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Poliamore, responsabilità e contesto sociale.

Il problema principale che si pone nelle cosiddette “relazioni poliamorose” è quello della “mancanza di responsabilità”.

I poliamoristi vengono criticati severamente, da autorevoli psicologi e sociologi, oltre che dal senso comune, perché non si assumerebbero la responsabilità delle loro molteplici relazioni, che vivrebbero in modo assolutamente caotico, anarchico, quindi egocentrico e narcisistico.

La loro idea dell’amore sarebbe quella – a voler utilizzare un linguaggio lacaniano – di un “godimento senza limiti”, perciò, per sua natura, – direbbe Massimo Recalcati – “mortifero”.

Ora io dico: se una persona si comporta, invece, in maniera pienamente responsabile e trasparente verso tutte le persone con le quali entra in rapporti intimi plurimi, non vedo perché il “poliamore” dovrebbe costituire un problema per le relazioni umane.

Il problema diventa semmai quello di riconoscere, da parte della società, pari dignità sia alle relazioni mono-amorose-tradizionali sia a quelle poli-amorose alternative.

Costruendo poi un sistema istituzionale e organizzativo che non solo le riconosca sul piano formale e quindi anche giuridico, ma ne favorisca la gestione dal punto di vista dei singoli individui e da quello dei loro legami con l’intero corpo sociale.

Ciò che, tra l’altro, incentiverebbe l’assunzione delle proprie responsabilità da parte di coloro che propendono per questo tipo di relazioni, perché le farebbe emergere dalla irregolarità e, quindi, clandestinità, a cui esse il più delle volte sono costrette.

E, quindi, risolverebbe (o perlomeno, aiuterebbe a risolvere) la principale ragione delle critiche (non del tutto infondate) che di solito vengono mosse ai poli-amorosi.

© Giovanni Lamagna

Le ragioni del poli-amore contro quelle della monogamia.

Io credo che ogni donna (come del resto ogni uomo) abbia un suo carisma, cioè delle qualità potenziali, dalla cui esplicitazione dipenda la sua realizzazione di persona, cioè di essere umano.

Ci sono donne che hanno una marcata femminilità, che spesso si traduce in una spiccata e naturale, istintiva, innata capacità di attrazione erotica e sessuale.

Ce ne sono altre che hanno una forte propensione verso la maternità e la donazione agli altri.

Altre che brillano soprattutto per le loro capacità intellettuali e di raziocinio.

Altre ancora che hanno un forte senso operativo: sanno organizzare e risolvere problemi di ordine pratico.

Altre ancora che hanno un naturale e spiccato senso estetico: sono attratte dalla bellezza e sanno produrre bellezza.

Ognuno di questo tipo di donna potrà quindi attrarre un uomo per un motivo e per motivi di carattere diverso dalle altre.

E’ molto difficile, estremamente raro, se non del tutto impossibile, che tali caratteristiche diverse si ritrovino raggruppate, tutte allo stesso livello, nella stessa donna.

Ecco perché un uomo si può sentire attratto (e in maniera ugualmente importante e significativa) da più tipi di donne contemporaneamente.

Ovviamente quello che vale per un uomo nei confronti delle donne vale uguale, pari-pari, anche per una donna nei confronti dei maschi.

Se qui ho fatto riferimento alle donne è solo perché io sono un maschio che è attratto dalle donne.

Ma lo stesso ragionamento si può fare, a mio avviso, anche per le femmine che sono attratte dai maschi.

Anche una donna potrà sentire attrazione per più maschi contemporaneamente; uno lo attrarrà soprattutto per certe caratteristiche, altri l’attrarranno per altre caratteristiche.

Ecco perché è difficile, a mio avviso, molto difficile, sostenere le ragioni della monogamia contro quelle del poli-amore.

© Giovanni Lamagna

La mia donna ideale.

La mia donna ideale di questa fase della mia vita deve avere due caratteristiche fondamentali:

1.deve essere una persona evolutiva; quindi erotica e spirituale; erotica e spirituale allo stesso tempo;

2. deve essere favorevole al poli-amore; non deve quindi fare di me e del legame con me il centro del suo mondo; deve essere aperta a (e auspicabilmente vivere) una pluralità di rapporti erotici.

© Giovanni Lamagna

Età avanzata, vecchiaia e poliamore.

Più volte negli ultimi tempi, alcuni amici, che leggono spesso (bontà loro!) questi miei articoletti, mi hanno chiesto, tra il serio e il faceto, se le mie frequenti riflessioni sulla sessualità (in modo particolare la mia critica alla monogamia e una certa sponsorizzazione da parte mia della pratica, che si va sempre più diffondendo oggi, del “poliamore”) avessero a che fare con la mia incombente vecchiaia.

Sotto, sotto, in maniera manco troppo celata, per quanto scherzosa e pur sempre amichevole, questi amici paventavano – ho avuto l’impressione – una mia tendenza ossessiva verso questi argomenti e forse anche un vegliardo delirio di onnipotenza, proprio quando obiettivamente l’età oramai molto avanzata non favorisce certo la plenitudine della vita sessuale e delle sue prestazioni.

Sono consapevole che tali allusioni (e forse financo preoccupazioni) potrebbero avere (e, forse hanno) un qualche fondamento e perciò intendo confrontarmi con esse, senza sottrarmi non solo all’ironia, per quanto (almeno apparentemente) benevola, bonaria, ma anche alle critiche eventuali verso una posizione ritenuta non solo estremista, utopistica, ma persino stonata (in una persona della mia età) e, quindi, tutto sommato patetica.

A queste critiche velate, per quanto – ripeto – rivestite di bonarietà ed intatta amicizia, dopo essermi esaminato, come faccio di solito quando qualcuno mette in discussione le mie “certezze”, rispondo con i tre argomenti che seguono.

1 Mi capita da alcuni anni non solo di scrivere (come faccio oramai da decenni) privatamente sul mio diario, ma di rendere pubbliche (via email, facebook e su qualche libretto) le mie riflessioni su tutta una varietà di argomenti, tra i quali quello relativo alla sessualità.

Lo faccio, forse, “anche” per una forma di esibizionismo e, quindi, di narcisismo: questo non posso escluderlo del tutto.

Ma, se fosse solo per narcisismo, voglio dire per un narcisismo smaccato ed acclarato, credo che in fondo me ne vergognerei e che non oserei sfidare il fastidio che esso inevitabilmente e giustificatamente provocherebbe in quelli a cui indirizzo le mie riflessioni, per quanto amici (e, quindi, tolleranti nei miei confronti) essi possano essere.

Cosa è, allora, che mi spinge a rendere pubbliche certe riflessioni che non solo sono molto intime, ma spesso toccano argomenti che solitamente si tengono riservati e che (forse) possono addirittura offendere il senso del pudore di coloro che mi leggono o, almeno, di alcuni di loro?

La risposta (meditata) è questa: io considero la vita un viaggio e, come del resto accade a molti viaggiatori, a me piace raccogliere “note di viaggio”, quelle che io considero “mappe di orientamento”, relative ai sentieri e alle vie che sto percorrendo o che ho già percorso.

Ritengo allora di offrire una sorta di “servizio pubblico” rendendo manifeste queste mie “note di viaggio” e queste mie “mappe di orientamento”.

Può darsi pure, anzi è molto probabile, che esse non risulteranno utili a o attraenti per nessuno; ma, quand’anche dovessero risultare utili o attraenti anche solo in qualche sporadico caso e anche solo ad uno dei miei sparuti lettori (come talvolta mi succede di avere riscontro), la mia sensazione (potrei dire anche la mia convinzione) è di non aver soddisfatto solo una mia sterile pulsione narcisistica, come forse ai più apparirà.

Dunque, in sintesi e per tentare di dare una risposta alla domanda che mi sono fatto poco sopra, se io oggi rendo pubbliche certe mie riflessioni su sessualità e dintorni, non lo faccio tanto perché penso di poter mettere (io) in pratica le cose che mi capita di sentire, comprendere e di scrivere, ma perché penso e spero che esse possano risultare utili e attraenti in qualche modo a chi verrà dopo di me, a chi è più giovane di me, in qualche modo traendo frutto e facendo tesoro (anche) da quanto io ho potuto sperimentare nel corso della mia vita, comprese le mie frustrazioni e i miei fallimenti, anzi traendo insegnamenti soprattutto da questi ultimi.

E’ forse presunzione la mia? Può darsi. Ma non ne sono del tutto sicuro. Anzi in tutta sincerità non lo penso affatto. E allora oso scrivere di certi argomenti, anche se a qualcuno la mia potrà sembrare presunzione e vanità. Disposto ad affrontare, dunque, a viso aperto, le critiche e le ironie che me ne verranno.

2. Io non penso affatto (come, forse, i più – a mio avviso con troppa faciloneria tendono a ritenere – compresi alcuni illustri psicologi e psicoanalisti, di cui ho letto molto, quali – per fare solo due nomi – Galimberti e Recalcati) che il cosiddetto “poliamore” sia sinonimo di dongiovannismo, di casanovismo e (meno che mai) di ossessione, dipendenza, mania sessuale, ipersessualità.

Che in alcuni casi sia “anche” questo, forse, è vero; che alcuni puri e semplici maniaci sessuali possano definirsi oggi (visto che il termine è in voga) poliamorosi, è probabile.

Questo però non vuol dire che tale identificazione sia giusta ed appropriata sempre e per chiunque oggi si definisca “poliamoroso”.

Cosa è, infatti, per me il “poliamore”? E’ una visione dell’amore e della sessualità che si distacca, distingue, da quello che è stato finora il modo prevalente di vedere e di vivere sia l’uno (l’amore) che l’altra (la sessualità), fondato sulla esclusività del sentimento e del legame.

E’ l’idea, anzi la convinzione, che un amore non escluda altri amori, che più amori possano convivere serenamente e apertamente in contemporanea, senza sotterfugi e inganni (come, purtroppo, è avvenuto in passato – per secoli, anzi millenni – e come avviene anche oggi nella maggior parte dei casi), se il sentimento del possesso e quello della gelosia (che scattano inevitabilmente quando un amore nuovo insorge in presenza di un amore “vecchio”, ma ancora vivo) vengono educati e superati.

Non è, insomma, niente affatto la ricerca ossessiva, spasmodica e, quindi, anche per me del tutto nevrotica, se non addirittura psicotica, di più legami amorosi e sessuali; in questo caso, a dire il vero, in genere più sessuali che amorosi.

E’, invece, la disponibilità serena, tranquilla, niente affatto ossessiva, a viversi più legami amorosi, laddove se ne presentassero le condizioni, le opportunità e laddove questi fossero occasioni di crescita e di arricchimento di tutti i legami amorosi in atto.

Il poliamoroso, dunque, non ha niente a che fare con gli archetipi del don Giovanni e del Casanova, i quali vivono le loro conquiste amorose come trofei da aggiungere ad una metaforica galleria/bacheca, da ostentare con fanatico e narcisistico orgoglio.

Il poliamoroso è semplicemente una persona aperta, che rimane aperta anche quando vive un legame amoroso solido e ancora valido, perché sperimenta che un nuovo amore non cancella quello precedente e che gli amori (se sono veri amori) non si escludono a vicenda.

Il poliamoroso è oltretutto una persona che (al contrario del dongiovanni) dà molta più importanza all’amore che al sesso; anche se non sottovaluta affatto il sesso, perché ha sperimentato ed è convinto che il sesso è (o, almeno, può essere) una delle manifestazioni dell’amore, in molti casi la sua espressione più intima e profonda.

3. I due argomenti precedenti se ne tirano dietro un terzo, che è il seguente: almeno in linea teorica, anche una persona anziana può essere aperta alla poliamorosità; perché questo non comporta nessun velleitarismo, nessuna smania di prestazioni sensazionali, nessuna ricerca spasmodica e ossessiva di nuove performance amorose e, meno che mai, sessuali.

Comporta solo un’apertura mentale e il superamento di alcuni tabù consolidati che le epoche precedenti ci hanno trasmessi e di cui un po’ tutti quanti noi, anche i più disponibili ai cambiamenti, facciamo fatica a liberarci.

Sono convinto che anche una persona anziana possa, anzi debba, rimanere aperta a nuovi incontri e possa assaporare addirittura nuovi amori; questi, se gli capiteranno, non potranno che fare bene alla sua salute, a quella fisica e a quella psicologica.

Ovviamente, però, non dovrà confondere i nuovi amori col “primo vero grande amore”; non dovrà confondere il nuovo amore con l’amore dei suoi sogni, secondo l’idea romantica, ancora dura a morire e largamente prevalente anche tra gli anziani.

Ma, soprattutto, non dovrà perdere la testa confondendo la “novità” con la “superiorità” del nuovo amore rispetto a quello “vecchio”, già in corso e, oramai, datato; dovrà conservare la lucidità di pensare che un amore nuovo non cancella (necessariamente) l’amore che lo ha preceduto, ma che i due amori possono convivere benissimo, se ci si educa ad un modo meno rigido e convenzionale, più aperto e flessibile, di vivere i propri rapporti.

Infine, con l’avanzare sempre più incalzante dell’età dovrà, forse, prendere atto che la stagione degli amori plurimi per lui è finita e che, nel migliore dei casi, egli oramai sarà in grado di viversene uno solo.

Ma questo dato di realtà non gli chiederà affatto di rinnegare la teoria e la pratica poliamorose; che, se non varranno più per lui, saranno valide comunque per quelli più giovani di lui; e, quindi, comunque degne di essere da lui condivise e propagandate, almeno in teoria, se non nella pratica reale.

Che è esattamente il mio caso; per questo mi capita di parlarne spesso, anche a costo di sottopormi all’ironia benevola di amici e conoscenti.

Non certo perché io pensi che alla mia età si possa realisticamente mettere in pratica la teoria poliamorosa.

Ma perché penso che parlarne possa favorire (specie nei molto più giovani di me) un nuovo modo di pensare l’amore e la sessualità e contribuire quindi alla nascita di una società più aperta, più libera, più tollerante, oltre che meno ipocrita, di quella attuale.

© Giovanni Lamagna

De amicitia

Epicuro così scriveva a proposito dell’amicizia: “Di tutte le cose che la saggezza procura per ottenere un’esistenza felice, la più grande è l’amicizia.

Su questa affermazione concordo pienamente.

Non a caso anche la saggezza popolare è arrivata a coniare un adagio che dice più o meno la stessa cosa di Epicuro: “chi trova un amico trova un tesoro”.

Ma in cosa consiste questa particolare forma di relazione che siamo soliti chiamare “amicizia”? In cosa si distingue da altre forme di relazione?

Per rispondere a queste domande ci può aiutare il ricorso alla lingua greca (non a caso la lingua di Epicuro) e l’analisi etimologica della parola che in greco traduce il termine “amicizia”.

La parola greca è “philia”. Che deriva dal verbo “philein”, che vuol dire “volere bene, amare”.

L’amicizia, dunque, per gli antichi Greci, aveva a che fare con l’amore, anzi era amore.

Ed anche per me l’amicizia o è amore o semplicemente non è.

E’ una forma di relazione che può arrivare a coinvolgere perfino la dimensione sessuale; nel qual caso si definisce, con un’espressione oggi alquanto in voga, “amicizia erotica”.

In questo caso, soprattutto in questo caso, cosa distingue allora l’amicizia (la relazione che solitamente definiamo così) dall’amore (la relazione che solitamente definiamo così)?

La distingue una sola caratteristica.

L’amicizia tutti danno per scontato che sia un tipo di relazione poligama: nessuno/a si sognerebbe di chiedere all’amico/a l’esclusività del rapporto (anche se non mancano – a dire il vero – forme di esclusività e di gelosia, a volte anche molto forti e violente, pure nei rapporti di amicizia).

L’amore, invece, per la grandissima maggioranza delle persone è e deve essere un legame di natura monogama.

Anche se poi in molti rapporti di amore la fedeltà monogamica è di fatto tradita, essa viene però, comunque, teorizzata, perfino da quegli stessi che poi nei fatti la tradiscono.

Pure se stanno venendo sempre più allo scoperto persone che teorizzano (e, a volte, praticano) il cosiddetto poli-amore, cioè una forma di relazione amorosa non monogamica, ma esplicitamente, apertamente, dichiaratamente poligama: un tipo di relazione quindi molto simile alle amicizie erotiche.

Fatte queste distinzioni tipologiche e non solo terminologiche, che hanno a che fare più con la storia e con la sociologia delle relazioni che con la loro psicologia, cosa invece caratterizza nel profondo la relazione che siamo soliti definire come amicizia?

Non è certamente un amore indistinto, indifferenziato, universale, come è quello che già gli antichi Greci definivano col termine “agape”.

L’amore-agape nasce da una scelta etica, potremmo anche dire ideologica, ma sarebbe meglio definire filosofica ed esistenziale, spesso religiosa, in base alla quale si considerano tutti gli uomini (a prescindere dalle loro caratteristiche individuali, quindi perfino quelli che ci vogliono male, perfino quelli che ci sono nemici) come nostri fratelli.

L’amore-agape è quindi un amore unidirezionale che si prova e si manifesta a prescindere dalla risposta di colui/colei a cui è rivolto: può anche non essere corrisposto, anzi può essere addirittura respinto, può trovare perfino una reazione opposta (di odio), eppure esso sussiste, continua a sussistere.

Appunto perché non è motivato dalle caratteristiche e dalle reazioni di colui/colei a cui si rivolge, ma affonda le sue radici in una motivazione del tutto personale, interiore e spirituale.

L’amicizia ha, invece, con piena evidenza e secondo il senso comune, tutt’altre caratteristiche: in altre parole non si può essere amici di tutti indistintamente; si può essere amici solo di determinate persone, con certe determinate caratteristiche e non altre.

Da questo punto di vista l’amore di amicizia non è e non può essere una forma di amore totalmente disinteressato, come molti propendono a pensare e come lo è invece l’amore di fratellanza universale, cioè l’agape.

Anzi, potremmo dire, l’amicizia si fonda proprio sull’interesse reciproco a vivere questa relazione. Non un interesse di tipo materiale, economico, ovviamente. Ma un interesse di tipo psicologico, certamente.

L’amicizia si fonda, dunque, sull’interesse o, meglio, sul piacere condiviso (espressione sulla quale Epicuro avrebbe senz’altro concordato) dello stare assieme: piacere spirituale in senso lato (che in certi casi è principalmente intellettuale, in altri prevalentemente emozionale, in altri ancora soprattutto sentimentale), ma a volte è perfino di natura fisica e sessuale.

Più questi piaceri sono profondi, grandi e intensi, più sono sommati e intrecciati tra di loro, più l’amicizia è ovviamente grande ed importante.

Credo che appaia a tutti chiaro, a questo punto, come l’amicizia, la vera amicizia, manco lontanamente possa essere identificata con la semplice conoscenza tra due persone; e manco con la loro pura e semplice frequentazione, dettata dalle circostanze o dal caso.

L’amicizia nasce e si sviluppa tra due persone per una loro precisa e consapevole volontà e scelta, figlie di un’attrazione e di un desiderio reciproci.

Meno che mai si può definire “vera amicizia” quella che a volte con un po’ di superficialità concediamo e riceviamo sui social e che non a caso si definisce “virtuale”.

Anche se non è da escludere che anche l’incontro sui social possa – almeno in certi casi – costituire l’occasione, lo spunto, l’avvio per costruire una vera e propria amicizia, non solo virtuale, ma ben concreta e reale.

© Giovanni Lamagna

Relazione duratura e modello matrimoniale

E’ molto vero (anche se non per tutti scontato) quello che sostiene Frankl (pag. 184 del suo “Logoterapia e analisi esistenziale”; Morcelliana) che il sesso nell’uomo non ha solo (ed io aggiungo: soprattutto) “il compito di servire alla procreazione”, ma anche (ed io dico: innanzitutto) “di incrementare la relazione tra i partner”.

Ed è vero anche quello che sostiene Eibl-Eibesfeldt che “l’uomo è disposto, per natura, a una relazione duratura”.

Ma non è vero affatto – a mio avviso – che questa relazione duratura debba necessariamente realizzarsi – come sostiene Eibl-Eibesfeldt – “secondo il modello matrimoniale”.

Io sostengo, anzi, che il modello matrimoniale – almeno per come lo abbiamo conosciuto finora – tende a mortificare la relazione tra i partner e ad uccidere col tempo la componente erotica in questa relazione.

Il che non significa che bisogna “spersonalizzare” le relazioni sessuali, privandole della dimensione dell’amore, come teme Frankl.

E come (anche con delle ragioni solide, per carità!) temono molti psicologi, che si occupano di queste problematiche; ne cito solo due, a mo’ di esempio, ben noti ai lettori italiani: Umberto Galimberti e Massimo Recalcati.

L’alternativa al matrimonio non è dunque (almeno per me) il sesso anonimo e privo di amore.

E’ possibile, infatti, immaginare un sesso libero e poligamico (aggettivi che non sono sinonimi di “libertino” e di “promiscuo”) dove sia presente l’amore: quello che oggi viene definito con un neologismo, ancora non riconosciuto dai vocabolari ufficiali: quello di “poliamore”.

Perché io sono d’accordo che “la morte dell’amore porterebbe con sé… anche una diminuzione del piacere” sessuale.

Ma non sono d’accordo che l’amore – per essere vero amore – debba essere necessariamente monogamo e – meno che mai – che debba – per forza di cose e senza alternative – realizzarsi secondo il modello del matrimonio classico, tradizionale.

© Giovanni Lamagna

Un nuovo amore mette in crisi la coppia

Molte coppie entrano in crisi perché uno dei due suoi componenti si innamora di un’altra persona. Tale crisi è inevitabile, perché il sistema-coppia viene scosso, modificato, diciamo pure sconvolto dall’irruzione del nuovo amore. E’ altrettanto inevitabile che questa crisi si concluda con una rottura?

A questa domanda rispondo: se il nuovo amore nasce dal fatto che non si ama più la persona con cui si è in coppia e viene a riempire un vuoto che si era già creato in precedenza, perché il rapporto di coppia risultava insoddisfacente, allora è giusto e naturale che la crisi si risolva con la rottura e lo scioglimento della coppia.

Ma, se il nuovo amore nasce semplicemente da un bisogno/desiderio (che io considero persino naturale ad un certo punto della vita di una coppia) di nuove relazioni, che arricchiscano di nuovi stimoli e di nuove opportunità la propria vita, perché il nuovo amore dovrebbe cancellare e annullare il “vecchio”?

In questo secondo caso non è più giusto che la crisi insorta venga risolta con l’apertura (e non con la rottura) della coppia? con l’inclusione del nuovo e insorgente amore e non con l’esclusione del “vecchio” e precedente amore?

La formazione di un nuovo sistema relazionale, non più duale ma pluriamoroso, può essere l’alternativa alla troppo spesso scontata e precipitosa (oltre che – il più delle volte – dolorosissima e lacerante) rottura della coppia tradizionale monogamica.

© Giovanni Lamagna

Monogamia, poligamia e poliamore

Per quello che ne so, la gran parte degli studi antropologici ci dice che la monogamia, come struttura organizzativa fondamentale e storicamente prevalente dei legami tra maschi e femmine, sia stata inventata dai maschi.

Perché essi potessero avere 1) la (quasi) certezza dell’appartenenza biologica della propria prole e 2) una figura che garantisse l’allevamento, la cura e la crescita dei propri figli, mentre egli era lontano per motivi di caccia o di pastorizia.

Se questa ricostruzione è attendibile, la monogamia sarebbe stata dunque imposta alle femmine, anche se queste ne hanno poi tratto dei vantaggi secondari: questo tipo di organizzazione, infatti, assicurava il cibo alla prole oltre che a loro.

Gli stessi maschi poi, presso alcune società, hanno inventato la poligamia; che significava per alcuni di essi la possibilità di realizzare appieno la propria libido (tendenzialmente poligamica e non certo monogamica) possedendo più femmine; e per le femmine la dipendenza (economica, affettiva, sessuale) da un solo uomo, con il conseguente sacrificio (almeno parziale) della propria libido (tendenzialmente poligamica come quella del maschio).

La poligamia ha dunque questo dato fondamentale che la caratterizza con tutta evidenza: vale per il maschio e non per la femmina; è dunque un’organizzazione dei rapporti maschi/femmine completamente e radicalmente asimmetrica.

Da qualche decennio, soprattutto nelle società ad economia più avanzata e, quindi, più aperte ed evolutive sul piano dei costumi, è affiorata l’idea di un modo nuovo di pensare e vivere i rapporti tra maschi e femmine: quello poliamoroso.

In linea teorica il poliamore nasce come opzione valida sia per i maschi che per le femmine; si basa quindi su un’idea (finalmente) paritaria (almeno sul piano teorico-ideale) dei rapporti tra maschi e femmine.

E questo dato lo distingue nettamente e profondamente dalla poligamia tradizionale, come l’abbiamo conosciuta storicamente, presso le varie società che l’hanno istituita e praticata per secoli, in alcuni casi per millenni.

E, infatti, ci sono poliamoristi maschi e poliamoriste femmine. Ma la mia impressione (non so se ci siano anche dati statistici che lo confermano) è che ci siano molti più poliamoristi maschi che poliamoriste femmine.

Se ne può dedurre che anche il fenomeno del poliamore sia partito dai maschi, credo per portare alla luce del sole e non essere costretti a vivere più in maniera clandestina quella che è stata sempre una loro tendenza tipica: quella di avere più legami (e non uno solo) con le femmine.

Mentre ho l’impressione che la gran parte delle femmine continui a prediligere ancora oggi la coppia rigidamente monogamica, continui cioè ad avere  una struttura psicologica saldamente orientata verso la monogamia, come espressione di un sogno/mito tipico della psicologia femminile: quello dell’amore romantico.

E’ del tutto evidente, quindi, che il fenomeno poliamoroso non avrà alcuna possibilità di affermarsi su una larga scala sociale, se nelle femmine non verrà meno questo mito, quasi archetipico, così fortemente radicato nel loro inconscio.

Se, in altre parole, le donne non supereranno una concezione che, nei fatti e sui grandi numeri (fatte quindi le dovute eccezioni), le rende (ancora oggi e per molti aspetti) subalterne alla figura maschile, orientate come sono (quasi come interesse prevalente) alla ricerca dell’uomo della loro vita, l’uomo dei loro sogni.

© Giovanni Lamagna