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Ciò che resta del messaggio di Gesù.
Certamente Gesù, quando ha prefigurato la fine imminente di questo mondo e l’avvento di un altro mondo, quello che lui chiamava “Regno di Dio”, si è sbagliato.
Ed anche di grosso.
Il Regno di Dio che lui aveva immaginato stesse per giungere – come del resto lo avevano immaginato altri profeti prima di lui; ultimo il suo quasi coetaneo e cugino Giovanni il Battista – non solo non giunse prima che passasse la sua generazione, come egli aveva preannunciato, ma non è ancora giunto a distanza di venti secoli dalla sua morte.
La sua visione apocalittica ed escatologica era figlia molto probabilmente di una personalità disturbata, se non proprio folle, vittima di qualche paranoia o di qualche allucinazione.
E, tuttavia, non sempre i “pazzi” – come ci ha spiegato la recente e più avanzata psichiatria – dicono (solo) cose infondate, senza senso, perciò folli; spesso i pazzi, nella loro follia, vedono cose che i cosiddetti sani non riescono a vedere.
Allora cosa resta (se resta) della “follia” di Gesù? C’è qualcosa di essa che possiamo salvare, perché è sana, anzi più sana della cosiddetta “sanità”, che spesso altro non è che conformismo benpensante, “normalità” intesa come banale mediocrità?
Sì, a mio avviso sì!
La possiamo ritrovare nella frase “il regno di Dio è dentro di voi”.
Qui Gesù non parla di un Regno di Dio di là da questo mondo, la cui venuta avrebbe comportato la fine (tra “pianto e stridore di denti”) di questo mondo.
No, qui Gesù parla di un “regno” che ciascuno di noi può costruire già dentro di sé, qui e ora, convertendosi ad un altro modo di pensare e di agire, ad un altro modo di vivere, diverso da quello comune, prevalente in questo mondo.
Portando quindi, su questa terra, un altro mondo: un mondo di attenzione, ascolto, compassione, solidarietà, pace, giustizia, amore verso l’altro (gli altri).
Al posto del mondo attuale, nel quale prevalgono, invece, indifferenza, insofferenza, divisione, isolamento, guerra, ingiustizia, odio.
Ciò che rimane del messaggio di Gesù, della sua “buona novella”, è l’annuncio che “un altro mondo è possibile”, a cominciare dal cuore di ognuno di noi.
E già su questa terra, in questo tempo mortale.
Senza bisogno di attendere “un altro Regno”, un tempo futuro ed eterno; senza bisogno di passare prima per la morte ed una (improbabile) resurrezione.
No, ci dice Gesù (ed è questo il senso più profondo e vero del suo messaggio, quello che è rimasto nel corso dei secoli e che a mio avviso rimarrà anche per i secoli futuri) “il regno di Dio è dentro di voi”, è “già” dentro di voi.
A condizione, però, che vi convertiate alla legge dell’amore universale: “Ama il prossimo tuo come te stesso”; anzi (e persino) “Amate i vostri nemici”.
Un vero discorso… dell’altro mondo!
Da applicare, realizzare, però, già in questo mondo.
© Giovanni Lamagna
Alcune riflessioni sul “lutto”, sull’elaborazione del “lutto”, sulla paranoia e sulla melanconia.
Per Freud il lavoro dell’analisi è essenzialmente un lavoro sul lutto o (come dice Recalcati ne “Le nuove melanconie”; pag. 180) “un lavoro di elaborazione simbolica su tutti i tagli che hanno contrassegnato il processo singolare di soggettivazione”.
In primo luogo – a mio avviso – quello più traumatico di tutti, legato alla nascita, col taglio del cordone ombelicale, che teneva legato, anche simbolicamente oltre che fisicamente, il neonato al corpo della madre.
Ma, per elaborare un lutto (anzi i lutti) a me sembra che condizione indispensabile sia quella di essere consapevoli (o, meglio, diventare consapevoli) che un lutto c’è stato nella propria vita.
Alcuni soggetti, invece, questa consapevolezza non la vogliono prendere, suppongo perché essa li farebbe soffrire troppo.
In questo caso – a mio avviso – il lavoro dell’analisi è reso (quasi) impossibile, è “forcluso”, impedito.
Il paranoico è, appunto, un soggetto che si rifiuta di riconoscere ed elaborare il lutto.
Perché, invece di introiettare il lutto della separazione dall’Altro, perpetua questa separazione, facendo dell’Altro un oggetto persecutorio; facendo dell’Altro il Male assoluto, l’assoluto soggetto cattivo.
Ma c’è – a mio avviso – un altro modo di rifiutare il lutto; ed è quello di “idealizzare” l’altro, di negare il male, il negativo che c’è nell’altro.
Anche quando questo male è importante, significativo, consistente.
Questo “movimento” di rimozione del male è esattamente opposto a quello che fa il paranoico.
In questo caso il soggetto, invece di vedere l’Altro come il Male assoluto, un (s)oggetto persecutorio, lo vede come il Bene assoluto.
E, quindi un “(s)oggetto” da cui non è mai avvenuta (e mai potrà avvenire) la separazione che provoca il lutto.
In questa dinamica l’aggressività che il paranoico proietta sull’altro, si rivolge verso il soggetto stesso che ha rimosso l’esistenza, la presenza di un lutto (o di lutti) nella sua vita, per un eccesso di idealizzazione dell’Altro.
Credo che qui abbiano origine la melanconia acclarata o una certa propensione verso la melanconia, la cosiddetta tendenza melanconica o depressiva.
© Giovanni Lamagna