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Che cos’è l’amore per me?
L’amore prima ancora che un atto, un gesto, una parola specifici è uno stato generale e complessivo dell’essere: del corpo, dei sentimenti, della mente.
Bisogna essere nello stato d’animo dell’amatore, dell’amante, per poter compiere gesti, atti e dire parole d’amore, che non siano pure e superficiali apparenze.
Chi non ha fatto la scelta di fondo dell’amore, chi non ama l’uomo, anzi la vita, in generale, non può neanche amare il singolo uomo in particolare.
Il suo amore sarà un amore episodico e selettivo, che può rivoltarsi molto facilmente e rapidamente nel suo opposto, in disamore oppure odio vero e proprio.
© Giovanni Lamagna
Cosa intendo per illuminazione
Capire che amare il prossimo (cioè aprirsi agli altri e non rimanere ripiegati sul nostro ego, chiusi nel proprio narcisismo) equivale alla “salvezza” (di sé, come individui, e del mondo, come Umanità) è per gli esseri umani (o, meglio, per coloro tra di essi che la vivono) sempre l’esito di una esperienza, in qualche modo mistica, di una vera e propria illuminazione.
E non c’è nessun merito nel ricevere questa illuminazione. Perché essa è frutto di pura fortuna, figlia del puro caso.
Che ad alcuni (non molti, invero) accade. Ad altri (molti) non accade. Almeno a giudicare da come è andato il mondo e da come si è svolta la storia finora.
Ognuno di noi può solo predisporsi o, meglio, non frapporre troppi ostacoli affinché questa illuminazione lo raggiunga. Ma essa non dipende per la massima parte da noi.
Allo stesso modo che noi possiamo aprire le finestre al mattino per fare entrare la luce del sole in casa nostra. Ma, se il sole (per assurdo) non spuntasse al mattino, quando fa alba, non basterebbe aprire le finestre di casa nostra per farvi entrare luce.
Ci sono cose, insomma, che dipendono da noi. Come, per restare alla metafora, aprire le finestre.
Ma ce ne sono altre, che prescindono del tutto da noi, che non dipendono per niente da noi. Come, per continuare a stare nella metafora, il sorgere del sole.
L’illuminazione (mistica o filosofica che dir si voglia; a dire il vero più mistica che filosofica) è una di queste. E così la capacità di amare, che di questa illuminazione è in genere figlia. Anzi con essa coincide sostanzialmente.
Si impara ad amare (e si riceve l’illuminazione che nell’amore sta la “salvezza”; non parlo qui – come credo si sia capito – di una salvezza ultraterrena, ma di una salvezza tutta terrena, situata nel qui ed ora) non per merito proprio. Ma perché si è ricevuto amore, perché si è stati amati, cioè desiderati, accuditi, curati, coltivati nel modo giusto, quando si è venuti al mondo e nei primi anni di vita.
L’amore, infatti, genera naturalmente amore. L’amore può nascere solo dall’amore. Così come dal disamore o dallo scarso amore derivano inevitabilmente frustrazione e, quindi, rabbia, rivolta, ribellione, che sono tutte madri dell’odio.
Se all’amore non frapponiamo ostacoli, se all’amore non reagiamo col rifiuto e col disamore (ma questo in genere non accade: perché non dovremmo amare, se siamo diventati serbatoio di amore ricevuto?), in noi germoglia, prima o poi, come frutto naturale, l’illuminazione che ci porta a nostra volta ad amare gli altri.
L’incapacità di amare (il non aver compreso cioè che nell’amore sta la nostra “salvezza”) è sempre figlia di un “non amore” ricevuto o di un amore ricevuto in maniera sbagliata, quando siamo venuti al mondo e nei primi anni della nostra esistenza, quando l’amore ci era indispensabile come il latte che succhiavamo dalle mammelle di nostra madre.
Di questo sono fermamente convinto.
Giovanni Lamagna
Lo sguardo amorevole
Una delle caratteristiche dello sguardo amorevole è che non coglie nel volto dell’altro solo ciò che egli è in atto.
Ma anche quello che egli potrebbe essere o diventare; ovverossia le sue potenzialità.
Lo sguardo d’amore dell’altro ci aiuta, perciò, a crescere, a diventare ciò che ancora non siamo, ciò che siamo solo in potenza e non ancora in atto.
Attraverso lo sguardo dell’altro ci può succedere di vedere quello che potremmo essere, diventare, e ancora non siamo.
Non per questo l’amore dell’altro c’impone qualcosa. Di diventare ciò che non vorremmo (liberamente) essere.
L’amore dell’altro tutt’al più propone: ci stimola ad andare in una determinata direzione. Non ce lo impone.
Noi possiamo benissimo andare in tutt’altra direzione: restiamo liberi di farlo.
Ricambiare l’amore dell’altro ci obbliga, però, a raccogliere o almeno prendere in seria considerazione gli stimoli che ci vengono da lui.
Non farlo è da parte nostra un atto di vero e proprio disamore.
Anzi di non riconoscimento della presenza dell’altro nella nostra via.
Giovanni Lamagna