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Cosa vuol dire studiare?

E’ certo, anche leggere libri, articoli e saggi.

E’ certo anche andare a lezioni ed ascoltare conferenze!

Ma studiare non è solo e neanche innanzitutto questo.

Studiare vuol dire prima di tutto esercitare la propria attitudine a riflettere, pensare, porsi domande e provare a darsi delle risposte.

Leggere, ascoltare persone dotte e sapienti, senza essersi poste prima domande e senza elaborare poi pensieri autonomi, non è studiare.

È, tutt’al più, incamerare nozioni.

© Giovanni Lamagna

Noi e la vecchiaia.

Sartre, nel suo libro-intervista “La speranza oggi” (Mimesis 2019; pag. 82), afferma: “… una persona anziana non si sente mai anziana. Io capisco dagli altri che cosa significa la vecchiaia, per colui che la guarda da fuori, ma io non sento la mia vecchiaia.”

Non mi riconosco (quasi) per niente in questa esperienza/affermazione di Sartre, pur avendo io oggi quasi la stessa età che aveva lui quando pronunciò queste parole.

Certo la vecchiaia – e in questo concordo con lui – è anche l’immagine di me che mi rimandano gli altri.

Ma (direi: purtroppo!) per me non è solo questo.

Per me è anche la percezione e la presa d’atto di tanti piccoli acciacchi, debolezze, inabilità, patologie, che fino a non molti anni fa non avvertivo per nulla.

Certo, la vecchiaia ha fatto maturare in me anche un pensiero o, meglio, livelli di consapevolezza, che non mi appartenevano quando ero più giovane.

Quindi la vecchiaia non è solo un’età di involuzione e deterioramento della salute per chi la vive e ne è soggetto.

Offre anche dei vantaggi: in primis un accumulo di esperienze che ci fanno (possono farci) più saggi di quando eravamo giovani.

Ma dire – come fa Sartre – che una persona anziana non si sente mai anziana, mi sembra francamente un’esagerazione.

Anzi – a dirla tutta – una affermazione del tutto al di fuori della realtà.

© Giovanni Lamagna

Amore e poli-amore.

Sono sempre più interiormente convinto che un amore possa convivere con un altro amore; addirittura con altri amori.

Sempre, ovviamente, che tutti i soggetti coinvolti in una tale dinamica di pluri-relazioni siano concordi; condividano cioè la stessa visione ed esperienza di amore.

Ma è questo il punto; mi viene di dire il punto dolente: è difficile, molto difficile, estremamente raro, che più soggetti, più persone, condividano nello stesso momento una tale visione del mondo e delle relazioni.

Solo un amore o, meglio, amori molto maturi e saggi ne sono, ne possono essere, capaci.

E di amori maturi e saggi oggi (ma in passato era ancora peggio) in giro ce ne sono davvero pochi.

In genere, nella grandissima maggioranza dei casi, l’amore viene confuso col possesso dell’altro; che poi significa dipendenza dall’altro, incapacità di stare senza l’altro, fosse anche solo per brevi momenti; paura, anzi, spesso, terrore dell’abbandono.

Ma l’amore coincide con la libertà ed è il contrario della paura.

Quanti, però, questo lo capiscono non solo con la testa (con questa magari ci arrivano pure), ma anche col cuore?

© Giovanni Lamagna

La faccia che ci siamo meritati

Sono convinto che ad una certa età ognuno di noi si ritrovi la faccia che si è meritato.

Ci sono alcuni che si ritrovano una faccia da delinquenti.

Altri (pochissimi) una faccia da eroi o da santi o da saggi.

Altri ancora (i più) la faccia anonima della mediocrità.

© Giovanni Lamagna

Due tipi di anziani

La terza età non è la stessa, inesorabilmente uguale per tutti: vi si può arrivare in due modi molto diversi e distanti tra di loro. Per cui possiamo parlare a buon ragione di due tipi di anziani.

L’uomo o la donna giunti alla terza età (una volta per terza età si intendeva quella che incominciava dopo la soglia dei 50 anni; oggi questa soglia – considerate le migliorate condizioni di vita e, quindi, di salute della popolazione e il conseguente allungamento della vita media – la si può situare anche dopo i 60 anni) tendono a irrigidirsi non solo nel corpo e quindi nei movimenti, come è fisiologico che accada, ma anche nei modi di sentire, di pensare e nei comportamenti, nei modi di essere, che ne conseguono.

L’uomo anziano, in genere, è schiavo delle sue abitudini; poco aperto alle novità, anzi tendenzialmente chiuso, giudicante: non solo verso le nuove mode (cosa che per certi aspetti sarebbe addirittura un dato positivo), ma anche nei confronti delle ovvie e naturali evoluzioni scientifiche, tecniche, economiche, sociali, culturali, politiche (e questo non sempre è positivo, anzi – a dire il vero – non lo è quasi mai).

Non a caso frasi tipiche pronunciate dagli anziani sono: “Ai miei tempi queste cose non si vedevano, non succedevano…”, “bei tempi andati!”.

Insomma, l’uomo anziano nella maggioranza dei casi ha lo sguardo rivolto all’indietro, verso il passato, e il sentimento che lo domina è quello della nostalgia, accompagnata spesso da un cinico disincanto, se non da una vera e propria mancanza di fiducia verso il futuro e verso le generazioni che vengono dopo di lui.

E tuttavia questo, anche se molto frequente, non è affatto l’esito scontato e inevitabile della evoluzione (o, meglio, involuzione) psicologica dell’uomo anziano.

Ci sono, infatti, uomini anziani (anche molto anziani) che restano vigili e aperti di fronte alle novità, che ancora si incuriosiscono e vogliono apprendere e imparare. Che non disprezzano i giovani e meno che mai le persone di mezza età, ma amano confrontarsi con loro, non per sposarne acriticamente i modi di pensare e i comportamenti, ma per in alcuni casi continuare a testimoniare i propri, in altri arrivare invece a metterli in discussione e, perfino, rivederli.

Questi anziani, proprio perché ben consapevoli della fragilità fisica ma anche emotiva e psicologica in senso lato della loro età, anziché difendersi, irrigidendosi nella nostalgia del tempo che fu, nella difesa di idee e scelte passate, con l’avanzare dell’età, si ammorbidiscono e sono aperti a mediazioni e compromessi ai quali da giovani non erano neanche lontanamente disponibili.

Sono capaci pertanto di aprirsi a visioni del mondo che sarebbero state inconcepibili per loro quando erano giovani e che in alcuni casi lo sono perfino per quelli molto più giovani di loro.

Ad esempio, divengono molto più tolleranti ed aperti sulle questioni dell’amore e, perfino, del sesso. Sono ben consapevoli che per loro si è esaurita la stagione dell’amore romantico, unico ed eterno, ed in fondo non ne hanno manco così tanta nostalgia, perché sono adesso in grado di vederne tutti i limiti, le ingenuità, gli aspetti perfino un po’ patetici e ridicoli.

Si aprono allora magari ad una visione più promiscua e comunitaria dei rapporti tra i sessi, in cui prevale meno il senso del possesso e più quello della condivisione, dell’amicizia più che della sessualità in senso stretto, anche se questi rapporti non escludono né la sessualità né, tantomeno, l’erotismo.

Insomma questi anziani sono capaci, forse ancora più di quando erano giovani e perfino più di tanti giovani di oggi, di aprirsi ad una visione giocosa e allegra dell’esistenza, ben lontana da quella cupa e a volte addirittura lugubre che spesso affligge la vita degli anziani del primo tipo, quelli che ho provato a descrivere all’inizio.

Anziani che sono restati o tornano ad essere, con l’avanzare degli anni, un po’ bambini o fanciulli, ma nel senso positivo e non regressivo del termine: capaci di stupirsi, gioire e divertirsi ancora, senza per questo scadere nell’incoscienza, nell’imprudenza, nella impulsività o mancanza di discernimento che caratterizza i bambini e i fanciulli.