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L’artista e le sue opere.
Fabrizio Coscia – bravo critico letterario de “Il Mattino” di Napoli – sostiene con molta convinzione che i personaggi di un romanzo (ma credo che la stessa cosa intenda dire pure di un’opera teatrale o di un film) non hanno niente a che fare con il loro autore.
In altre parole, secondo Fabrizio Coscia, – al contrario di quello che sostiene una tesi molto diffusa – “Madame Bovary” non ha niente a che fare col suo autore, Gustave Flaubert.
Io, invece, penso il contrario: penso che le opere d’arte- e, quindi, nel caso delle opere letterarie, i loro personaggi – abbiano sempre in qualche modo e misura a che fare con i loro autori.
Non certo nel senso (del tutto banale) che esse ne sarebbero (quasi) l’autobiografia, ma nel senso (invece ipotizzabile e molto credibile) che ne sono – in qualche modo e misura – la proiezione e l’espressione spirituale, psicologica, fosse anche quella più in ombra o del tutto nascosta.
Nascosta, magari, allo stesso autore; e che, però, viene fuori, si manifesta, attraverso il lavoro dell’inconscio, nelle sue opere e (nel caso delle opere letterarie) nei personaggi da lui creati.
© Giovanni Lamagna
L’importanza e la verità dei miti.
Un mito è il racconto di personaggi, storie, fatti, vicende, frutto di fantasia, immaginazione, che superano i confini della realtà, sono potremmo dire sur-reali.
Il che non vuol dire che siano del tutto ir-reali e, quindi, falsi, semplicemente non-veri e, quindi, del tutto in-significanti.
Se fosse così, se cioè il mito non corrispondesse a nulla di reale, se non avesse un nucleo, un nocciolo di verità (quantomeno psicologica) profondo, non si capirebbe perché gli uomini gli abbiano dato in epoche antiche così tanta importanza e, in alcuni casi, gliene diano ancora oggi, in piena età moderna e contemporanea.
Per l’uomo moderno, pertanto, come ci hanno insegnato pensatori del calibro di Jung e di Hillman (per citarne solo due), non si tratta di negare il valore e il significato dei miti, considerandoli banali fantasie, invenzioni puramente fantastiche, che ci allontanano dal vero e dalla realtà, facendoci prigionieri di un mondo di sogni.
Ma di decodificare i miti, estraendone il significato, il messaggio profondo che essi sono in grado ancora oggi di trasmetterci, traducendolo semmai – quando lo si ritiene utile e, in certi casi necessario – in un altro linguaggio, il linguaggio del realismo e della razionalità.
Che, senza pretendere di negare la lingua della fantasia, del sogno, delle emozioni e dei sentimenti, sia capace di farsene interprete e di parlare anche alla nostra parte più razionale e disincantata, che in epoca moderna è diventata (mi verrebbe di dire: purtroppo!) di gran lunga quella prevalente, anzi dominante.
© Giovanni Lamagna
Lo scrittore e i suoi personaggi.
Per un grande scrittore (come Tolstoj, ad esempio) non ci sono personaggi banali.
Ci sono solo personaggi veri, anche quando sono squallidi.
Che il grande scrittore saprà rendere straordinariamente credibili e vivi.
Anche quando saranno spiritualmente morti.
© Giovanni Lamagna
Due modi di guardare alla Storia
Ci sono due modi di guardare alla storia.
Il primo è quello di guardare agli avvenimenti storici con l’occhio dell’osservatore neutrale, che cerca di fotografarli o di descriverli il più fedelmente possibile, astenendosi da ogni giudizio di valore, meno che mai di natura etico/morale.
E’ questo l’atteggiamento di chi guarda ai fatti storici come ciò che, se è accaduto, non poteva che accadere e non poteva che accadere così; come se il prima e il dopo dei fatti storici fossero legati tra di loro anche da un rapporto di causa ed effetto.
E la storia lasciasse ben poco spazio, anzi nessuno spazio, al caso, all’imponderabile, a ciò che, almeno in teoria, poteva essere, ma non è stato poi nella realtà.
Da questo punto di vista acquista un senso particolare ai miei occhi la famosa affermazione hegeliana “Ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale”.
Laddove qui la categoria del “razionale” non ha evidentemente niente a che fare con il “buono” e con il “giusto” e, meno che mai, con ciò che per noi sarebbe stato “auspicabile”.
Cioè con categorie etiche che potremmo definire universali e atemporali, che dovrebbero valere sempre e ovunque, non solo post, ma anche ante quam, a prescindere dunque dal contesto di tempo e di luogo, nel quale si svolgono gli avvenimenti storici.
Ma è una categoria logica, gnoseologica, interpretativa, da utilizzare solo post quam, come pura presa d’atto della realtà storica, che, se si è realizzata in un modo, non poteva realizzarsi altrimenti; e, quindi, ha per forza di cose una sua logica, anzi la sua razionalità.
Chi fa lo storico per mestiere, a mio avviso, non può che guardare alla storia con questo occhio.
Lo studioso della Storia non deve (o non dovrebbe) dunque emettere giudizi sui fatti storici, ma deve (dovrebbe) limitarsi a ricostruirli il più possibile in maniera fedele e integrale, senza ometterne e senza falsarne alcuno; il suo deve (dovrebbe) essere quindi quasi l’occhio di un fotografo.
C’è, però, anche un secondo modo di guardare alla Storia.
Che non è quello dello storico professionista, ma è lo sguardo di chi utilizza in qualche modo la Storia per fare altre professioni o attività: quelle del filosofo, del sociologo, del politico, perfino dello psicologo.
Anche questo sguardo sulla Storia legge i fatti accaduti nel passato non certo e neanche tanto per emettere giudizi su quanto accaduto.
A cosa servirebbe? Il passato è oramai passato!
Quanto per trarne delle lezioni, degli insegnamenti rispetto alla propria azione nel presente, tesa a costruire il futuro.
Il futuro proprio, innanzitutto: di singolo individuo, di singola persona.
Ma anche quello delle collettività in cui il filosofo, il sociologo, il politico, lo psicologo si trovano a svolgere la loro professione o attività.
Valutare gli insuccessi, i fallimenti di molte imprese e personaggi storici può aiutare ciascuno di noi, ma in modo particolare coloro che svolgono le professioni che ho nominato sopra, a fare scelte, ad adottare comportamenti diversi, a trovare soluzioni alternative a quelle, che, in situazioni storiche simili o affini a quelle in cui ci troviamo ad operare nel presente, furono adottati nel passato.
Nella speranza (ahimè, quante volte, però, disattesa!) che la Storia si dimostri (non dico sempre, ma almeno qualche volta) “magistra vitae”.
© Giovanni Lamagna