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Lettera aperta a Franco Arminio.
Caro Franco, mi piace, sono contento e condivido che nei tuoi discorsi ritorni continuamente questa parola bellissima: “comunità”.
Credo, oramai da parecchio tempo, che essa dovrebbe diventare (o, meglio, tornare ad essere, anche se in forme del tutto nuove) sempre più la parola fondamentale di un nuovo vocabolario politico, di una nuova visione del mondo, azzarderei a dire anche di una nuova “ideologia”, se quest’ultima parola non si fosse oramai usurata nel corso dell’ultimo secolo e non fosse perciò diventata oramai inutilizzabile.
Dovrebbe diventare il perno di una nuova cultura politica assieme alla parola “persona”, che è cosa ben diversa da quella di “individuo”.
L’individuo è, infatti, un atomo sperso nel vuoto dell’universo mondo; anzi è il singolo che combatte, compete con l’altro singolo, è l’homo homini lupus: è la parola chiave dell’ideologia liberista, per la quale non solo non esiste e non si può formare una comunità, ma non esiste manco la società (ricordi la Thatcher?).
La persona è, invece, il singolo che si è fatto e si fa continuamente comunità assieme agli altri, a coloro con i quali condivide un territorio, ma anche – seppure solo virtualmente, ma non meno concretamente – con tutti i suoi fratelli dell’unica e stessa Madre Terra.
Questa nuova visione del mondo – nella quale “locale” e “globale” sarebbero le due facce di un’unica medaglia – dovrebbe chiamarsi perciò “comunitarismo”.
Che è cosa ben diversa dal “comunismo”, nel quale la persona spariva in nome degli interessi “superiori” della massa, della società; e spesso veniva oppressa, a volte annientata, in nome di quegli interessi.
Nel comunitarismo la persona non sparisce per niente, perché gode degli stessi diritti ed è debitore degli stessi doveri della comunità.
Anzi all’interno della comunità la persona è valorizzata al massimo, la persona è il fondamento stesso della comunità.
Non so se queste parole ti esprimono?
Conoscendoti abbastanza, sono propenso a pensare di sì.
Unito in una comune campagna culturale (la parola “battaglia” non mi piace”) ti auguro una felice Pasquetta,
Giovanni Lamagna
Leggi astronomiche e leggi morali.
La famosissima affermazione di Kant – contenuta nella Conclusione di una delle sue opere maggiori “Critica della ragion pratica” – “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me.” ha, a mio avviso, un profondissimo valore spirituale e mi verrebbe di dire addirittura mistico, ancora più che filosofico in senso stretto.
Il grande pensatore di Königsberg è preso non solo da un profondo sentimento estatico (perciò oso definirlo mistico), ma coglie con una sublime intuizione il profondo nesso che intercorre tra l’armonia che regna nel cielo stellato e che obbedisce a misteriose ma ferree leggi astronomiche e l’armonia che regna (o potrebbe regnare) dentro ogni essere umano, quando egli si adegua (o se egli si adeguasse, come fanno appunto gli astri nel cielo, su un piano del tutto meccanico e materiale) alle leggi che regolano (o, meglio, dovrebbero regolare) i suoi comportamenti.
La legge morale – sembra dire Kant – genera (o, meglio, può generare) in noi esseri umani la stessa armonia che le leggi astronomiche generano tra gli astri del cielo.
Con un’unica differenza: che gli astri del cielo non possono sottrarsi alle leggi che ne regolano la vita e i movimenti: queste leggi sono loro imposte; gli uomini, invece, possono farlo, disobbedendo alle leggi morali, perché sono dotati di libertà.
Le conseguenze, però, sono similari: se, per pura ipotesi, gli astri del cielo non obbedissero alle leggi a cui sono sottoposti, si verrebbe a creare nell’Universo il caos più totale.
Gli astri in molti casi si scontrerebbero tra di loro e si distruggerebbero reciprocamente.
La stessa cosa avviene metaforicamente, ma a volte anche materialmente, quando gli uomini non si adeguano alle leggi morali.
In primo luogo si autodistruggono come singoli individui; la loro psiche va a pezzi, ne esce dilaniata, divisa, scissa.
Qui potremmo dire che ogni nevrosi presuppone (in qualche modo) una colpa morale (magari ereditata) e ogni colpa morale genera una nevrosi.
In secondo luogo si scontrano e spesso si distruggono gli uni con gli altri; il mondo diventa una sorta di giungla, nella quale “homo homini lupus”.
Il contrario, insomma, dell’armonia che Kant ammirava e venerava estasiato nel cielo stellato sopra di sé e nel profondo dell’anima dentro di sé.
© Giovanni Lamagna