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La gelosia si può educare.

Certo che gelosia, orgoglio ferito, delusione, rabbia fanno parte della natura umana; che in buona parte è simile a quella degli altri animali!

Ma l’uomo, a differenza degli altri animali, ha una coscienza e un’intelligenza che possono aiutarlo a divenire consapevole dei suoi impulsi e ad educarli, per non restarne prigioniero.

L’uomo – volendo – si può educare a non essere possessivo, a non considerare l’altro/a una sua proprietà; e, quindi, a non essere più geloso.

Tra l’altro io sento che, quando l’altro/a non ci appartiene mai del tutto e in qualche modo ci sfugge, si sviluppa in noi un’adrenalina, un’eccitazione, che appassisce, muore, quando egli/ella sono invece per noi troppo scontati.

Un rapporto in cui non c’è la presenza di un “terzo” (quantomeno immaginario, simbolico) tende a diventare fatalmente “incestuoso”, più fraterno e amicale, che passionale ed erotico.

Accettare questa presenza ha (può avere) due effetti: ci aiuta a diventare meno possessivi e gelosi nei confronti di un nostro “rivale” (potenziale o reale) ed alimenta il nostro desiderio nei confronti del “nostro” partner.

© Giovanni Lamagna

Letterina di Pasqua 2023

Io non credo in nessun Dio che risorge.

Credo però nella possibilità che l’uomo possa rialzarsi dalle sue cadute,

che ogni giorno possa diventare una persona un poco migliore.

Credo nei piccoli passi, nei piccoli gesti,

quelli che appena si notano

o non si notano per nulla

ma che, a lungo andare, fanno la Storia.

Non credo nei miracoli: quelli soprannaturali.

Credo però che un sorriso, una carezza,

la parola giusta detta al momento giusto,

un gesto di aiuto, un atto di solidarietà,

la fraternità, l’amicizia, l’amore

possano fare miracoli: quelli naturali.

Simili al seme che prima muore e poi dà frutto,

all’arcobaleno che colora il cielo dopo la tempesta,

al sole che risorge ogni giorno,

al corpo stanco che va dormire la sera e

si risveglia fresco e riposato la mattina dopo,

al tempo che guarisce molte ferite, corporali e spirituali.

Queste sono le resurrezioni in cui credo!

© Giovanni Lamagna

Due concetti buddhisti – il dharma e il karma – spiegati in maniera semplice.

Che cosa ho capito io di due concetti fondamentali nel Buddhismo: quello di “dharma” e quello di “karma”?

Per rispondere a questa domanda utilizzerò termini ed espressioni forse lontani dal linguaggio tipicamente buddhista e più vicini alla cultura e alla tradizione occidentali, ma cercherò di dare comunque una lettura il più possibile corretta e obiettiva dei due termini nella loro sostanziale accezione buddhista.

Il “dharma” è per me il punto fermo, da cui tutto si diparte, tutto si dipana e, per conseguenza, tutto si ordina e si spiega o può spiegarsi.

In questo senso il termine “dharma” potrebbe essere definito anche, con una metafora, come il “centro geometrico del Tutto”, col quale bisogna entrare in contatto, nel quale bisogna “prendere rifugio” (a voler usare un’espressione – questa sì – tipicamente buddhista), se si vuole entrare in connessione con il Tutto.

E, per conseguenza, se si vuole mettere ordine, armonia, nella propria vita interiore.

Nessuno di noi nasce già costituzionalmente connesso con questo Centro: per questo siamo tutti normalmente e il più spesso scentrati; e, quindi, nevrotici.

Si entra in connessione col “dharma”, col “centro del Tutto”, non per nascita, ma solo per scelta, per una decisione assunta, in seguito ad un certo tipo di presa di coscienza, di consapevolezza raggiunta.

Che, tra l’altro, deve poi essere mantenuta e quindi curata, nel corso della propria vita; non si mantiene viva in modo scontato e automatico una volta ottenuta.

A questo fine serve, appunto, la pratica principale del Buddhismo, che, come tutti sappiamo, è la meditazione; nel linguaggio di noi occidentali molto più simile alla contemplazione che al nostro modo di intendere e praticare la meditazione.

Il “karma”, invece, è la legge che presiede alla vita di ogni cosa, in base alla quale ogni cosa (come ogni azione) è figlia/frutto/effetto di altre cose e di altre azioni; e, a sua volta, sarà causa/madre/pianta generatrice di altre cose e di altre azioni, in un ciclo continuo e inarrestabile, potremmo anche dire eterno.

Da questo punto di vista possiamo anche dire, dunque, che ogni cosa (compresi noi stessi) è eterna; nel senso che sicuramente ha un termine la vita singola, individuale delle cose, compresa la nostra; ma non ha termine la Vita (il Karma, appunto!), di cui la nostra vita singola è semplice particella, piccolo e transitorio frammento.

Ogni cosa nasce, cresce, si riproduce, nella sua forma soggettiva, potremmo pure dire “apparente”, fenomenica, ma in realtà non muore mai, nel senso che non si distrugge, non si estingue, ma semplicemente si trasforma.

Anche il concetto di “karma”, come quello di “dharma”, non ha – come è del tutto evidente da questa semplice e sintetica esposizione – una semplice valenza teorica.

Ma ne ha una anche pratica, cioè morale, in quanto la trasformazione della nostra soggettività particolare molto dipende dalle nostre scelte, dai nostri comportamenti, dalle nostre azioni di singoli individui.

E, quindi, carica ogni uomo di una grande responsabilità etica.

© Giovanni Lamagna