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La sessualità degli animali e quella degli umani.

Gli animali mangiano e bevono esclusivamente per soddisfare un bisogno fisiologico: quello di placare la loro fame o sete.

Gli uomini mangiano e bevono anche per appagare un desiderio: quello di gustare ciò che mangiano e bevono, di godere del piacere che danno una buona bevanda o un buon piatto; e non solo per placare la loro fame o la loro sete.

Allo stesso modo gli animali si accoppiano semplicemente per soddisfare il loro istinto sessuale, che è stato dalla natura programmato in funzione della riproduzione della specie.

Gli uomini, invece, si accoppiano non solo per sfogare un istinto biologico, ma anche per godere il più possibile dell’atto sessuale che li accoppia.

Tanto è vero che ricorrono alle forme più variegate e, in certi casi, perfino sofisticate e stravaganti di fare sesso.

Per gli uomini, inoltre, l’accoppiamento sessuale è (o, meglio, può essere) una delle forme più raffinate e profonde della comunicazione tra due persone.

Tanto è vero che fanno sesso a prescindere dalla volontà e dalla decisione di riprodursi; hanno imparato a separare il sesso dalla sua finalità procreativa.

La sessualità umana è finalizzata non solo alla riproduzione, ma anche ad uno dei massimi piaceri possibili e ad una delle forme più intime di comunicazione interpersonale.

© Giovanni Lamagna

Gioco

Il gioco non è affatto un’attività inutile o, addirittura, effimera.

Come i più sono portati a pensare.

Il gioco corrisponde ad uno dei bisogni fondamentali dell’uomo, che, a detta di Umberto Eco, sono cinque: fame, sete, sonno, sesso e (appunto!) gioco.

© Giovanni Lamagna

La sapienza.

La sapienza.

 

Un giorno ho incontrato una fonte

ed ho incominciato a bere.

 

E più bevevo

e più avevo sete.

 

Più bevevo

e più la fonte diventava abbondante.

 

Da quel giorno

la mia vita è cambiata.

 

Giovanni Lamagna

L’uomo, la donna, il rapporto con la nudità e con la sessualità. (Genesi 3, 7)

3 ottobre 2015

L’uomo, la donna, il rapporto con la nudità e con la sessualità. (Genesi 3, 7)

3,7 Allora si aprirono gli occhi ad entrambi e s’accorsero che erano nudi; unirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture.

Adamo ed Eva, dopo aver disubbidito a Dio per ubbidire al serpente, cioè alla loro natura di esseri fatti non solo di “spirito” ma anche di “terra”, “aprirono gli occhi”.

Cosa vuol dire questa espressione? Non certo che non avessero gli occhi aperti anche prima e che prima non vedessero. Dunque, con tutta evidenza, li aprirono ad una nuova vista, videro le cose con occhi nuovi, in una nuova ottica “… e si accorsero che erano nudi…”.

La nudità che prima, fino ad allora, non era stata per loro un problema (come continuava a non esserlo per gli altri animali del creato) fu da questo momento in poi un problema: l’uomo e la donna diventarono animali pudichi, come nessun altro animale lo è.

Allora “… unirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture”; in altre parole coprirono i loro organi sessuali.

Perché (viene naturale chiedersi) non coprirono (anche) le altre parti del corpo, perché coprirono solo gli organi sessuali.?

Perché evidentemente sono solo queste le zone del corpo che generano vergogna. Non a caso in un certo linguaggio sono passate alla storia con il termine di “pudenda”, cioè “le parti del corpo di cui si ha vergogna”.

E perché gli organi sessuali generano vergogna? Perché nessun altro organo del corpo umano genera vergogna, mentre quelli sessuali la generano?

Non è facile dare una risposta a questa domanda. Ci provo.

Perché (io penso) agli organi sessuali è legato, dagli organi sessuali si genera il bisogno/desiderio più potente presente in natura, dopo quelli legati alla fame, alla sete e al sonno.

Non solo. Ma dagli organi sessuali si genera un bisogno/desiderio, che per sua natura è “perverso e polimorfo”, come ha detto Freud.

E’ perverso perché può essere destinato a fini altri rispetto a quello canonico, per il quale sembra essere stato pensato: la procreazione. Un fine perverso della sessualità è, infatti, il piacere, il godimento fine a se stesso.

E’ polimorfo perché questo piacere/godimento può assumere le forme di soddisfazione le più diverse, non obbedisce a canoni rigidi e precostituiti, come, invece, la fame, la sete e il sonno.

Letto, visto in questo modo, è un bisogno/desiderio, se non proprio ingovernabile, certo difficile da governare da parte dell’individuo, che rischia quindi la perdita di controllo, la dispersione, la dissipazione e, in certi casi limite, addirittura la disintegrazione della propria unità psichica.

Inoltre è un bisogno/desiderio difficilmente governabile dal sociale, le cui forme di espressione difficilmente possono essere tenute sotto controllo dalle Istituzioni, che devono assicurare la “pace” (nel senso di minima competizione) tra gli individui e la “coesione sociale”.

Di qui il bisogno di sottoporre tale bisogno/desiderio (sin dal suo primo apparire) ad un rigido, severo, sistema di controlli, di freni, di minacce di sanzioni. E il sentimento della vergogna è il primo freno che agisce in questo senso.

Il racconto biblico, di questo sistema di norme imposte dall’esterno e di inibizioni imposte dall’interno, è una perfetta metafora.

(7, continua)

Giovanni Lamagna

Sesso ed eros

2 agosto 2015

Sesso ed eros.

Non sono la stessa cosa, come i più propendono a credere.

Il sesso è un’esperienza prevalentemente fisica, corporea, con (ma non necessariamente) una componente emotivo/affettiva.

L’eros, invece, è un’esperienza prevalentemente, fondamentalmente mentale, perché vi sono coinvolte in primo luogo la fantasia e l’immaginazione, con (ma non necessariamente) una componente emotivo/affettiva.

L’atto sessuale corrisponde ad uno schema ben definito, anzi predefinito, caratterizzato da fasi rigidamente poste in sequenza: desiderio – eccitazione – congiunzione dei corpi – ascesa dell’eccitazione – acme dell’eccitazione – orgasmo – calo dell’eccitazione – risoluzione del desiderio.

L’atto erotico manco andrebbe definito come atto, perché ogni atto allude a uno schema di comportamenti abbastanza ben definiti, anzi predefiniti, mentre l’erotismo, per sua natura, sfugge sia al concetto di schema che a quello di prevedibilità.

L’erotismo più che un atto è, dunque, un’esperienza, che non ha un copione rigido predefinito e non ha neanche bisogno necessariamente della congiunzione dei corpi, come l’atto sessuale.

Anzi si fonda in qualche modo sulla “sovversione” o, quantomeno, sullo scompaginamento delle sequenze che troviamo nell’atto sessuale.

Certo, anche l’erotismo (come l’atto sessuale) implica il desiderio e l’eccitazione dei sensi. Ma questi sono legati molto di più alla strategia, alla messa in opera dei meccanismi della seduzione, che all’accostamento e alla congiunzione dei corpi.

Ci può essere erotismo anche senza che i corpi si congiungano e, perfino, senza che si tocchino. Anzi, c’è forse più erotismo nella distanza dei corpi che nella loro vicinanza.

Nell’erotismo c’entra, invece, molto la vista. Quindi sono essenziali i gesti, l’abbigliamento, il trucco, il mostrare allo stesso tempo che il nascondere.

C’entra poi molto la parola: il linguaggio a volte esplicito, perfino sboccato, altre volte (il più delle volte) solamente allusivo.

C’entra molto la capacità di dare all’eccitazione un ritmo del tutto diverso da quello che di solito ha durante l’accoppiamento fisico. Perciò l’esperienza dell’erotismo è tutt’altra cosa dal semplice atto sessuale.

Nell’atto sessuale tipico, tradizionale, la parabola dell’eccitazione ha una forma a cupola. Ascende piuttosto rapidamente, raggiunge un picco massimo, discende molto rapidamente. In un tempo sufficientemente prevedibile e alquanto standardizzato.

L’eccitazione erotica ha piuttosto l’andamento delle onde, che salgono e poi discendono, accelerano e poi rallentano, in un continuum che può durare a lungo, anche molto a lungo, senza nessun prevedibilità: né di minima né di massima.

L’atto sessuale è inscritto nella natura e obbedisce a un bisogno biologico/fisiologico, più o meno come la fame, la sete, il sonno.

L’erotismo in qualche modo trascende la natura. Ha a che fare col desiderio più che col bisogno. Con la dimensione del gioco più che con quella della necessità.

Perciò l’erotismo è una dimensione tipicamente umana. Tutti gli animali fanno sesso. Solo l’uomo è capace di erotismo.

L’atto sessuale, infine, è compatibile col senso di colpa. Nel senso che se lo può permettere anche chi ha una concezione non pienamente liberata della sessualità. La sessualità può convivere, insomma, coi sensi di colpa collegati al sesso.

L’atto sessuale in questi casi è vissuto come una forma di cedimento momentaneo e occasionale, rispetto ad una visione della vita che considera comunque la castità “il” valore.

L’erotismo, invece, per sua natura è incompatibile coi sensi di colpa. Non si dà erotismo quando ci sono sensi di colpa (anche minimi) legati alla sessualità. L’erotismo presuppone una piena accettazione della sessualità, una concezione liberatoria e liberata del sesso e della corporeità in generale.

Implica una visione della vita in cui la sessualità è pienamente integrata con gli altri valori complessivi della vita.

Per il comportamento erotico la sessualità, nelle sue varie forme, anche in quelle che non hanno nessun scopo procreativo, è in se stessa un valore e non un mezzo rispetto ad altri fini, in qualche modo quindi solo tollerata, perché “funzionale a”.

Per questo la maggior parte degli esseri umani vive bene o male una sua vita sessuale. Ben pochi sono invece in grado di sperimentare l’erotismo, ben poche persone sono erotiche.

Le stesse persone belle, dal punto di vista dei canoni estetici classici, non è detto che siano anche erotiche. Un cosa, infatti, è la bellezza, altra cosa è il sexy – appeal, cioè l’erotismo.

Ci sono persone oggettivamente belle che non sono per nulla erotiche e persone oggettivamente (persino) brutte che, invece, sono molto erotiche.

L’erotismo non è necessariamente connesso alla bellezza fisica di una persona, ma ad un quid che non è detto che le persone fisicamente belle ipso facto posseggano.

L’erotismo è connesso molto di più alla capacità della persona di saper giocare col suo corpo e con la sua sessualità che alla bellezza fisica.

Più una persona è libera sessualmente, è cioè priva di sensi di colpa collegati alla sessualità, più essa è capace di giocare col suo corpo e con la sua sessualità e perciò di sedurre, di essere ed apparire erotica.

Ecco forse una definizione che si adatta bene all’erotismo. L’erotismo è la capacità di sedurre (cioè di condurre a sé) l’altro/a, di attirarlo/a nella propria orbita, di coinvolgerlo in un gioco.

Un gioco non necessariamente sessuale.

Anche se è pur vero che l’erotismo si realizza al massimo nella sfera della sessualità. E’ pur sempre in qualche modo legato alla sessualità. Anche quando si realizza in forme sublimate della sessualità.

Giovanni Lamagna

Brama, desiderio, Nirvana

8 marzo 2015
Brama, desiderio, Nirvana.
Mi si potrebbe obiettare: ma quello di cui predica Buddha non è l’eliminazione del desiderio in sé, ma la liberazione dal dominio (potremmo anche dire dalla schiavitù) del desiderio.
Oppure, che la brama non è la stessa cosa del desiderio; non è un suo sinonimo; che la brama è un desiderio smodato, spasmodico, che implica schiavitù, attaccamento all’oggetto di cui si ha brama; mentre il desiderio è un sentimento in qualche modo guidato dalla ragione e dalla volontà del soggetto, che non implica attaccamento e quindi dipendenza dall’oggetto; e che il buddismo condanna la brama non il desiderio.
Della qual cosa prendo atto. E allora si può anche comprendere e condividere il pensiero di Buddha, che da questo punto di vista coinciderebbe in fondo, nella sostanza, con gran parte delle principali correnti di pensiero (filosofiche, etiche e spirituali) dell’Occidente. Compresa la psicoanalisi.
Ma una cosa, però, a questo punto mi viene di sottolineare: Buddha, quando ha parlato di desiderio o di brama, non è andato tanto per il sottile, non ha fatto tante distinzioni; si è espresso, dunque, quanto meno in una forma non del tutto chiara, per non dire del tutto infelice.
Egli, infatti, afferma testualmente: “Questa, o monaci, è la santa verità circa l’origine del dolore: essa è quella sete che è causa di rinascita, che è congiunta con la gioia e col desiderio, che trova godimento ora qui ora là; sete di piacere, sete di esistenza, sete di estinzione”.
E ancora: “Questa, o monaci, è la santa verità circa la soppressione del dolore: è la soppressione di questa sete, annientando completamente il desiderio, è il bandirla, il reprimerla, il liberarsi da essa, il distaccarsi”.
La soppressione completa della sofferenza, tramite la rinuncia al desiderio, consentirebbe – secondo l’insegnamento di Buddha – il raggiungimento di uno stato di pace assoluta: il Nirvana (o Nibbana).
Ma la parola nirvana, che deriva dal sanscrito, ha il significato sia di “estinzione” (da nir + √va: cessazione del soffio, estinzione, quindi venir meno della vita) che, secondo una diversa etimologia (nir + vana) proposta da un commentario buddhista di scuola Theravada, di “libertà dal desiderio”.
In entrambi i casi, non mi pare che il nirvana esprima una condizione umana molto auspicabile, né tanto meno felice; comunica, infatti, (almeno nel suo senso letterale) più l’idea (negativa) della morte che quella (positiva) della vita.
Giovanni Lamagna