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Desiderio e responsabilità.

La coscienza si muove (o dovrebbe muoversi) sempre al confine tra desiderio e responsabilità.

Se non abita questo confine semplicemente non è o non è ancora: è in-coscienza.

Il desiderio è, per sua natura, un’istanza potenzialmente illimitata.

Nasce nell’infanzia, anzi già al momento della nascita, all’insegna del “voglio tutto, subito e sempre”.

Quindi all’insegna dell’egocentrismo, del narcisismo, del sogno allucinatorio di onnipotenza.

Ovviamente ben presto e sempre di più, anche se gradualmente, questo tipo di desiderio (oggettivamente delirante, giustificato solo dall’età) deve confrontarsi con la realtà.

Innanzitutto con la realtà della natura, che gli pone (anzi impone) dei limiti: io vorrei volare, ma non posso farlo, perché la natura non mi ha dotato di ali come agli uccelli.

Ma anche con la realtà del desiderio degli altri, che quasi mai coincide col mio e talvolta (o spesso) addirittura confligge col mio.

Di qui il senso di responsabilità.

Che (attenzione!) non è, non deve essere, rinuncia totale, sic et simpliciter, al mio desiderio.

Anzi, la prima forma di responsabilità (proprio nel senso letterale del termine, che deriva dal verbo latino “respondere”) è quella di cor-rispondere al proprio desiderio.

Lacan diceva, non a caso, che “il peccato più grande è quello di cedere sul proprio desiderio”.

Ma il mio desiderio va realizzato compatibilmente con i limiti che mi impone la Realtà – la natura delle cose – e che mi pone il desiderio dell’Altro.

E, siccome non posso aggirare, evadere, la realtà e non posso fregarmene del desiderio dell’altro (perché una delle componenti principali del desiderio è proprio quella di incontrare il desiderio altrui) ecco che desiderio e responsabilità devono viaggiare di pari passo; l’uno non può fare a meno dell’altro.

Se il desiderio vuole trovare una risposta, una soddisfazione vera, buona e giusta, che fa crescere la vita, e non sfociare in un “godimento mortifero” (come lo definiva Lacan), che invece ammazza la vita.

© Giovanni Lamagna

Noi e la vecchiaia.

Sartre, nel suo libro-intervista “La speranza oggi” (Mimesis 2019; pag. 82), afferma: “… una persona anziana non si sente mai anziana. Io capisco dagli altri che cosa significa la vecchiaia, per colui che la guarda da fuori, ma io non sento la mia vecchiaia.”

Non mi riconosco (quasi) per niente in questa esperienza/affermazione di Sartre, pur avendo io oggi quasi la stessa età che aveva lui quando pronunciò queste parole.

Certo la vecchiaia – e in questo concordo con lui – è anche l’immagine di me che mi rimandano gli altri.

Ma (direi: purtroppo!) per me non è solo questo.

Per me è anche la percezione e la presa d’atto di tanti piccoli acciacchi, debolezze, inabilità, patologie, che fino a non molti anni fa non avvertivo per nulla.

Certo, la vecchiaia ha fatto maturare in me anche un pensiero o, meglio, livelli di consapevolezza, che non mi appartenevano quando ero più giovane.

Quindi la vecchiaia non è solo un’età di involuzione e deterioramento della salute per chi la vive e ne è soggetto.

Offre anche dei vantaggi: in primis un accumulo di esperienze che ci fanno (possono farci) più saggi di quando eravamo giovani.

Ma dire – come fa Sartre – che una persona anziana non si sente mai anziana, mi sembra francamente un’esagerazione.

Anzi – a dirla tutta – una affermazione del tutto al di fuori della realtà.

© Giovanni Lamagna

Intelligenza e corpo.

L’intelligenza ha – per certi aspetti – modi di funzionamento simili a quelli del corpo.

Il corpo ha bisogno di esercizio (ginnastica) per svilupparsi e rimanere in forma.

Così è anche per l’intelligenza.

La ginnastica dell’intelligenza è lo studio.

L’intelligenza che non si esercita nella ricerca, nello studio, langue, quindi appassisce.

Quand’anche fosse una grande intelligenza.

E ciò vale – inoltre – a qualsiasi età: sia per il corpo che per l’intelligenza.

© Giovanni Lamagna

Innamoramento e autostima.

Non ci sono dubbi: se e quando qualcuno/a si innamora di noi (ovviamente qualcuno/a che ci piace, qualcuno/a da cui, a nostra volta, siamo attratti) la nostra autostima lievita, in qualche caso addirittura sale alle stelle.

Al contrario, quando nessuno è innamorato di noi, quando nessuno è particolarmente attratto da noi, la nostra autostima langue, patisce, è depressa.

La nostra autostima, però, soprattutto ad una certa età, non dovrebbe più dipendere da questo tipo di esperienza.

Dovrebbe essere uno stato d’animo in noi consolidato, stabilizzato, non più soggetto all’influenza decisiva dell’innamoramento di qualcuno/a nei nostri confronti.

Il dongiovanni, invece, è proprio colui che ha bisogno di fare innamorare di sé le altre, quante più altre è possibile, per avere continue conferme della sua autostima, che evidentemente in lui è molto debole, fragile, precaria.

© Giovanni Lamagna

Desiderio amoroso e desiderio sessuale

Sartre, sulle orme già tracciate da Freud, distingue il “desiderio d’amore” dal “desiderio sessuale” (1).

Già Freud, infatti, ben prima di Sartre, aveva parlato di una “eterogeneità strutturale tra la dimensione della pulsione sessuale e quella della tenerezza amorosa.” (2)

Lacan aveva poi ripreso questa riflessione mostrando “l’inconciliabilità tra la dimensione del godimento che ruota attorno al carattere autistico della pulsione e quella dell’amore, che invece si nutre del segno di riconoscimento dell’Altro, della sua parola.” (3)

Io condivido la distinzione di cui parlano Freud, Sartre e Lacan, non condivido l’idea che essa equivalga a eterogeneità, anzi inconciliabilità assoluta; non condivido insomma l’idea che la distinzione di cui sopra sia un tratto strutturale e, quindi, insuperabile della “psicologia della vita amorosa”.

Concordo che la divisione tra desiderio amoroso e desiderio sessuale sia presente nella maggioranza, se non nella quasi totalità, dei rapporti amorosi, non concordo però che essa debba essere considerata un dato intrinseco e, quindi, ineliminabile dei rapporti amorosi.

Concordo che, con il trascorrere del tempo e con l’instaurarsi della ripetizione dello stesso e quindi della routine, all’interno dei rapporti amorosi venga il più delle volte ad instaurarsi la scissione di cui parlano sia Freud che Sartre e Lacan.

Concordo che la forte passione, che unisce l’attrazione sessuale alla tenerezza, in un impasto/intreccio in cui l’una tende a rafforzare l’altra e viceversa, caratterizza la maggior parte dei sentimenti amorosi solo nella fase iniziale dei rapporti, quella dell’innamoramento.

Mentre col tempo, nella maggior parte dei rapporti, essa tende a sfumare, a scemare, ad appassire come succede ai fiori, e a divaricare, in due direzioni separate e a volte del tutto opposte, le sue due correnti fondamentali: quella della tenerezza e quella della sensualità.

Ritengo, però, che questo destino di inaridimento e scissione del sentimento passionale iniziale non sia affatto ineluttabile e senza alternative, ma che possa essere affrontato, contrastato e vinto, se le due persone coinvolte nella relazione d’amore ne hanno una cura adeguata e fanno per questo un lavoro costante su se stesse.

A partire dalla consapevolezza necessaria che la divaricazione tra il “desiderio d’amore” e il “desiderio sessuale”, tra la “pulsione sessuale” e la “tenerezza amorosa”, tra la “dimensione del godimento” e la “dimensione dell’amore” ha una radice antica, trova origine nella dinamica edipica della nostra vita infantile.

Quando il “desiderio sessuale” provato dal figlio per la madre e simbolicamente castrato dal padre, che non può permettere al figlio di portargli via la compagna, (e, aggiungo io, dalla figlia nei confronti del padre e simbolicamente castrato dalla madre) si trasforma in “tenerezza amorosa” e viene momentaneamente rimosso, messo sullo sfondo della nostra vita relazionale, diventando latente.

Per riaffiorare poi nuovamente e prepotentemente con la pubertà, ma indirizzato su un nuovo oggetto sessuale, diverso dalla figura genitoriale che lo aveva suscitato per primo, e perciò spesso scisso dal sentimento della tenerezza, collegato indissolubilmente al rapporto con la madre, nel caso del figlio, o del padre, nel caso della figlia.

E’ questo il tempo in cui la vita amorosa dell’individuo può vivere e, in genere, vive, a volte molto intensamente e quindi nevroticamente, questa scissione, incapace di ricomporsi: da un lato la pura attrazione sessuale verso un determinato oggetto erotico, attrazione a suo tempo rimossa, a causa della castrazione simbolica del padre o della madre, dall’altro l’attrazione verso un secondo oggetto erotico, rappresentato da una figura quasi materna o paterna, in cui prevale il sentimento della tenerezza.

Il tempo, l’avanzare dell’età e le ripetute esperienze amorose e sessuali potranno portare però, almeno a mio avviso, (ovviamente e solo se ci sarà stato un lavoro di ricerca, di analisi e di ricomposizione interiore del soggetto coinvolto) al superamento, prima o poi, di questa scissione e alla risoluzione (quasi) definitiva della dinamica generalmente insorta nella fase edipica nel triangolo padre/madre/figlio/a.

La scissione, pertanto, di cui parlano Freud, Sartre e Lacan, per me non è affatto strutturale e insuperabile, ma può essere, prima o poi, risolta, superata.

In altre parole, ad un certo punto della mia vita amorosa, io posso (non è detto che ci riesca, ma c’è questa possibilità) arrivare a provare verso la stessa persona sia un forte sentimento di tenerezza che un intenso desiderio sessuale, senza vivere più il conflitto, di cui parlano i tre autori dalle cui citazioni è partita questa mia riflessione.

E addirittura evitare che col tempo la passione iniziale che, nella fase iniziale del rapporto, intrecciava affetto, tenerezza e intenso desiderio sessuale, si logori, consumi, arrivando ad una nuova divaricazione delle due correnti amorose fondamentali, di cui abbiamo qui estesamente “ragionato”.

© Giovanni Lamagna

  • Massimo Recalcati; “Ritorno a Jean-Paul Sartre”; (2021; Einaudi); p.226
  • ibidem; p. 226-22
  • ibidem; p. 227

Desiderio di morire e decisione di darsi la morte

Si può arrivare a desiderare di morire, fino alla decisione estrema (per me del tutto legittima) del suicidio (dolce o truce che sia).

Quando vengono meno le due ragioni fondamentali del desiderio di vivere: la buona salute del corpo e quella dello spirito.

E non è questione di età.

Certo è più naturale che si arrivi a maturare tale desiderio o decisione in tarda età.

Ma un tale desiderio e una tale decisione possono sopravvenire anche in età giovanile, quando il male fisico e/o quello spirituale diventano insopportabili.

© Giovanni Lamagna

Sulle età della vita (parafrasando Schopenhauer)

Nella prima parte della vita abbiamo le forze, l’energia e perfino l’entusiasmo per realizzare le nostre aspirazioni e i nostri ideali, ma non abbiamo altrettanta esperienza.

Per cui commettiamo una quantità di errori – alcuni grossolani, altri molto ingenui – che spesso ci impediscono di realizzare quelle aspirazioni, quei desideri, quei progetti e quegli ideali.

Nella seconda parte della nostra vita, se siamo “bravi”, maturiamo l’esperienza che ci consentirebbe di evitare gli errori che abbiamo commesso nella sua prima parte, ma progressivamente ci vengono meno l’energia e le circostanze favorevoli per realizzare molti di quei desideri e di quelle aspirazioni che avevamo da giovani.

Come sarebbe bello (chi non l’ha mai desiderato?) poter riavvolgere la pellicola del nostro film: tornare non solo giovani (cosa che ci farebbe commettere gli stessi errori già compiuti negli anni trascorsi), ma con l’esperienza che abbiamo maturato da anziani!

Sappiamo fin troppo bene, però, che questo desiderio, purtroppo, è contro natura: destinato a rimanere, quindi, un sogno irrealizzabile.

© Giovanni Lamagna

Età e politica

Ci sono persone che con l’avanzare dell’età diventano più radicali sia dal punto di vista culturale che da quello politico.

Più radicali di quanto non fossero da giovani.

Sono, però, poche, molto poche.

Ce ne sono altre, invece, che con gli anni diventano sempre più moderate o conservatrici, in certi casi perfino reazionarie.

Alcune addirittura, in politica, si spostano dal campo della Sinistra a quello della Destra.

Sono, a me sembra, la grande maggioranza.

© Giovanni Lamagna

Età e vita spirituale

Ci sono persone che invecchiano fisicamente prima di quanto non dica la loro anagrafe.

Sono quelle che hanno trascurato e trascurano la loro vita spirituale.

Ce ne sono altre, invece, che, con l’avanzare dell’età, si mostrano  fisicamente addirittura più giovani di quanto non dica il loro certificato di nascita.

Son quelle che hanno curato e curano la loro vita spirituale.

© Giovanni Lamagna

Morti che camminano

Ci sono persone che sono come morti che camminano: fisicamente vive, ma spiritualmente morte.

Perché hanno smesso di dialogare con se stesse, di ricercare la verità, quindi di evolvere.

Si sono come rinsecchite dentro. E spesso questo si riverbera, traspare anche nel loro aspetto fisico.

Chi, invece, è vivo e attivo spiritualmente, spesso con gli anni migliora anche sotto l’aspetto fisico: diventa non certo più giovane, ma più attraente, se non proprio più bello.

Risplende di una luce che, spesso, lo fa sembrare addirittura più giovane della sua età anagrafica; appare sano e vitale, anche quando acciacchi vari, dovuti all’età che avanza, minano il suo fisico.

© Giovanni Lamagna