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L’aggressività nel rapporto di coppia.

Perché – in molti casi – si diventa estremamente aggressivi nel rapporto di coppia?

Per la ragione molto semplice, persino banale, che il rapporto di coppia è quello nel quale la maggior parte delle persone investe di più.

Come in nessun altro rapporto.

In altre parole noi nel rapporto di coppia – specie all’inizio – tendiamo a ricercare le stesse gratificazioni che abbiamo sperimentato nel rapporto coi nostri genitori, specie nel rapporto con nostra madre.

Anzi tendiamo a cercare perfino le gratificazioni che non siamo riusciti a sperimentare allora, le gratificazioni che ci sono mancate, che non abbiamo ricevuto in quella fase decisiva della nostra vita affettiva.

Vorremmo così riempire – attraverso il rapporto di coppia –  dei vuoti – qualcuno parla addirittura di ferite – che ci portiamo appresso da quando eravamo bambini.

Sta tutta qui la estrema complessità e difficolta dei rapporti di coppia.

E la ragione dei loro numerosi e frequenti fallimenti.

© Giovanni Lamagna

Recensione del film “La dea fortuna” di Ferzan Ozpetek

Ieri pomeriggio sono andato a vedere l’ultimo film di Ferzan Ozpetek “La dea fortuna”, con Stefano Accorsi, Edoardo Leo e Jasmine Trinca.

Il film è complessivamente bello, anche se alterna momenti alti a momenti bassi o, meglio, a momenti nei quali la tensione quantomeno cala.

Ci sono alcune scene topiche che toccano profondamente il cuore ed emozionano, ce ne sono altre (parecchie) che sono poco credibili e, in qualche caso, sfiorano la banalità.

Comunque le prime valgono la visione del film e consigliano di andare a vederlo.

Cosa ha voluto raccontare il film?

Ha voluto raccontare la storia di un rapporto di coppia, di un normale rapporto di coppia. Il fatto che nello specifico la coppia del film sia una coppia di omosessuali è un puro accidente.

Perché i problemi che vive la coppia protagonista del film sono i problemi che vivono tutte le coppie, omosessuali ed eterosessuali, “regolarizzate” e di fatto: sono i problemi tipici della struttura-coppia.

Passata la fase dell’innamoramento, la passione tende a spegnersi ed emergono le difficoltà dell’integrazione tra due modi (più o meno radicalmente diversi) di emozionarsi, di vivere gli affetti, di pensare, di comportarsi, di progettare la vita.

L’esito (quasi fatale) è quello di cercare altrove ciò che non si riesce a trovare più nel rapporto con l’altro di coppia, quello che – con linguaggio volgare nel senso etimologico del termine (da “vulgus”) – si definisce “tradimento”.

Per cui la coppia, anche questa coppia del film, arriva a interrogarsi se abbia ancora senso restare assieme, a porsi domande su ciò che ha unito i due partner e su cosa sia successo di così grave da aver creato un baratro nella comunicazione e nella intesa una volta così facili e naturali.

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I due protagonisti, Arturo e Alessandro (interpretati in maniera intensa da Stefano Accorsi e Leonardo Leo; specie quest’ultimo: semplicemente strepitoso!), il primo scrittore fallito (si guadagna da vivere facendo delle traduzioni), il secondo idraulico (sta spesso fuori casa a causa del suo lavoro), stanno per separarsi.

Quando nella loro vita insorge un fatto nuovo, che la sconvolge (“inguaia”) ancora di più, ma che allo stesso tempo si rivelerà per loro (paradossalmente) una vera e propria ancora di salvezza.

Una vecchia amica di entrambi, Annamaria (Jasmine Trinca), single, ma con due figli (Martina e Sandro, di 12 e 9 anni), ha scoperto di avere una grave malformazione congenita al cervello e deve ricoverarsi in ospedale per fare degli accertamenti.

Si presenta allora un giorno a casa di Arturo ed Alessandro, mentre questi stanno facendo una festa sul loro terrazzo di casa piena di amici, e chiede loro di occuparsi dei due bambini durante il tempo del suo ricovero. I due accettano.

Alessandro con grande disponibilità, quasi con entusiasmo.

Il film lascia capire che tra Alessandro e Annamaria in passato c’è stata una storia, forse Alessandro è addirittura il padre del bambino, che non a caso porta il suo stesso nome.

Arturo con più riluttanza e con molti impacci e “distrazioni”.

In ogni caso entrambi pensano che l’esperienza nuova sarà di breve durata, perché Annamaria sarà presto dimessa dall’ospedale e si riprenderà i bambini.

Le cose, invece, si complicano, perché la malattia della donna si rivela più complessa di quello che si era ipotizzato in un primo momento e i due compagni sono costretti a prolungare la loro assistenza ai due figli della loro amica.

Tutto questo mentre il loro rapporto precipita ulteriormente. Alessandro scopre addirittura che Arturo da due anni vive una relazione importante che gli ha tenuto nascosta, approfittando dei suoi lunghi allontanamenti da casa per motivi di lavoro.

A questo punto la convivenza coi bambini diventa insostenibile e Alessandro e Arturo sono costretti ad accompagnarli a Palermo dalla nonna, la vecchia madre di Annamaria (Barbara Alberti), una nobile decaduta, una donna fredda e autoritaria, che aveva vessato la figlia bambina e ne aveva causato non solo la fuga da casa, ancora molto giovane, ma soprattutto il carattere ribelle.

Sulla nave in viaggio per Palermo il film vive uno dei momenti topici dal punto di vista emozionale. Arturo, con le lacrime agli occhi, parla ai due bambini, come se fossero adulti, dei suoi problemi con Alessandro. E i due bambini mostrano di capire, come forse manco un adulto sarebbe stato capace di fare.

(Tra parentesi: questo momento è reso ancora più intenso e magico dalla voce in sottofondo di una splendida Mina, che canta una struggente canzone di Ivano Fossati, “Luna diamante”, inserita nel CD “mina fossati” di recente uscita)

Quando Alessandro e Arturo tornano a Roma, vanno a fare visita ad Annamaria, che il giorno dopo dovrà essere operata. Ma mentre stanno con lei, in un momento in cui l’allegria e il buonumore si alternano al dolore e alla malinconia, improvvisamente Annamaria viene meno e muore tra le loro braccia.

A questo punto i due compagni si rimettono in viaggio per Palermo e vanno a riprendersi con la forza i due bambini, sfidando l’opposizione e le minacce della nonna.

La scena finale è quella di un bel bagno a quattro nelle acque del mare siciliano in attesa della nave che li riporterà sul continente.

Ciascuno dei quattro esegue il rituale della Dea Fortuna, insegnato loro da Annamaria, che serve a tenere con sé la persona più cara al mondo: guardare fisso per qualche istante il volto della persona amata, poi chiudere gli occhi e subito dopo riaprirli, perché l’immagine, come fotografata, scenda fino al cuore.

In questo modo tra di loro quasi si materializza la presenza di Annamaria, che diventa l’amalgama, spirituale eppure molto concreta, della nuova singolare famiglia di fatto che si è venuta a creare.

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Che cosa ci ha voluto dire questo film? O, meglio, cosa ha detto a me? Essenzialmente due cose.

La prima. Non esistono relazioni perfette o ideali. Semplicemente perché non esistono persone perfette, del tutto sane e prive di nevrosi. Siamo tutti fragili e precari, chi più e chi meno. Quindi tutti i nostri rapporti lo saranno altrettanto.

Questa consapevolezza ci dovrebbe aiutare a non essere superficiali e frettolosi nel giudicare e nell’affrontare i problemi che vivono le nostre relazioni, ad avere pazienza nel sopportarsi a vicenda, anche quando emergono (inevitabili) i problemi, a non rompere alla prima difficoltà, a non vedere solo il bicchiere mezzo vuoto, ma anche quello mezzo pieno, a non buttare l’acqua sporca con il bambino.

La seconda. La soluzione (per quanto precaria, provvisoria) sta sempre nel “terzo”. Nessuna relazione troverà mai la sua salvezza cercandola semplicemente al suo interno. Le relazioni che lo faranno saranno fatalmente destinate a implodere. A morire tristemente ripiegate su se stesse.

La relazione, una qualsiasi relazione, vive se resta “aperta”, se è capace di restare aperta, se è in grado di vivere la dialettica “dentro/fuori”, “interno/esterno” in maniera efficace.

La relazione tra Arturo e Alessandro sceglie questo tipo di soluzione e per questo è in grado, se non proprio di uscire dalle sue difficoltà, quantomeno di sopravvivere, di convivere con esse.

Ha il coraggio di aggiungere “guai” (cioè problemi, difficoltà) ai “guai” che già l’affliggevano. E proprio per questo, paradossalmente, si salva. Proprio quando pareva che stesse definitivamente morendo.

Giovanni Lamagna

In amore è più importante la scelta della persona giusta o la nostra capacità di amare?

10 giugno 2015

In amore è più importante la scelta della persona giusta o la nostra capacità di amare?

I problemi dell’amore sono legati più alla scelta dell’oggetto d’amore o all’ esercizio della facoltà di amare, cioè della capacità di amare in quanto soggetto dell’amore?

Erich Fromm, nel suo saggio “L’arte di amare”, non ha dubbi in proposito.

Egli dice: i problemi dell’amore sono legati molto di più alla nostra capacità di amare, in quanto soggetti di amore, che alla scelta dell’oggetto giusto, su cui riversare il nostro amore e ricevere amore.

Mentre il senso comune oggi, soprattutto nella nostra epoca contemporanea, ritiene esattamente il contrario, pensa cioè che la soluzione principale al problema dell’amore sia quello di trovare la persona giusta, cioè quello dell’oggetto d’amore.

Fromm aggiunge che non è sempre stato così, perché in epoche precedenti alla nostra (anche di poco precedenti, come l’epoca vittoriana, che egli cita ad esempio) l’accento era posto più sulla facoltà di amare che sull’oggetto d’amore: i matrimoni, infatti, venivano combinati dalle famiglie di origine o da intermediari, non dipendevano dunque dall’attrazione verso l’oggetto d’amore, ma da altri fattori, più di carattere economico e sociale che sentimentale.

“… era opinione comune che il sentimento sarebbe venuto dopo”. Che, quindi, la facoltà di amare potesse essere esercitata a prescindere dalle caratteristiche dell’oggetto d’amore.

E’ solo da poche generazioni che in amore si dà grande, anzi prevalente, importanza all’oggetto, cioè alle qualità specifiche della persona verso la quale “sentiamo”, “proviamo” amore. Tanto è vero che oggi ci sembra inconcepibile che i matrimoni possano essere combinati dalle famiglie o da intermediari.

Per Fromm questa caratteristica è da collegare al carattere consumistico che ha assunto l’epoca contemporanea, in cui prevale la dimensione del “comperare”, dell’acquisto, dello scambio di merci.

Per cui anche nel rapporto tra le persone ciò che domina è l’idea di trovare e, in un certo senso, “acquistare” persone interessanti, “utili”, attraenti.

Anche (se non specie) nel rapporto di coppia o, meglio, nel rapporto erotico, tra due persone che si innamorano.

Cosa penso di tali considerazioni?

Penso che Fromm abbia in buona parte ragione, che la capacità di amare venga prima, in ordine di importanza, rispetto alla ricerca della persona giusta da amare.

Infatti, io potrei trovare la persona più amabile del mondo e non essere capace di amare. E, in questo caso, il mio rapporto sarebbe destinato ad un sicuro fallimento. Non certo per i difetti del mio “oggetto” d’amore, ma per i miei limiti di “soggetto” in amore.

E però le affermazioni di Fromm in proposito mi sembrano eccessivamente drastiche e, forse, troppo, unilaterali.

Infatti, si potrebbe far rilevare a Fromm che anche in altre epoche storiche la base economica della società ha condizionato, se non determinato, le caratteristiche che assumevano i rapporti d’amore. Che questo condizionamento, cioè, è sempre avvenuto, non avviene solo nella nostra epoca.

Potremmo poi far rilevare che anche i cosiddetti matrimoni combinati dalle famiglie o da intermediari obbedivano a degli interessi economici, erano, in fondo, dei contratti di tipo commerciale. Quasi come lo scambio delle vacche o degli asini al mercato.

Ritengo, infine, che la regola della priorità assoluta e totale della “capacità di amare” valga per certi tipi di amore, ma non per tutti.

Valga, ad esempio, per l’amore fraterno ed universale, l’amore che io sento di dover dare ad ogni essere umano, in quanto appartenente alla mia stessa specie, a prescindere dalle sue caratteristiche, dalle sue qualità e dai suoi meriti.

Valga per l’amore di una madre e di un padre verso i suoi figli, che prescinde (o, in genere, prescinde o dovrebbe prescindere) dalle caratteristiche dei figli e, a volte, anche dai sentimenti dei figli, che non sempre ricambiano quelli dei genitori.

Non valga, invece, per altre due forme di amore: quello di amicizia e quello erotico.

Qui la nostra capacità di amare (che, ripeto, in ogni caso è condizione essenziale per la riuscita del rapporto d’amore) si deve coniugare (è giusto e naturale che si coniughi) anche con la scelta dell’oggetto “giusto” di amore.

Nel caso dell’amicizia e dell’amore erotico non credo che una persona a cui indirizziamo il nostro amore ne valga un’altra e che a contare nel rapporto sia unicamente la nostra capacità di amare.

Il sentimento di amore amicale e quello di amore erotico sono per loro natura (s)elettivi e non universali o incondizionati.

In questi due casi “capacità di amare” e un certo tipo di “oggetto di amore” credo che vadano perciò messi (quasi) sullo stesso piano.

Possiamo cioè diventare amici o innamorarci eroticamente solo di un certo tipo di persona e non di una qualsiasi persona.

In questo senso la scelta della “persona giusta” (in questi due tipi di amore) è altrettanto importante della nostra “capacità di amare”.

Anche se poi qualcuno potrebbe farmi notare (ed io concordo) che la scelta della “persona giusta”, anche questa, in fondo dipende dalla nostra “capacità di amare”.

Se incontriamo la “persona sbagliata” non è mai un caso, ma dipende sempre dalla posizione e dall’atteggiamento sbagliati in cui ci siamo messi quando siamo andati alla ricerca dell’amore (erotico o amicale che sia) e ci siamo illusi di averlo incontrato.

Un amore felice o riuscito dipende quindi sempre in massima parte dalla nostra buona disponibilità ad amare, cioè dalla nostra capacità di amare.

Giovanni Lamagna