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Anima individuale (atman) e anima universale (brahma).
Condivido l’idea centrale dell’induismo: che c’è un’anima individuale (atman) e c’è un’anima universale (brahma).
Anche per me l’anima individuale (di ognuno di noi) non troverà pace fino a quando non si fonderà con l’anima universale.
Fino a quando – in altre parole – non scoprirà che il suo interesse profondo coincide con quello dell’anima universale, che è fatta dall’insieme delle anime individuali e, financo, di tutte le cose, organiche e inorganiche, che compongono il creato.
Fino a quando cioè non scoprirà e non imparerà a praticare la logica dell’amore, che affratella – secondo l’insegnamento di santo Francesco – tutti gli uomini, anzi tutto ciò che esiste in natura: sorella acqua, sorella terra, sorella aria, fratello fuoco…
© Giovanni Lamagna
I libri aiutano a respirare.
Si leggono libri perché si ascoltano in giro troppe parole banali, che inquinano l’aria e rendono difficoltoso, quindi, il respiro.
I libri sono come bombole di ossigeno che immettono nei polmoni aria pulita e aiutano quindi a respirare, quando l’aria attorno tende a diventare irrespirabile.
© Giovanni Lamagna
Libertà e libertinaggio
Con questa riflessione voglio chiarire un possibile equivoco, che può essere facilmente ingenerato da alcune mie posizioni nei riguardi delle relazioni erotiche e sessuali, quando non vengono correttamente intese.
L’ipotesi della “coppia aperta”, di cui mi sono dichiarato più volte fautore, si pone, regge, ha valore, solo nel caso di un rapporto che funziona, di un rapporto cioè in cui è ancora vivo il desiderio reciproco.
Non certo nel caso di un rapporto nel quale ognuno dei due partner oramai ignora completamente l’altro, si fa i cavoli propri, vive una vita del tutto sganciata da quella dell’altro/a.
Non ha senso, quindi, nel caso di un rapporto che è oramai morto nei fatti o, perlomeno, è del tutto disfunzionale; di quale “coppia aperta”, infatti, si potrebbe parlare, nei casi in cui la coppia di fatto non esiste più?
Fatta questa premessa, io sono convinto però che una coppia, per funzionare bene, ha bisogno – come condizione base per la sua esistenza – della libertà reciproca dei suoi due membri, allo stesso modo di cui i polmoni hanno bisogno dell’aria per respirare.
Ma, anche qui intendiamoci bene, la libertà è altra cosa – smontiamo quest’altro equivoco – dal libertinaggio.
Il libertinaggio, infatti, (quasi sempre) è unilaterale e viene imposto da uno dei due partner all’altro; la libertà, invece, è bilaterale, è una scelta, consapevole e persino formale, fatta da entrambi i partner.
Mi rendo conto, sono pienamente consapevole, che non è facile condividere questa visione dei rapporti amorosi; e che è ancora meno facile metterla in pratica.
Ma l’esperienza mi insegna che, se il rapporto non viene vissuto in questo modo, quasi inevitabilmente (se non inevitabilmente) finisce nelle secche della routine.
Che è, poi, l’anticamera dell’esaurimento sostanziale, se non anche formale, di una relazione erotico-sessuale.
Basta vedere come vivono la maggior parte (non tutte, ma la maggior parte, sì) delle coppie, dopo un certo numero di anni.
Nella migliore delle ipotesi i due membri della coppia sono diventati amici fraterni; nella peggiore si sopportano appena e con molta fatica; in alcuni casi arrivano addirittura ad odiarsi e, perfino, alla violenza.
Certo – anche di questo sono ben consapevole – la maggioranza di noi non è disposta ad accettare questa realtà dei fatti e si ostina a credere nel mito/sogno dell’amore romantico; cioè dell’amore esclusivo, se non anche eterno.
E così i più vanno a sbattere, magari più volte nella loro vita, contro la realtà che – dura come roccia – smentisce quel mito e quel sogno.
Per cui la maggior parte delle società (anche quelle contemporanee, anche quelle culturalmente più evolute, secondo gli schemi della cultura occidentale) continuano (non so se più ipocritamente o più stupidamente) a confermare quel mito e quel sogno.
Oppure a praticare (se non proprio a teorizzare) una libertà di costumi, che vale (ancora, come già in epoche passate) solo per i maschi e non (come sarebbe giusto che fosse) per entrambi i sessi.
Donde la domanda che mi pongo da tanto tempo e la cui risposta a me pare oramai scontata: è sana una società che vive sulla ipocrisia di valori a cui non riesce a mantenersi fedele e sulla ingiustizia di una millenaria disparità tra maschi e femmine?
© Giovanni Lamagna
Πνεύμα
In greco la parola “πνεύμα” significa allo stesso tempo il respiro, l’aria, il soffio vitale (realtà fisico/materiali) e l’anima, il principio originario, l’arché (ἀρχή) (realtà immateriali e spirituali).
Segno del tutto evidente che c’è un’affinità, se non proprio un’equivalenza, tra le due dimensioni: il respiro è a livello fisico quello che l’anima è ad un livello spirituale; e viceversa.
E’ sorprendente, altresì, l’analogia tra il significato che i greci attribuiscono alla parola “πνεύμα” (che trova, tra l’altro, ampi riscontri nell’Ebraismo e nel Cristianesimo) e il collegamento che tra lo spirito e il respiro colgono altre tradizioni culturali, specie orientali: in primo luogo quelle che hanno dato origine alla filosofia e alla pratica dello “yoga”.
Giovanni Lamagna
Il “sentimento oceanico” e il “sentimento egoico primitivo”.
Secondo Sigmund Freud il “sentimento oceanico”, cioè la sensazione di essere tutt’uno con l’universo (ovvero l’equivalente del sentimento religioso secondo Romain Rolland, il letterato francese suo contemporaneo con il quale il fondatore della psicoanalisi aveva avuto un importante scambio epistolare), se esiste, è il “sentimento egoico primitivo” preservato dopo la fine dell’infanzia.
Il sentimento egoico primitivo precede, secondo Freud, la creazione dell’ego vero e proprio ed esiste fino a quando la madre non cessa l’allattamento al seno. Fino a quando viene allattato regolarmente, in genere in risposta al suo pianto, il bambino non ha idea che il seno non gli appartenga. Pertanto, il bambino non ha la percezione del “sé” o, meglio, considera il seno della madre come parte di sé.
Freud sostiene che coloro che sperimentano un sentimento oceanico da adulti stanno in realtà rivivendo un sentimento egoico primitivo. In altre parole lo stesso sentimento che prova il bambino quando è attaccato al seno della madre e non ha ancora percepito che il seno della madre è altro da sé.
Il sentimento oceanico è, dunque, per Freud lo stesso che prova il bambino per tutta la fase dell’allattamento fino al suo svezzamento. Quindi una sorta di vera e propria regressione a quella fase della vita infantile.
Mi permetto (pur con tutto l’ovvio rispetto dovuto al geniale fondatore della psicoanalisi) di essere in disaccordo con questa interpretazione di Freud. E per almeno due motivi.
Il primo è, perfino, banale a dirsi.
Se il sentimento oceanico di cui parla Rolland è sperimentato da adulti, cioè da persone che sono evidentemente uscite dalla fase del “sentimento egoico primitivo” ed hanno acquisito una piena e matura percezione del sé, non si capisce come possano tornare a sperimentare ancora una volta il “sentimento egoico primitivo”.
Si potrà tutt’al più affermare che l’esperienza del “sentimento oceanico” ha delle somiglianze, delle affinità emozionali-affettive con il “sentimento egoico primitivo”. Ma non si potrà dire che quello coincida con questo. Non si potrà dire che si tratti dello stesso “sentimento egoico”, preservato in una specie di memoria bioenergetica.
Il secondo motivo è molto più profondo e significativo del primo.
Il bambino che vive nella fase del “sentimento egoico primitivo” è un soggetto profondamente egocentrico, narcisista, potremmo dire perfino egoista. Tutto concentrato, cioè, sui suoi bisogni primari e del tutto indifferente a quelli degli altri. Tanto è vero che, se, avendo fame, il seno non gli viene dato immediatamente, piange come un disperato e può diventare perfino aggressivo.
L’adulto che vive l’autentico “sentimento oceanico”, quello di cui parla Romain Rolland è, invece, profondamente sensibile ai bisogni degli altri, quasi come (se non, in alcuni casi, addirittura di più) che ai suoi. Rispettoso e amante non solo degli altri esseri umani suoi simili, ma di tutto ciò che ha a che fare con la natura, dal mondo minerale a quello vegetale a quello animale, dall’aria all’acqua in primis.
Queste così diverse manifestazioni esteriori (evidenti a chiunque le voglia osservare senza pregiudizi pseudoscientifici) rendono del tutto irriducibile il “sentimento oceanico”, di cui parla Rolland, al “sentimento egoico primario”, di cui parla Freud. Trattasi di due esperienze completamente e profondamente diverse. Forse addirittura opposte.
Potremmo, infatti, dire (penso senza tema di esagerare troppo) che l’esperienza del “sentimento oceanico” è addirittura lo stigma inequivocabile del completo e definitivo superamento della fase del “sentimento egoico primitivo” nell’uomo, l’uscita completa dalla condizione infantile per addivenire a quella adulta.
La persona che è in grado di sperimentare il cosiddetto “sentimento oceanico” è uscita definitivamente dalla fase egoica primaria del Sé (mi verrebbe di dire) tutto ripiegato su di sé, (cioè dalla fase del narcisismo tipica dell’infanzia e anche – se vogliamo – dell’adolescenza) e si è aperta alla dimensione dell’Altro da sé, che è (o dovrebbe essere) quella tipica dell’età adulta pienamente realizzata.
Chi prova il vero, autentico, “sentimento oceanico” si fonde (o tende a fondersi) con l’Altro da sé non, certo, con il seno della madre, ovverossia con l’immagine di sé proiettata nella madre, come avviene al bambino. Vive un’esperienza del tutto diversa, anzi addirittura opposta, a quella del bambino.
Giovanni Lamagna
La ricerca del vero Sè
25 maggio 2015
La ricerca del vero Sé.
A me pare che il senso della vita non vada cercato tanto nelle cose che facciamo. Per quanto esse possano essere interessanti, piacevoli, utili, necessarie, perfino culturalmente elevate o moralmente generose.
Ma vada ricercato attraverso un’azione tutta interiore e invisibile, finalizzata a raggiungere il centro di Sé.
Ma che cos’è questo “centro di sé”?
E’ una zona misteriosa, ma ben reale. Che solo coloro che l’hanno raggiunta sanno cos’è, ma che chi l’ha raggiunta sa bene cos’è. Anche se è difficile per lui/lei esprimerla a parole, in quanto si tratta di un’esperienza appunto interiore e non esteriore, spirituale e non materiale; e meno che mai di una teoria.
La si comunica perciò meglio attraverso la testimonianza della propria vita, piuttosto che con le parole e i discorsi.
La ricerca del “vero Sé” da sempre caratterizza la storia dell’umanità, presso tutti i popoli, sotto tutte le latitudini. Si identifica con la ricerca religiosa e, in parte, con quella filosofica (quando questa non è puramente intellettualistica).
Ma ha sempre avuto pochi adepti, perché “molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”. Ed ha assunto, a seconda delle culture e dei popoli, forme, modalità e nomi diversi.
Per alcuni il centro di Sé ha il nome di Dio, per altri quello di Tao (il principio, l’essenza della vita), per altri quello di alcuni elementi della natura (il Sole, la Luna, l’Acqua, il Fuoco, l’Aria, la Terra…), per altri quello del Maestro di Vita, per altri ancora il Maestro Interiore, l’Altro sa sé.
C’è comunque un comune denominatore in tutti questi nomi e in tutte queste esperienze. Il Centro di Sé, nel momento in cui viene raggiunto (attraverso un’esperienza tipica di illuminazione e di conversione) diventa il faro, la luce che orienta tutti i pensieri, i sentimenti, le azioni della persona che lo ha raggiunto.
Diventa il tempo di una seconda nascita, il luogo di partenza di un nuovo viaggio.
Nel momento in cui la persona l’ha raggiunto è una nuova persona: non più dissipata, disorientata, inquieta (come lo era prima), ma unificata, orientata, pacificata.
Forse questo spiega perché alcune persone, pur facendo una vita brillante, ricca di agi, di svaghi, di relazioni importanti, professioni e status prestigiosi, rivelino al fondo (o manco tanto al fondo) una sottile, malcelata (o perfino manifesta) insoddisfazione.
La ragione di questa apparente, (in alcuni casi) inspiegabile insoddisfazione sta (a me pare) nel fatto che esse sono ricche all’esterno, ma povere all’interno, perché hanno cercato (e quindi trovato) molto fuori e poco dentro.
Mentre l’unico modo di trovare la vera pace (e, in certi momenti almeno, addirittura la gioia e la felicità) è quello di cercare dentro e trovare, incontrare lì il vero Sé.
Giovanni Lamagna