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Le tre istanze fondamentali della psiche secondo la mia visione.

Una delle affermazioni più famose (se non la più famosa) di Sigmund Freud è senz’altro questa: “Wo Es war, soll Ich werden”; contenuta nel suo “Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni)”; 1980 Bollati Boringhieri, pag. 190; tradotta da Cesare Musatti con le parole “dov’era l’Es, deve subentrare l’Io”.

Cosa voleva dire il grande viennese con una tale affermazione?

A mio avviso, alcune cose molto semplici.

Innanzitutto questa: all’inizio, quando nasce e nei suoi primi mesi ed anni di vita, l’uomo è essenzialmente un fascio di impulsi o, come le chiama Freud, pulsioni, che in questa fase però assomigliano molto agli istinti animali.

In altre parole nei suoi primi anni di vita l’uomo è poco più di un animale, molto simile agli altri animali: è quindi Es (quasi) allo stato puro.

Poi, un poco alla volta, lentamente, in misura più o meno grande, a seconda delle sue caratteristiche innate (che potremmo anche considerare genetiche) e, soprattutto, delle condizioni ambientali (il contesto nel quale l’individuo nasce e cresce), sopravviene e si afferma in lui una seconda istanza psichica, che Freud definisce l’Io o l’Ego.

Che cos’è l’Io/Ego?

È la dimensione razionale della vita psichica, quella che fa prendere consapevolezza all’individuo, che non tutti i suoi impulsi istintuali, non tutte le sue pulsioni sono realizzabili, praticabili; o perlomeno non lo sono sempre e immediatamente.

Perché esiste una Realtà che spesso o alcune volte si oppone loro, con la quale il soggetto pulsionale deve fare i conti, che ne limita, frena i desideri, rimandando o negando del tutto (alcune volte) la loro realizzazione.

Per usare espressioni freudiane, sopravviene “il principio di realtà”, che si contrappone talvolta (potremmo anche dire: spesso) al puro “principio di piacere”.

In questo modo all’Es (le pulsioni iniziali, la libido allo stato puro, quasi del tutto animalesca) subentra l’Ego (la parte razionale, consapevole quindi dei limiti imposti alle pulsioni dall’impatto con la realtà).

Così il bambino cresce – passando per la fase turbinosa dell’adolescenza – e diventa uomo maturo.

Do per scontato (credo che anche Freud lo desse per scontato) che in alcuni individui questo processo di crescita e maturazione riesca di più, in altri di meno; alcuni individui rimangono sostanzialmente bambini, altri (pochi) diventano addirittura animali selvaggi, preda dei loro istinti più primitivi.

Io condivido sostanzialmente questa lettura che Freud fa della psiche umana, che egli integra poi, come è noto, con una terza dimensione, quella del Super-Ego (o Super-Io).

Che sarebbe – a suo avviso – una variante della coscienza, che impone all’uomo di limitare i suoi desideri, le sue pulsioni istintuali, ma diversa dal “principio di realtà”, che ha una sua consistenza intrinseca, oggettiva.

Il Super-Ego, invece, insorge – come fattore del tutto relativo e contingente – dal contesto ambientale, sociale, culturale, nel quale ciascun individuo nasce, cresce e sviluppa i suoi codici morali.

E’ diverso dall’Ego, perché questo si fonda su una norma intrinseca, il principio di realtà, che ha una sua valenza oggettiva, potremmo dire addirittura universale, uguale per tutti gli esseri umani, a prescindere dal contesto sociale e culturale nel quale nascono, crescono e vengono educati.

Il Super-Ego, invece, pone leggi, norme e regole estrinseche, imposte dal contesto sociale e culturale particolare nel quale l’individuo nasce e cresce, ha quindi una valenza per sua natura variabile e perciò relativa, niente affatto universale.

Ripeto, io in buona sostanza condivido questa topica, fondata sui tre pilastri dell’Es, dell’Io e del Super-Io, con la quale Freud dipinge, direi addirittura fotografa, la psiche umana.

E non ritengo che gli altri studiosi che sono venuti dopo di lui e si sono dedicati a ricerche analoghe siano stati in grado di contestarla sostanzialmente o efficacemente.

Ne hanno magari dato riletture un po’ diverse, modificate in parte, ma nella sostanza quella descritta da Freud è oramai universalmente riconosciuta, anche laddove vengono usati termini diversi o accentuata l’importanza ora dell’una ora dell’altra delle tre dimensioni della psiche umana individuate da Freud.

Per quanto mi riguarda, gli unici appunti che mi sento di muovere (si parva licet) alla teoria freudiana sono che 1) è forse un po’ troppo rigida e schematica, 2) non è del tutto chiara la distinzione tra Ego e Super-Ego; essa forse andrebbe precisata meglio.

1.Per quanto riguarda il primo punto, l’affermazione “dov’era l’Es, deve subentrare l’Io”, almeno per come è stata posta da Freud, lascia supporre una netta preferenza del fondatore della psicoanalisi per il secondo rispetto al primo.

Quasi che il primo (l’Es) fosse per lui solo o tutto negatività e il secondo (l’Io) solo o tutto positività.

In altre parole si coglie in Freud una netta simpatia per il concetto di necessità e quello di realtà rispetto a quelli di piacere e di desiderio.

Laddove io ritengo che tra i primi due concetti e i secondi due debba sussistere non una opposizione netta, come pare intenderla Freud, ma piuttosto una dialettica, una interrelazione feconda, positiva, fruttuosa, che a volte fa prevalere i primi a volte (perché no?) i secondi.

In altre parole, ancora: non ci sono dubbi che in molti casi la realtà oggettiva si opponga ai nostri impulsi istintivi e, quindi, ai nostri desideri; e, in questi casi, maturità vuole che l’Es si pieghi alla realtà diventando Io.

E’ immaturo, infantile, quindi insano, nevrotico, l’uomo che vuole forzare ostinatamente, direi capricciosamente, questa realtà.

Ma ci sono casi in cui può essere l’Es a modificare la (presunta) realtà, laddove questa non si mostri del tutto dura e insuperabile, ma plasmabile e riformabile.

In questo caso Es ed Io possono tranquillamente convivere, anzi coincidono, non sono necessariamente due realtà in antitesi, in conflitto, come a volte infondatamente siamo portati a ritenere.

In altre parole ancora: per me si tratta di essere senz’altro realisti (e in questo sono del tutto d’accordo col maestro viennese), ma non occorre essere più realisti del re (come talvolta a me pare Freud tendeva ad essere).

Sopravvalutando cioè l’ineluttabilità del “principio di realtà” (Ego) e svalutando (a mio avviso in modo esagerato) la forza creativa e generativa (e non sempre e solo dissipativa, dissolutiva e, quindi, distruttiva) delle pulsioni (Es).

In altre parole ancora: l’essere umano per mantenersi vivo deve indubbiamente prendere atto della Realtà, ma senza mai perdere contatto col suo mondo pulsionale, che talvolta lo spinge ad osare, a forzare la presunta realtà.

Laddove un eccesso di “realismo” castrerebbe inutilmente (mi verrebbe di dire sadicamente) i suoi desideri, mortificandone non solo il diritto al piacere, ma anche risorse e potenzialità.

2. Per quanto riguarda il secondo punto occorre a mio avviso fare una netta distinzione tra il “principio di realtà” (che fonda l’Io) e quello che io definirei il “pensiero comune” (oggi potremmo chiamarlo anche “mainstream”), che fonda il Super-Io.

Una corretta coscienza deve a mio avviso tener conto della realtà, non può prescinderne; in alcuni casi quindi deve sacrificare, in tutto o in parte, le proprie spinte e aspettative pulsionali.

L’alternativa è il godimento mortifero, di cui parlava Lacan, mortifero perché ha come esito fatale la dissipazione, se non la vera e propria dissoluzione, della psiche.

Una corretta coscienza individuale altresì non può non confrontarsi con il “pensiero comune”, quello prevalente in un determinato contesto antropologico, sociale, culturale e storico; l’alternativa sarebbe il delirio, la farneticazione e, in ultima istanza, l’ostracismo, se non il totale isolamento sociale.

Ma non ne può neanche essere acriticamente dipendente, con l’esito di diventare inautentica, nel senso heideggeriano del termine (“così si dice! così si pensa!); rinunciando alla propria autonomia e indipendenza di pensiero e di agire, in nome del confortevole conformismo del gregge.

Ci sono casi, situazioni, in cui la coscienza deve avere il coraggio di affermare il proprio desiderio (le proprie istanze pulsionali, quelle che affondano nell’Es) e non reprimerli: quando cioè essi non sono in (vero) contrasto col “principio di realtà” (Io); e anche a costo di andare contro il “pensiero comune”, prevalente (Super-Io).

In questi casi, forse, l’Io patirà un certo grado di sofferenza dovuta all’ostracismo e all’emarginazione sociali, ma ne guadagneranno la sua creatività e vitalità, il suo spirito di indipendenza e di autonomia, che sono e saranno sempre segni inequivocabili di una buona salute psichica, allo stesso livello del senso (necessario) di realtà.

© Giovanni Lamagna

Dialoghi attorno al volere e non volere

Tempo fa ho pubblicato su facebook un post che ha dato origine ad un dialogo con alcuni amici, dialogo che reputo di un qualche interesse. E per questo lo ripropongo.

Il post iniziale era il seguente:

Volere e non volere

Per quanto mi riguarda, per “volere il giusto” occorre (paradossalmente) non volere; occorre, cioè, sospendere la propria volontà; o, meglio, la volontà dell’Ego.

E affidarsi alla volontà dell’Alter-Ego, cioè del nostro “maestro interiore”, che ci ispirerà e suggerirà, momento per momento, cosa sarà giusto fare.

A seguire il dialogo che ne è scaturito.

P. R. : Il tuo è un modo ateistico di affidarsi a chi non si conosce, come fa il credente; due idealizzazioni distinte: una dentro me e l’altra fuor di me. È solo una questione di scelta, ma il risultato è identico.

Giovanni Lamagna: Nel mio caso io conosco bene chi è colui a cui mi affido, il mio “maestro interiore”.

E’ la sintesi, la sovrapposizione simbolica di tutti i maestri in carne ed ossa che ho conosciuto, incontrato nel corso della mia vita.

E’, dunque, esterno ed interno allo stesso tempo: un esterno che è diventato interno, interiore.

B. C. : Giovanni cosa ti fa supporre che il “maestro interiore” sia più giusto dell’Ego? E cosa intendi per Ego? L’io cosciente (e quindi anche senziente e volente) o qualche altra cosa?

G. L. : In questo caso per Ego intendo qualcosa che sta a metà tra l’ES freudiano e l’EGO sempre freudiano.

Qualcosa che non è più il puro istinto o la pura pulsione (l’Es freudiano), ma non è neanche la piena coscienza (l’Ego freudiano).

E’ qualcosa che ha preso consapevolezza della realtà, dei limiti che la realtà pone all’Es. E quindi è già coscienza, non è più inconscio.

Ma non ha ancora preso consapevolezza di quali sono tutte le sue potenzialità.

Queste, a mio avviso, non ce le rende consapevoli solo la realtà (che in molti casi, invece, tende a mortificare le nostre potenzialità), ma ce le fanno intravedere i Maestri, quando e se abbiamo la fortuna di incontrarli e riconoscerli (perché non basta solo incontrarli, bisogna pure riconoscerli come tali) nel corso della nostra vita.

L’insieme, la sovrapposizione simbolica (diciamo pure la sintesi di tutti questi Maestri in carne ed ossa), forma, costituisce dentro di noi una sorta di Maestro interiore, che è quello che io chiamo l’Alter Ego.

Che può guidarci con la sua saggezza, non facendoci appiattire semplicemente su ciò che chiamiamo (spesso un po’ troppo frettolosamente) “la realtà”. A questo “Maestro interiore” io affido la mia volontà.

Non certo per una sorta di fede religiosa, ma perché ho una fiducia, più volte confermata dall’esperienza, in lui.

Almeno fino a prova contraria. Fino a quando cioè un altro/nuovo maestro non metterà in discussione (ai miei occhi) gli insegnamenti del mio attuale “maestro interiore”. Cosa che segnerebbe (come a volte mi è successo in passato) una svolta nella mia vita.

B. C. :Allora nella tua topica abbiamo:

– l’ego freudiano (la piena coscienza),

– l’ego “lamagnano” (a metà tra l’ego freudiano e l’es freudiano)

– il super-io freudiano

– l’es freudiano

– l’alter-ego (il maestro interiore, sintesi di tutti gli altri ego)

Corretto? E’ una tua concezione originale o l’hai presa da qualche autore?

Rimane la mia domanda: cosa ti fa supporre che il maestro interiore sia il più saggio di tutti? Solo una “fiducia sperimentata”?

Giovanni Lamagna: La tua mi sembra una ricostruzione abbastanza corretta, nella quale mi riconosco abbastanza.

A parte la definizione dell’Ego freudiano come “piena coscienza”. Per me l’Ego freudiano è troppo appiattito sulla cosiddetta (presunta) “realtà”. E’ insomma più realista del Re.

Per me la “piena coscienza” è fatta anche degli insegnamenti dei Maestri, che mi hanno insegnato non solo a tener conto dei limiti della cruda realtà, ma anche delle sue (non sempre visibili ed esplicite) potenzialità.

No, questa mia “concezione” non l’ho presa da nessuna parte: è il frutto della mia esperienza e della mia riflessione.

Se poi, prima di me (come è probabile), altri sono arrivati alle stesse idee, non è da loro che ho ricavato le mie. Vuol dire che in questo caso ho sfondato, senza saperlo, delle porte già aperte.

Quanto alla tua ultima domanda: il “mio maestro interiore” è PER ME il più saggio di tutti, perché, se ritenessi che ce n’è un altro più saggio, ovviamente seguirei questo.

Non ho la pretesa, però, che sia il più saggio in assoluto, che cioè lo sia anche per gli altri: mi basta che lo sia PER ME.

In ogni caso la mia fiducia in lui (come già scrivevo prima) è sempre condizionata: la sottopongo a verifiche continue e mai definitive, valevoli cioè una volta e per sempre.

In altre parole, ho fiducia, ma allo stesso tempo sto all’erta e in un certo senso diffido. Anche di quello che considero il mio Maestro interiore. Dubito ergo sum!

© Giovanni Lamagna