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L’aggressività nel rapporto di coppia.

Perché – in molti casi – si diventa estremamente aggressivi nel rapporto di coppia?

Per la ragione molto semplice, persino banale, che il rapporto di coppia è quello nel quale la maggior parte delle persone investe di più.

Come in nessun altro rapporto.

In altre parole noi nel rapporto di coppia – specie all’inizio – tendiamo a ricercare le stesse gratificazioni che abbiamo sperimentato nel rapporto coi nostri genitori, specie nel rapporto con nostra madre.

Anzi tendiamo a cercare perfino le gratificazioni che non siamo riusciti a sperimentare allora, le gratificazioni che ci sono mancate, che non abbiamo ricevuto in quella fase decisiva della nostra vita affettiva.

Vorremmo così riempire – attraverso il rapporto di coppia –  dei vuoti – qualcuno parla addirittura di ferite – che ci portiamo appresso da quando eravamo bambini.

Sta tutta qui la estrema complessità e difficolta dei rapporti di coppia.

E la ragione dei loro numerosi e frequenti fallimenti.

© Giovanni Lamagna

Fisiologia del desiderio.

Ogni desiderio nasce da una mancanza, da un vuoto che vuole essere riempito.

Questo vale anche (anzi vale ancora di più) nelle relazioni.

Il desiderio per l’altro, quindi, permane in noi fin quando l’altro conserva ancora qualcosa in sé di ciò che può/potrebbe/poteva darci e che ancora non ci ha dato.

Fin quando cioè l’altro non è diventato del tutto scontato, ma conserva ancora qualcosa di misterioso per noi.

Quando, invece, l’altro diventa per noi una carta già del tutto conosciuta, una realtà senza più veli e misteri, una terra nella quale non c’è più nulla da esplorare, il nostro desiderio fatalmente scema.

E – prima o poi, quasi sempre – si estingue del tutto.

E’ questa la dinamica – a mio avviso ineluttabile, direi fisiologica – del desiderio!

Che molti preferiscono ignorare, coltivando o una pia e ferale illusione o abbandonandosi ad una mesta e grigia rassegnazione.

L’illusione che il desiderio possa rimanere eterno, sempre uguale a sé stesso, a com’era quando un giorno sgorgò, fresco e zampillante, in noi.

Senza, cioè, che noi dobbiamo fare alcunché di particolare per mantenerlo vivo, acceso, rinnovando sé stessi giorno per giorno, diventando ogni giorno persone in qualche modo nuove.

Rassegnazione a che il desiderio segua fatalmente la sua parabola discendente, come se questa non avesse alternative praticabili.

Come se il suo appassimento e la sua definitiva estinzione oppure il suo mantenersi in vita e persino il suo rafforzarsi non dipendessero anche dalle nostre scelte e dai nostri comportamenti, dal nostro complessivo stile di vita.

Tendenzialmente necrofilo e para-depressivo quando sfocia nel primo degli esiti possibili, prevalentemente biofilo e vitalistico quando origina il secondo degli esiti possibili nel percorso del desiderio.

© Giovanni Lamagna

La fine di un amore.

Nel libro “La luce delle stelle morte” (2022 Feltrinelli) a pag. 34 Massimo Recalcati così scrive: “Mentre nell’amore l’amante scava una mancanza nell’Altro, la fine di un amore coincide con la fine di questa mancanza: Non gli manco più, Non le manco più.

La mia esperienza è un po’ diversa.

Per me l’amante non scava nessuna mancanza nell’Altro; la mancanza preesiste, già c’è, quando arriva l’amante.

La mancanza è strutturale nel soggetto che si innamora, che incontra un amante: nessuno si innamorerebbe mai, se non ci fosse in lui/lei un vuoto da riempire.

Semmai l’amante promette (non tanto – o non solo – con le parole, ma già con la sua sola presenza/esistenza) di riempire, colmare questo vuoto, questa mancanza.

Ed è tale promessa che fa germogliare prima l’innamoramento e poi maturare l’amore.

Succede, infine, molto spesso (non sempre, ma spesso), che questa promessa venga in parte (o addirittura in toto) tradita.

Allora chi è “caduto in amore” (“falled in love”), chi si è innamorato, chi si è illuso che la sua mancanza fosse stata in parte o in toto colmata dall’arrivo/presenza dell’amante, avverte di nuovo questa mancanza.

E si predispone così (fatalmente) ad un nuovo amore, nel senso che desidera nuovamente che la mancanza che lo abita venga ancora una volta riempita.

L’amore finisce quando e perché la promessa implicita in ogni amore viene in qualche misura, più o meno grande, tradita.

Non perché io non manco più al mio amante o lui/lei non manca più a me.

Semmai è lui/lei o, meglio, la promessa implicita, che era contenuta nel suo amore, che non mi mancano più, quando prendo consapevolezza che essi non potranno più riempire la mia mancanza.

Quando mi libero dell’illusione che spesso (per non dire sempre) è contenuta nell’innamoramento.

Quando cioè cade (definitivamente) la maschera che nascondeva la falsa immagine della persona di cui mi sono innamorato.

Quando comprendo definitivamente che egli/ella non potrà riempire il vuoto che mi aveva portato a desiderarlo e a innamorarmi di lui/lei.

In altre parole, quando finisce un amore, non è la mancanza che viene meno, come dice Recalcati.

Ma è, semmai, il pieno che quella mancanza aveva colmato.

Per un periodo più o meno breve o più o meno lungo; illusoriamente o realmente: questo è del tutto secondario rispetto alla dinamica fondamentale, che mi pare caratterizzi indistintamente tutti gli innamoramenti e tutti gli amori.

© Giovanni Lamagna