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Ansia e “grazia di stato”.

A me succede che l’ansia per qualcosa di fastidioso o doloroso che devo fare o subire è maggiore quando dal momento in cui la devo fare o subire mi separano parecchi giorni; diminuisce, invece e stranamente, mano a mano che mi avvicino al giorno in cui la devo fare o subire.

Come se subentrasse quella che la teologia cattolica chiama “grazia di stato”, cioè una speciale energia (secondo la teologia cattolica proveniente direttamente da Dio) per sostenere, con efficacia, cioè senza eccessivi e paralizzanti timori o paure, la prova che mi tiene in apprensione.

Ovviamente, non avendo io fede in Dio, non riesco ad attribuire questo stato di grazia ad un intervento divino.

Allo stesso tempo, però, non posso non registrare questa dinamica psicologica e prenderne atto, come si prende atto di un qualunque altro dato di fatto ricorra talvolta nella nostra vita.

© Giovanni Lamagna

Oggi non basta dirsi a favore della pace.

Oggi non basta dirsi per la pace.

Anche perché tutti dicono di esserlo.

Anche quelli che poi inviano (o sono favorevoli a inviare) armi all’Ucraina, perché – dicono – è giusto, è necessario che l’Ucraina si difenda dall’invasore russo.

“Perché – dicono – anche noi vogliamo la pace, ma una pace giusta, non una pace che sia una resa al prepotente invasore.

Mentre voi pacifisti, che siete contrari all’invio delle armi affinché l’Ucraina possa difendersi, volete una pace ingiusta, che è in realtà una resa passiva e incondizionata all’invasore.”

Per questo oggi non basta dire: “vogliamo la pace!”.

Perché bisogna dare una risposta alle ovvie, scontate, direi addirittura naturali, obiezioni dei “pacifisti” che sono favorevoli all’invio delle armi affinché l’Ucraina possa difendersi dall’invasione russa.

Occorre allora dire che noi siamo non solo pacifisti, ma siamo soprattutto nonviolenti.

E’ questo che ci distingue e divide, in modo radicale, dai pacifisti armati.

Pensiamo, cioè, con molta fermezza e convinzione, che la difesa dal nemico aggressore non debba essere quella militare ed armata, ma una resistenza attiva e nonviolenta.

Fatta di scioperi, di boicottaggi, di manifestazioni pubbliche e private di dissenso e di ribellione; non certo – dunque – una resa passiva e rassegnata al nemico invasore.

Come i pacifisti armati ci accusano di volere ed auspicare.

Costoro potranno, allora, dirci (e contestarci) che questa forma di lotta è ingenua e senza nessuna efficacia; che equivale in realtà ad una resa.

E, certo, noi non potremmo convincerli del contrario, se in loro non è maturata o fino a quando non maturerà in loro un’intima convinzione (che è una specie di fede) del contrario.

Anche se nella storia, soprattutto in quella recente, non sono mancate importanti testimonianze (vedi Gandhi, Martin Luther King, Nelson Mandela…) dell’efficacia di una tale forma di lotta, nonviolenta.

Potremmo solo obiettare loro che il ricorso alle armi e la conseguente, molto probabile, progressiva, escalation bellica, nell’attuale situazione storica, con il rischio incombente del ricorso alle armi nucleari, ci porterà quasi sicuramente dritti, dritti verso un’ecatombe mondiale e, dunque, la probabile estinzione della nostra specie.

Hanno presente i nostri pacifisti favorevoli all’uso delle armi (fossero anche solo di difesa) un tale rischio, che, a dire il vero, è molto più di un rischio, perché è invece una quasi assoluta certezza?

Chi è quindi più ingenuo e realista?

Chi, in nome del presunto realismo, si dice contrario all’utopia nonviolenta o chi azzarda questa utopia, come unica forma di realismo e non solo di idealismo, perché mai come oggi vede reale la possibilità che la specie umana si autodistrugga con le sue stesse mani?

C’è, in altre parole, oggi, nell’attuale situazione storica, una reale alternativa alla nonviolenza (attenzione: non il semplice e generico appello alla pace!), se si vuole salvaguardare il futuro dell’Umanità e non rimuovere il problema, come, invece, la maggior parte dei “pacifisti armati” fa?

© Giovanni Lamagna