’intelletto), che è presente, beninteso, anche negli altri animali, ma in forme sicuramente ed enormemente più primitive ed elementari.
Ciò significa che l’uomo è in grado (almeno potenzialmente: non è detto che ci riesca sempre e comunque) di giungere a livelli di consapevolezza a cui nessun altro animale è capace di arrivare (è consapevole, ad esempio, del suo destino di morte) ed è capace di un linguaggio estremamente ricco e articolato, che gli permette di dialogare, comunicare con i suoi simili a livelli inimmaginabili per gli altri animali.
La sua vita sociale e politica è di conseguenza enormemente più ricca e complessa di quella degli altri animali; almeno in potenza, come dicevo prima a proposito della razionalità.
Perché, certo, non ci possiamo nascondere le grandi contraddizioni, da cui questa vita sociale è spesso lacerata, che esplodono frequentemente in conflitti, a volte persino sanguinosi, come lo sono ad esempio le guerre e gli stermini a cui le guerre talvolta danno luogo.
Ma è appunto la sua natura di “animal rationale” che consente all’uomo di essere pienamente “animal sociale e politicus”.
Tanto è vero che, quando viene meno la prima, l’uomo torna ad essere animale della giungla, “homo homini lupus”.
© Giovanni Lamagna
In quali ambiti e modi si realizza la vita dell’uomo?
“Aristotele distingue tre modalità di vita (bioi) dell’uomo libero: la vita che aspira al piacere (hedoné) la vita che compie azioni belle e nobili nella polis (bios politikòs) e la vita che si dedica all’esame contemplativo della verità (bios teoretikos)” (Byung-Chul Han; “Il profumo del tempo”; pag. 100).
Io – si parva licet – la vedo in maniera un po’ diversa da Aristotele.
Anche per me tre sono gli ambiti nei quali può realizzarsi l’uomo libero, ma non sono esattamente quelli indicati dallo Stagirita. I tre ambiti per me sono, molto più semplicemente, il buono, il bello e il vero.
L’uomo libero è innanzitutto colui che si dedica alla ricerca del buono, cioè del giusto, e poi lo mette in pratica. Non solo nella sua vita privata, ma anche in quella pubblica, nella vita della polis (politica).
Perché l’uomo libero, per sua intrinseca natura, non è un individuo isolato dagli altri, ma è politikòn zôon (animale politico), come giustamente lo definisce Aristotele, strutturalmente connesso agli altri suoi simili.
L’uomo libero è poi l’uomo che cerca il bello e lo realizza nelle sue opere, nelle sue azioni, sia nella sua vita privata che in quella pubblica.
Non è necessariamente un artista. Anzi quasi mai lo è. Non a tutti, anzi a pochissimi, è dato di possedere il talento di un Dante, un Michelangelo, un Raffaello, uno Shakespeare, un Beethoven o un Mozart.
Ma a tutti gli uomini è data la possibilità di fare della propria vita una “bella opera”, quasi come se fosse un’opera d’arte.
L’uomo libero, infine, è l’uomo impegnato nella ricerca della verità, che, se è autentica, non è mai solo una ricerca teorica, in quanto l’uomo che cerca la verità, cioè la sapienza, a questa cercherà poi di conformare la sua vita.
In questo senso l’uomo che cerca il “buono” (cioè l’uomo morale) e l’uomo che cerca il “vero” (il filosofo, l’amante della sapienza) e perfino l’uomo che cerca il “bello” (l’artista di sé) sono la stessa cosa, coincidono.
La ricerca del buono, del bello e del vero sono come tre versanti della scalata alla stessa montagna.
Tutte e tre, anche se con modalità molto diverse, portano allo stesso risultato: l’elevazione dell’essere umano, la sua realizzazione.
Tutte e tre quindi in qualche modo rappresentano un itinerario che a che fare con quello del mistico, ovviamente nell’accezione laica e non religiosa (se non in senso lato) del termine.
Giovanni Lamagna