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L’uomo, la donna, il rapporto con la nudità e con la sessualità. (Genesi 3, 7)

3 ottobre 2015

L’uomo, la donna, il rapporto con la nudità e con la sessualità. (Genesi 3, 7)

3,7 Allora si aprirono gli occhi ad entrambi e s’accorsero che erano nudi; unirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture.

Adamo ed Eva, dopo aver disubbidito a Dio per ubbidire al serpente, cioè alla loro natura di esseri fatti non solo di “spirito” ma anche di “terra”, “aprirono gli occhi”.

Cosa vuol dire questa espressione? Non certo che non avessero gli occhi aperti anche prima e che prima non vedessero. Dunque, con tutta evidenza, li aprirono ad una nuova vista, videro le cose con occhi nuovi, in una nuova ottica “… e si accorsero che erano nudi…”.

La nudità che prima, fino ad allora, non era stata per loro un problema (come continuava a non esserlo per gli altri animali del creato) fu da questo momento in poi un problema: l’uomo e la donna diventarono animali pudichi, come nessun altro animale lo è.

Allora “… unirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture”; in altre parole coprirono i loro organi sessuali.

Perché (viene naturale chiedersi) non coprirono (anche) le altre parti del corpo, perché coprirono solo gli organi sessuali.?

Perché evidentemente sono solo queste le zone del corpo che generano vergogna. Non a caso in un certo linguaggio sono passate alla storia con il termine di “pudenda”, cioè “le parti del corpo di cui si ha vergogna”.

E perché gli organi sessuali generano vergogna? Perché nessun altro organo del corpo umano genera vergogna, mentre quelli sessuali la generano?

Non è facile dare una risposta a questa domanda. Ci provo.

Perché (io penso) agli organi sessuali è legato, dagli organi sessuali si genera il bisogno/desiderio più potente presente in natura, dopo quelli legati alla fame, alla sete e al sonno.

Non solo. Ma dagli organi sessuali si genera un bisogno/desiderio, che per sua natura è “perverso e polimorfo”, come ha detto Freud.

E’ perverso perché può essere destinato a fini altri rispetto a quello canonico, per il quale sembra essere stato pensato: la procreazione. Un fine perverso della sessualità è, infatti, il piacere, il godimento fine a se stesso.

E’ polimorfo perché questo piacere/godimento può assumere le forme di soddisfazione le più diverse, non obbedisce a canoni rigidi e precostituiti, come, invece, la fame, la sete e il sonno.

Letto, visto in questo modo, è un bisogno/desiderio, se non proprio ingovernabile, certo difficile da governare da parte dell’individuo, che rischia quindi la perdita di controllo, la dispersione, la dissipazione e, in certi casi limite, addirittura la disintegrazione della propria unità psichica.

Inoltre è un bisogno/desiderio difficilmente governabile dal sociale, le cui forme di espressione difficilmente possono essere tenute sotto controllo dalle Istituzioni, che devono assicurare la “pace” (nel senso di minima competizione) tra gli individui e la “coesione sociale”.

Di qui il bisogno di sottoporre tale bisogno/desiderio (sin dal suo primo apparire) ad un rigido, severo, sistema di controlli, di freni, di minacce di sanzioni. E il sentimento della vergogna è il primo freno che agisce in questo senso.

Il racconto biblico, di questo sistema di norme imposte dall’esterno e di inibizioni imposte dall’interno, è una perfetta metafora.

(7, continua)

Giovanni Lamagna