In ognuno di noi si nasconde un animale selvaggio, sotto le forme/apparenze dell’animale addomesticato, che necessariamente siamo dovuti diventare per farci accettare in società e che la società necessariamente deve chiederci di diventare per rendere tollerabile, sostenibile, senza eccessivi stress e conflitti la vita collettiva, per renderla in altri termini “economica”, cioè la casa di tutti, la casa dove è possibile raggiungere il massimo degli obiettivi individuali con il minimo sforzo.
E, però, oltre un certo limite, l’addomesticamento dell’animale selvaggio che è in noi diventa un’esperienza che ha degli effetti indesiderati collaterali, una sorta di amputazione, lobotomia, se non di vera e propria mutazione genetica.
L’addomesticamento dell’animale selvaggio corre il rischio, infatti, di sedare, anestetizzare la nostra libido e di sottrarci, per conseguenza, energie vitali. Il segreto, quindi, della nostra riuscita sta nel tenere sotto controllo l’animale selvaggio, ma senza mai addomesticarlo fino in fondo e del tutto, conservando dunque di esso una buona dose di caratteristiche primitive, “selvagge”, e lasciandola di tanto in tanto (almeno di tanto in tanto) a briglia sciolta.
In questo modo riusciremo a vivere in società, a non essere e non apparire dei pericolosi e radicali sovversivi, a farci accettare dunque dagli altri, dalla maggioranza degli altri, e nello stesso tempo a non tradire la nostra natura profonda, che non ci vuole totalmente integrati e addomesticati nel corpo sociale, ma spiriti liberi e in qualche modo anche un po’ sovversivi e ribelli, se ci teniamo a restare creativi nelle cose che facciamo, specie nelle relazioni che creiamo con gli altri.
In amore ad esempio, dopo essere diventati amanti, mariti o mogli e padri o madri, si tratta, prima o poi, dopo lo svezzamento dei figli o anche prima, di ritornare nuovamente e pienamente amanti, riscoprendo la nostra natura animale (e quindi poligama) di maschi e di femmine.
Questo, lungi dallo spezzare fatalmente e inevitabilmente il legame di fedeltà che ci lega ad una donna o ad un uomo (come i più pensano e temono), lo rinforza, perché lo rivitalizza, gli dà di nuovo energia; energia che tende fatalmente a spegnersi, quando diventa scontato, perché troppo sicuro e del tutto prevedibile.
L’esistenza del terzo (o della terza) può indebolire e, al limite, far scoppiare la coppia, se questa viene vissuta come gabbia, come tana, come prigione comoda, rassicurante, confortevole, anche se, alla lunga, asfissiante.
Ma può anche invece vivacizzarla, darle pepe e nuova anima, se la coppia non è vissuta come rifugio e come riparo, ma come il luogo degli affetti consolidati e teneri, ma non per questo necessariamente esclusivi e possessivi.
L’amore, l’amore vero che si fida, che è sicuro dell’altro e che quindi non ha bisogno delle sue rinunce e del suo sacrificio, non solo è disposto a concedere all’altro/a che egli /ella abbia altri legami, altri amori, ma se ne avvantaggia, perché lo trova eccitante.
Il pensiero che la “mia” donna abbia rapporti con altri maschi, che sia desiderata da altri maschi, lungi dall’indurmi in gelosia, rinnova, rinfocola, eccita il mio desiderio per lei, lo ringiovanisce, lo fa ritornare agli albori dei nostri primi incontri.
E, quindi, è terapeutico, medicina, farmaco, contro il ristagno del sentimento erotico, che fatalmente tende ad appassire col tempo, quando nell’altra si afferma prima la moglie e poi la madre e si spegne la femmina, che originariamente mi aveva attirato a sé, sedotto.
La stessa cosa credo valga anche per la donna (o, meglio, per la femmina) nei confronti del maschio. Anche se purtroppo la donna tende a reprimere questa istanza e a impedire, il più delle volte, che essa affiori alla consapevolezza.
Per cui è più facile che una donna, una volta diventata moglie e, soprattutto, dopo essere diventata madre, tenda ad accucciarsi in questi due ruoli e a rinunciare alle sue istanze ed esigenze di femmina.
Convinta che in questo modo si conquisterà la devozione e la fedeltà del marito, che, nella maggioranza dei casi, effettivamente, a livello conscio, questo vuole e questo le fa credere, ma che, invece, a livello inconscio, desidera esattamente l’opposto.
Tanto è vero che in moltissimi casi si va a cercare la femmina altrove e si trova quindi l’amante, operando quella scissione che è tipica del matrimonio e delle coppie tradizionali: il matrimonio è il luogo della tenerezza e degli affetti, il rapporto extraconiugale è il luogo della eccitazione e dell’eros.
In questo modo l’esito del rapporto di coppia è la rinuncia all’eros, quasi questo fosse un esito scontato, il prezzo inevitabile da pagare alla sicurezza del legame matrimoniale e alla dolcezza della maternità.
Io penso, invece, che questo non sia affatto un esito inevitabile. A patto però di avere coraggio, di saper sperimentare nel proprio rapporto di coppia un’apertura ancora oggi inconsueta, a patto di saper vincere l’inevitabile e naturale istinto di possesso e il conseguente sentimento di gelosia.
A patto che ci si apra ad una concezione dei rapporti uomo/donna (anzi maschio/femmina) del tutto inedita. Una concezione che preveda una pluralità di legami, nella fedeltà a ciascuno di essi.
Fedeltà, che può sembrare paradossale, ma in fondo non lo è, se pensiamo a cosa è l’amicizia. Nell’amicizia io mi sento profondamente legato e fedele al mio amico, ma questo non mi impedisce di essere altrettanto profondamente legato e fedele ad altri amici.
E questo sentimento plurimo in genere è vissuto senza particolari gelosie e pretese di possesso esclusivo. Anzi, quando tali sentimenti si manifestano, vengono di solito giudicati negativamente dal contesto sociale che ci circonda.
Viene allora da chiedersi: perché quello che viene considerato legittimo, anzi del tutto sano e auspicabile per l’amicizia (più amici ho e più ricca è la mia vita sociale ed affettiva) viene considerato invece illegittimo e addirittura immorale nel matrimonio o nei rapporti cosiddetti di amore, nei rapporti cioè nei quali, oltre all’affetto e alla stima reciproci (come nell’amicizia), c’è anche un’implicazione sessuale (che, di solito, nell’amicizia non c’è)?
© Giovanni Lamagna