Archivi Blog

Quando si impedisce alla libido di fluire liberamente.

Ci sono persone che si portano dentro un tappo, che impedisce alla loro libido, cioè alla loro energia vitale (che è, in primis, di natura sessuale) di fluire liberamente, dall’interno verso l’esterno.

In questo modo fanno male non sola a sé stesse, rinunciando alla realizzazione delle loro potenzialità e causandosi frustrazioni e sofferenze inutili, che avrebbero invece potuto evitarsi.

Ma fanno male anche a tutte le persone con le quali entrano in relazione, caricando inevitabilmente anche su di queste le loro personali frustrazioni e sofferenze.

© Giovanni Lamagna

La psicoterapia è solo un lavoro di ricostruzione storica?

Massimo Recalcati ci ricorda che “Lacan parla dell’analisi come di una ricostruzione storica” (da “La luce delle stelle morte; Feltrinelli 2022; pag. 115).

E, indubbiamente, certamente è così: l’analisi è uno sguardo a ritroso sul nostro passato, un ripercorrere la trama della nostra vita.

Non è però – come lo stesso Recalcati ci fa notare – un semplice “ricordare”, un mettere insieme, un ricomporre frammenti del passato.

Che avrebbe poco senso e soprattutto non avrebbe alcun effetto terapeutico.

Bensì è il tentativo di ritrovare in questo lavoro di memoria un filo rosso tra i fatti ricordati e quindi un senso, un significato, una direzione di marcia.

Per verificare dove si sono annidati gli intoppi, gli ostacoli che hanno intralciato e, in qualche caso, bloccato, ostruito del tutto, il fluire sereno, se non proprio felice, della nostra esistenza.

Per provare a sbloccare, a disostruire questi grumi di cupezza e infelicità e dare alla nostra vita una nuova direzione, un nuovo slancio.

Senza questo lavoro di “ricostruzione storica” non sarebbe possibile alcun rilancio, nessuna ripartenza.

Ma senza rilancio e senza ripartenza la ricostruzione storica resterebbe fine a sé stessa, non avrebbe alcuna utilità terapeutica per la nostra vita.

Qui mi sovviene la profonda saggezza di un motto che ha segnato la mia adolescenza, quando frequentavo la Parrocchia e l’Azione cattolica: “Vedere, giudicare e agire”.

E mi vien voglia di applicarlo a quello che considero il percorso tipo, ideale di una psicoterapia.

“Vedere” in psicoterapia significa fare memoria storica della propria vita; andare a recuperare anche i ricordi rimossi, laddove evidentemente si annidavano sofferenze che ancora oggi possono rappresentare ferite non rimarginate.

“Giudicare” equivale a capire, comprendere (io non userei più oggi il termine “giudicare”), le ragioni di quelle sofferenze, i fattori che le hanno determinate e che evidentemente ancora perdurano, se continuano a farci star male.

“Agire” equivale a prendere una decisione, fare una scelta tra due alternative.

Rimanere impantanati nelle sabbie mobili dei ricordi e della sofferenza vissuta un tempo.

Oppure prendere atto del passato, accettarlo con tutte le sue ombre; per poi uscirne prendendo una strada diversa, dando una direzione nuova alla propria vita.

Vedere e capire aiuta, ma da soli non bastano; occorre poi agire, decidere, convertirsi (per dirla in un linguaggio cristiano), riconvertirsi (per dirla con un linguaggio più laico).

Se non si ha la forza, se non si trovano le energie, per compiere questo terzo passo, il lavoro dell’analisi rimane del tutto incompiuto, si riduce a vuota chiacchiera, ad uno sterile, addirittura masochistico, rimuginare fine a sé stesso.

© Giovanni Lamagna

Lutto e nostalgia.

Giustamente Massimo Recalcati, nel suo “La luce delle stelle morte” (Feltrinelli, 2022) distingue il sentimento del lutto da quello della nostalgia; anche se questi due sentimenti hanno molte cose in comune.

Entrambi si riferiscono ad una perdita; il sentimento del lutto, però, ad una perdita recente, quello della nostalgia ad una perdita (più o meno) lontana nel tempo.

Il lutto ad una perdita che non è stata (appunto perché troppo recente) ancora elaborata.

La nostalgia ad una perdita che è stata oramai elaborata, assorbita, accettata, anche se non del tutto superata; come non lo sono mai del tutto le perdite, secondo Recalcati.

Il lutto, infatti, si riferisce ad una ferita ancora aperta, che sanguina ancora.

La nostalgia ad una ferita che oramai si è chiusa, cicatrizzata, ma che comunque ha lasciato un segno indelebile sulla pelle.

Il lutto vive di un dolore atroce, in certi casi disperato; nel lutto ci si sente mancare la terra sotto ai piedi; si può arrivare a provare la sensazione che niente abbia più senso, addirittura che non abbia più senso continuare a vivere.

La nostalgia è anch’essa accompagnata comunque da un dolore, ma un dolore che si è addolcito, che ha trovato consolazione, al termine di un tempo, di un processo, più o meno lungo, mai comunque troppo breve (dice sempre Recalcati), di elaborazione del lutto.

Con la nostalgia la perdita è vissuta ancora indubbiamente come una mancanza, ma una mancanza che il ricordo rende in qualche modo ancora – anzi di nuovo – presenza.

Il dolore della nostalgia non è più, dunque, un dolore disperato, ma è un dolore che ha ritrovato il senso e la voglia, nonostante tutto, di vivere.

Nel momento del lutto la vita di chi ha subito la perdita in qualche modo si blocca, si ripiega su stessa, ha lo sguardo tutto rivolto al passato, un passato estinto, che non tornerà mai più; il lutto è segnato dal pianto, dalle lacrime, spesso disperate.

Il sentimento della nostalgia, invece, è compatibile con la ripresa del fluire della vita, con la capacità di guardare in avanti, di sorridere al futuro, sia pure con lo sguardo velato dalla tristezza di chi – al pensiero della perdita della persona cara – continua (ancora e, forse, per sempre) a sentirne la mancanza.

© Giovanni Lamagna

Accordi e disaccordi

Ogni fase-stagione della vita ha le sue credenze, i suoi miti, i suoi rituali.

Che bisogna essere disposti a modificare, se si vuole stare al passo con la vita che muta, che evolve in continuazione.

Altrimenti le si fa resistenza e la vita allora – puntuale – si rivolterà contro di noi, si opporrà alla nostra inerzia e passività.

E avvertiremo lo stridore, il dolore, di questo contrasto.

Uno di quei tanti dolori che ci procuriamo da soli, che potremmo evitarci, solo se fossimo un po’ più morbidi, più leggeri, più flessibili…

Più in accordo e non in disaccordo con il fluire della vita, che ci chiede di scorrere e non di ristagnare.

© Giovanni Lamagna