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Fini realistici e scacco finale.

L’uomo che aspira a diventare Dio è destinato ad un inevitabile scacco e ad una sonora sconfitta, come afferma Sartre nella sua prima grande opera filosofica “L’Essere il Nulla”.

Ma l’uomo che si pone dei fini realistici, alla sua portata, può benissimo realizzarli e quindi non subire né scacchi né sconfitte.

Certo, ci saranno sempre dei fini che egli non riuscirà a realizzare, se non altro perché la morte lo raggiungerà prima.

In questo senso (ma solo in questo senso) l’uomo è davvero destinato a subire qualche scacco.

La morte è il principale di questi scacchi, quello a cui sicuramente non potrà sfuggire, perché lo coglierà mentre egli è ancora desideroso e magari in procinto di realizzare altri fini.

Ma non è uno scacco così ontologicamente radicale da togliere qualsiasi senso al suo esistere e desiderare di esistere.

Questo lo riconosce anche l’ultimo Sartre, quello delle interviste al suo segretario Benny Levy (Mimesis edizioni 2019).

© Giovanni Lamagna

Non c’è bisogno di credersi Dio.

Non c’è bisogno di credersi Dio per darsi dei fini.

Come sembra dire il primo Sartre, quello de “L’essere e il nulla”.

A meno di non essere posseduti da un delirio di onnipotenza e credersi “ens causa sui”.

Io posso, infatti, coltivare dei fini a portata di uomo, limitati e concretamente praticabili; e realizzarli anche più o meno tutti; perché no?

Ma questo posso farlo anche senza ritenermi Dio, bensì coltivando la normale speranza umana.

Come sembra dire l’ultimo Sartre, quello delle interviste al suo segretario Benny Lévy (Mimesis edizioni 2019).

© Giovanni Lamagna

L’uomo è libero o no?

Il vero destino – come dice giustamente Victor Frankl nel suo “Logoterapia e analisi esistenziale” (pg. 119) – è ciò che sta alle nostre spalle; è ciò che è avvenuto.

E, infatti, non è un caso (forse) se c’è assonanza tra il termine “fatum” (destino) e il termine “factum” (ciò che è stato fatto, è avvenuto, è trascorso).

Il futuro mai e poi mai potrà apparirci come oggetto del destino, perché si profila davanti a noi come oggetto di scelta tra varie possibilità.

Il futuro è, quindi, la dimensione temporale della libertà, mentre il passato lo è della necessità, del fato, appunto.

La vita dell’uomo, dunque, si dipana tra queste due opposte polarità, teoricamente inconciliabili: ciò che è avvenuto non poteva che essere come è stato (factum, fatum); ciò che avverrà sarà come noi decideremo che sia, frutto di nostre scelte (almeno in apparenza, almeno noi così “sentiamo e crediamo” che sia).

A questo punto, come al solito quando si inizia una riflessione simile, si pone la domanda: l’uomo è libero oppure no?

E la mia risposta è: l’uomo non è libero; ma è condannato a vivere come se lo fosse.

Sartre (soprattutto il primo Sartre, quello de “L’essere e il nulla”) di questa affermazione prendeva come vera solo la seconda parte.

E, secondo me, sbagliava.

E, forse, lo stesso Sartre, il secondo Sartre, quello delle biografie su Genet, Baudelaire, Flaubert, ad un certo punto se ne è reso conto ed ha corretto, almeno in parte, certe sue affermazioni de “L’essere e il nulla”.

Come ha dimostrato Massimo Recalcati nel suo saggio “Ritorno a Jean-Paul Sartre” (2021).

Per me, infatti, le affermazioni di cui prima (“l’uomo non è libero; ma è condannato a vivere come se lo fosse”) sono vere entrambe.

Assurdamente, antinomicamente vere entrambe.

Come già aveva sostenuto Kant, che – a mio avviso – era filosofo molto più profondo e rigoroso di Sartre.

© Giovanni Lamagna