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La sessualità degli animali e quella degli umani.

Gli animali mangiano e bevono esclusivamente per soddisfare un bisogno fisiologico: quello di placare la loro fame o sete.

Gli uomini mangiano e bevono anche per appagare un desiderio: quello di gustare ciò che mangiano e bevono, di godere del piacere che danno una buona bevanda o un buon piatto; e non solo per placare la loro fame o la loro sete.

Allo stesso modo gli animali si accoppiano semplicemente per soddisfare il loro istinto sessuale, che è stato dalla natura programmato in funzione della riproduzione della specie.

Gli uomini, invece, si accoppiano non solo per sfogare un istinto biologico, ma anche per godere il più possibile dell’atto sessuale che li accoppia.

Tanto è vero che ricorrono alle forme più variegate e, in certi casi, perfino sofisticate e stravaganti di fare sesso.

Per gli uomini, inoltre, l’accoppiamento sessuale è (o, meglio, può essere) una delle forme più raffinate e profonde della comunicazione tra due persone.

Tanto è vero che fanno sesso a prescindere dalla volontà e dalla decisione di riprodursi; hanno imparato a separare il sesso dalla sua finalità procreativa.

La sessualità umana è finalizzata non solo alla riproduzione, ma anche ad uno dei massimi piaceri possibili e ad una delle forme più intime di comunicazione interpersonale.

© Giovanni Lamagna

Fare sesso e vedere fare sesso.

Che cos’è la pornografia se non “il sesso che si vede” e, quindi, in un certo senso il sesso a cui si partecipa da fuori e non da dentro?

Io posso “vedere il sesso”, se sto fuori dall’atto sessuale che si compie, se ne sono spettatore, fruitore visivo, e non attore, protagonista.

“Vedere il sesso” è, dunque, cosa diversa dal “fare sesso”.

Il primo corrisponde ad un piacere diverso dal secondo. I due piaceri non si escludono, non sono opposti, ma sono comunque diversi.

Tanto è vero che la maggior parte degli uomini si riconosce il diritto di godere del secondo, ma non del primo.

La morale comune, il comune senso del pudore, si fondano su questo assunto: è lecito “fare sesso”, non è lecito “guardare il sesso”, il sesso fatto dagli altri.

Tanto è vero che sono stati coniati due termini, entrambi dispregiativi e perciò disonorevoli, per definire, il primo, l’atto di “vedere fare sesso”, “pornografia”, appunto, (dal greco πόρνη, porne, “prostituta” e γραφή, graphè, “disegno” e “scritto, documento”), il secondo per definire la persona che si concede il piacere cosiddetto “pornografico”: il termine di “guardone”.

Ma, a pensarci bene, dov’è il fondamento etico di un tale divieto, di un tale tabù e della censura sociale che ne consegue?

In altre parole: perché sarebbe lecito “fare sesso” e immorale, invece, “guardare fare sesso”?

Perché, se “fare sesso” non è solo cosa lecita, ma anche legittima, anzi persino “buona e giusta” (in quanto è una delle modalità con cui si manifesta l’amore tra gli esseri umani, oltre che essere l’atto che garantisce la riproduzione della specie), il “guardare fare sesso” sarebbe, invece, cosa riprovevole?

C’è una pruderie in questa censura sociale che non si manifesta neanche rispetto ad altre manifestazioni del “guardare”, che a voler utilizzare i normali canoni etici dovrebbero essere giudicate con ben maggiore severità.

Infatti, se guardo un film dell’horror o un triller o un film di guerra, in cui abbondano scene di violenza e omicidi anche molto crudeli, perfino di tortura, nessuno mi dirà mai che sto facendo una cosa immorale e, quindi, riprovevole.

Se, invece, guardo un film sexy (peggio ancora se decisamente pornografico: vai poi a spiegare la distinzione!) o (ancora di più) se assisto a scene di sesso in diretta, allora la cosa mi viene rimproverata, scatta il codice rosso della riprovazione.

Indubbiamente singolare!

Segno che in fondo, in fondo, manco il “fare sesso” viene considerato in sé una cosa veramente legittima e, meno che mai, “buona e giusta”, ma solo un’azione tollerata.

E, in fondo, tollerata unicamente perché essa è funzionale, anzi (per certi benpensanti “purtroppo”) indispensabile, alla riproduzione della specie.

Se il “fare sesso” si fosse veramente liberato (come un po’ tutti i contemporanei sono portati a ritenere, compresi insigni psicologi), non ci sarebbe nessuna censura sociale neanche rispetto al “guardare fare sesso”.

E, forse, anche lo stesso mercato, che prospera attorno alla cosiddetta “pornografia”, si sarebbe sgonfiato. Perché essa avrebbe perso quell’alone di “mistero”, “peccato”, “proibito”, “trasgressivo”, che ne alimenta in tanti il desiderio.

Cosa che avrebbe consentito al sesso di essere finalmente vissuto con quella naturalezza e quella innocenza, che ancora oggi (nonostante le apparenze) spesso mancano nel modo di sentirlo, pensarlo e praticarlo di molti uomini e donne.

Giovanni Lamagna

Gli uomini si dividono in due categorie: quelli ordinari e quelli straordinari.

Più o meno a metà del suo grande romanzo “Delitto e castigo”, Dostoevskij fa dire al protagonista del suo racconto, Raskol’nikov, le seguenti parole che riporto integralmente:

… gli uomini, per una legge della natura, si dividono sempre in due categorie: in quella inferiore (gli uomini ordinari), ovvero per così dire il materiale, che serve per riprodurre solo suoi simili, e gli uomini veri e propri, ovvero quelli che hanno il dono o il talento di dire al proprio mondo una parola nuova. E’ chiaro che vi possono essere infinite suddivisioni, ma ognuna di queste categorie ha dei tratti suoi piuttosto definiti: la prima categoria, ovvero per dirla in modo generico il materiale, è fatta di persone per loro natura conservatrici, rispettose, che vivono in obbedienza e amano essere obbedienti. E, secondo me, costoro hanno anche il dovere di essere obbedienti, perché questa è la loro funzione e in questo non vi è nulla di umiliante. Nella seconda categoria tutti violano la legge, sono dei distruttori, o comunque sono portati ad esserlo, a giudicare dalle loro capacità. I delitti di queste persone, naturalmente, sono relativi e svariati: la maggior parte richiede, con varie formulazioni, la distruzione del presente in nome di un futuro migliore. Ma se qualcuno di loro, per realizzare la sua idea, ha bisogno di passare sul corpo di qualcuno, di versare del sangue, be’, secondo me egli dentro di sé in coscienza ha diritto a decidere di versare quel sangue, ma questo, notate bene, a seconda anche dell’idea e della sua importanza. E solo in questo senso… io parlo del loro diritto al crimine… E comunque, non c’è da allarmarsi: la massa di gente non gli riconosce mai questo diritto, li giustizia e li impicca (più o meno) e lo fa con buone ragioni, compiendo in questo modo la propria funzione conservatrice, anche se poi nella generazione successiva questa stessa massa si inchinerà a coloro che erano stati giustiziati e innalza loro monumenti (più o meno). Alla prima categoria appartiene il signore del presente, alla seconda il signore del futuro. I primi conservano il mondo e lo accrescono numericamente, i secondi muovono il mondo e lo guidano alla meta. Sia gli uni che gli altri hanno lo stesso diritto a esistere. Insomma, hanno tutti pari diritto…

Di uomini con idee veramente nuove, o anche solo capaci di dire qualcosa di nuovo, ne nascono estremamente pochi, è persino strano quanto siano pochi. Ma è chiara una cosa, che l’ordine in cui nascono le persone di tutte queste categorie e sottocategorie deve dipendere in modo esatto e preciso da una legge di natura. Ovviamente questa legge ancora non la conosciamo, ma io credo davvero che esista e forse in futuro riusciremo a scoprirla. L’enorme massa degli uomini, il materiale, esiste solo per riuscire ad arrivare alla fine mediante un certo sforzo, mediante un processo che è tuttora misterioso, attraverso un incrocio di specie e di razze, a generare una persona, sia pure una su mille, dotata di un po’ di spirito d’indipendenza. E di persone con un grado ancora maggiore d’indipendenza, una su centomila. Ma di uomini geniali ne nascono solo uno su milioni, e di grandi geni, di figure che hanno portato a un perfezionamento dell’umanità, be’, ne potrà nascere uno solo dopo che siano passate sulla faccia della terra migliaia di milioni di persone. Insomma, ovviamente non ho guardato nell’ampolla da cui tutto ha origine, ma certamente alla base di tutto ciò c’è e ci deve essere senz’altro una legge della natura, non può essere frutto del caso.

Trovo questa pagina di Dostoevsky di una densità e profondità fenomenali. Potrà piacere o meno, qualcuno la potrà trovare addirittura ributtante, ma a mio avviso non si può negare che essa descriva la realtà del mondo così com’è e che in ogni caso riveli una straordinaria conoscenza dell’animo umano.

Ritrovo in essa tracce del pensiero di Schopenhauer e di Darwin, forse persino di Malthus; e anticipazioni di quello di Nietzsche.

Ora vorrei provare a darne una mia personale lettura.

Condivido in buona sostanza l’idea che gli uomini si dividano (almeno così si sono suddivisi nel corso della storia che abbiamo conosciuto finora) in due categorie: quelli “ordinari”, che hanno esclusivamente (o quasi: a voler essere un po’ meno radicali) il compito di assicurare la riproduzione e quindi la continuità della specie; e quelli “straordinari”, capaci di dire al “mondo una parola nuova”.

I primi sono sostanzialmente dei conservatori, dei conformisti: il loro compito primario, se non proprio esclusivo, è quello di garantire la stabilità sociale.

I secondi sono degli innovatori. A voler usare due termini della politica contemporanea potremmo dire che sono dei riformisti (nella loro versione più moderata) o dei rivoluzionari (nella loro versione più radicale). Ma in entrambi i casi sono degli uomini che non si accontentano del presente, bensì aspirano a “un futuro migliore”.

Ora questa distinzione potrà piacerci o meno: a me personalmente non piace; preferirei un mondo e un’umanità diversi. Ma è difficile contestare che essa corrisponda alla realtà. Io, perlomeno, non riesco a contestarlo.

Dostoevskij fa dire a Raskol’nikov che i secondi, gli innovatori, essendo degli uomini speciali, hanno diritto a compiere azioni criminose, a passare sul corpo degli altri e a versare il loro sangue, per affermare la loro idea di cambiamento.

E su questo, invece, non mi trovo d’accordo. Perché penso 1) che il cambiamento (anche quando è necessario, anche quando non è più rinviabile) debba avvenire auspicabilmente senza versamento di sangue e 2) che nessuno abbia diritto a spargere il sangue degli altri per affermare il cambiamento desiderato.

Inoltre ritengo 1) che gli uomini “straordinari” non debbano approfittare in nessun modo dei talenti, che ha loro fornito la natura, per sottoporre gli altri uomini e tenerli in uno stato di inferiorità, come se questa fosse una condizione immodificabile e 2) che sia compito imprescindibile degli uomini “straordinari” quello di elevare il più possibile gli uomini “ordinari” al loro stesso livello.

La mia è, insomma, una concezione evolutiva (fiduciosamente progressista) e non statica (per non dire del tutto reazionaria), come (forse) era quella di Dostoevski.

E, tuttavia, mi è impossibile non riconoscere e prendere atto che la Storia (almeno fino ad ora) ha funzionato come Dostoevski fa dire a Raskol’nikov.

Allo stesso modo mi è impossibile non riconoscere come vere le successive affermazioni di Raskol’nikov. Che cioè la maggior parte dei profeti del cambiamento (a prescindere da fatto che siano stati sanguinari o meno; molti profeti non lo sono stati; Gesù, ad esempio, non lo era) siano stati osteggiati, perseguitati e in molti casi giustiziati mentre erano in vita. Per poi essere (in parecchi casi) riabilitati solo dopo la loro morte.

E che, se il mondo si muove, se il mondo avanza e fa dei progressi, lo deve esclusivamente ai “signori del futuro” (il più delle volte osteggiati in vita e spesso condannati a morte), non certo ai “signori del presente” (che muoiono quasi tutti nel loro letto).

“Di uomini che nascono con idee veramente nuove… ne nascono estremamente pochi” – dice ancora Dostoevskij (attraverso Raskol’nikov) – è persino strano quanto siano pochi.”

Secondo il grande scrittore russo ciò deve dipendere addirittura “da una legge di natura.” “Ovviamente questa legge ancora non la conosciamo, ma – egli dice – io credo davvero che esista e forse in futuro riusciremo a scoprirla.”

E chi può eccepire una tale affermazione?

Impressionante, infine, la graduatoria che Dostoevskij fa della gamma degli uomini straordinari con le sue varie sfumature:

1) quelli che hanno “un po’ di spirito d’indipendenza”: ne nasce uno su mille;

2) quelli che hanno “un grado ancora maggiore d’indipendenza”: ne nasce uno su centomila;

3) gli uomini geniali: ne nasce solo uno su milioni;

4) i grandi geni, “figure che hanno portato a un perfezionamento dell’umanità”: ne potrà nascere uno solo tra migliaia di milioni di persone.

Ora potrete accusare Dostoevskij di darwinismo, perfino di malthusianesimo, di coltivare un pessimismo vagamente schopenhaueriano, di aver anticipato alcune idee nietzschiane sul Superuomo.

Ma non sarà facile smontare l’impianto fondamentale del suo ragionamento, che a me sembra del tutto condivisibile, perché pienamente corrispondente alla realtà, che ci piaccia o no, così come ci viene descritta dalla antropologia, dalla psicologia, dalla sociologia e dalla storia.

Giovanni Lamagna

Quattro modi di rapportarsi al sesso e alla corporeità

7 settembre 2015

Quattro modi di rapportarsi al sesso e alla corporeità.

Ci sono, a mio avviso, quattro modi di rapportarsi al sesso in particolare, ma potremmo dire anche all’elemento corporeo in generale, alla dimensione puramente animale che è presente in ognuno di noi.

Il primo è quello di considerare questa dimensione l’unica o la più importante.

Chi si pone in questo atteggiamento si comporta di conseguenza e di solito (quasi) come gli animali. Segue esclusivamente i propri istinti e impulsi, senza (quasi) nessuna mediazione del pensiero e (in alcuni casi) neanche della sfera emotivo/affettiva.

Nella sfera comportamentale di queste persone non c’è nessuna evoluzione, nessuna crescita: per loro non ci sono altri modi di comportarsi che quelli che mettono in atto da quando hanno acquisito una certa autonomia; non arrivano nemmeno a immaginare che ci possano essere delle alternative.

Nella vita di queste persone il sesso è molto presente (a volte in maniera addirittura compulsiva), ma come esperienza (quasi) puramente fisica, senza grossi coinvolgimenti emozionali ed affettivi. Non è esclusa una certa dose di violenza nel loro approccio sessuale.

Stiamo parlando ovviamente dei bruti, molto più vicini come modo di sentire e di agire al mondo animale che a quello degli umani.

I bruti (per fortuna!) sono piuttosto rari. Quindi diciamo che questo modo di rapportarsi al sesso è poco diffuso tra coloro che risultano iscritti dalla nascita all’anagrafe civile.

Il secondo modo potremmo dire è l’opposto del primo. E’ quello di coloro che provano una certa ripugnanza (più o meno profonda ed estesa) nei confronti della corporeità (in generale) e della sessualità (in particolare). Di coloro che hanno come modello la natura angelicata e che preferirebbero quindi essere angeli.

Spesso queste persone fanno la scelta della castità (nel campo della sessualità) e si impongono comportamenti (più o meno) ascetici su tutti gli altri piani (ad esempio nel rapporto col cibo, con l’abbigliamento, con la fatica e il tempo libero, ecc…).

E’ la scelta dei preti, dei monaci, dei frati, delle suore, degli eremiti, di molti guru, ma anche di persone che vivono inseriti abbastanza bene nella società comune degli altri umani, ma hanno un rapporto complicato con il loro corpo e in modo particolare con la loro sessualità.

Anche questo modo di essere, comportando implicazioni abbastanza radicali ed estreme, è piuttosto raro, è in fondo la scelta di pochi individui.

Esso indubbiamente risolve alla radice il problema di trovare una sintesi/armonia tra istanze (apparentemente) opposte, ma lo fa attraverso una rimozione delle sue cause, piuttosto che attraverso una loro effettiva risoluzione, lo fa eliminando uno dei corni del dilemma, anziché trovare un “accordo” tra i due corni.

Il terzo modo di rapportarsi al sesso e alla corporeità è quello di trovare un compromesso tra la natura animale presente in ogni uomo (tesa alla esclusiva soddisfazione dei bisogni primari: quelli legati alla sopravvivenza personale e alla riproduzione della specie) e quella più specificamente umana (coltivazione dei sentimenti, degli affetti, del pensiero, dell’intelligenza, della cultura…).

Talvolta (anzi piuttosto spesso) i primi vanno in conflitto con i secondi ( o viceversa) e allora occorre trovare un’armonia o (in mancanza) un compromesso tra i due.

La maggior parte degli uomini preferisce trovare un compromesso, che per forza di cose sta in un punto che potremmo definire mediano tra l’animalità pura e l’umanità ai suoi livelli più alti.

In questo caso parlerei di compromesso “mediocre”, non solo per il significato letterale di questo termine, perché si situa in un punto di medietà tra le due dimensioni in conflitto, ma anche perché comporta il sacrificio, la penalizzazione contemporanea di entrambe le dimensioni.

Questo modo di pensare, di essere e di vivere è quello che è stato codificato nella maniera più perfetta e completa dal modello di educazione borghese, specie da quello piccolo borghese, che potremmo anche definire del “perbenismo borghese”.

Questa modalità non implica una rinuncia al sesso, né tantomeno alla corporeità, ma questi devono essere “contenuti” entro schemi molto ben prestabiliti, delimitati e delimitanti: il piacere non può superare certi limiti (altrimenti scattano i sensi di colpa, collegati alle convenzioni sociali), la nudità è consentita solo in certi ambiti, situazioni e relazioni (altrimenti viene violato il comune senso del pudore), la sessualità deve obbedire a regole e norme alquanto rigide (in alcuni casi sanzionate addirittura dal codice civile).

Nella vita delle persone che adottano questo tipo di modalità il sesso è presente, ma con molta moderazione (come del resto tutto nella loro vita), viene vissuto senza grandi entusiasmi ed eccitazione, starei per dire è un sesso soft, a bassa intensità emotiva e fisica, che col tempo tende poi a svanire del tutto o quasi, in maniera quasi inerziale, sostituito (nel migliore dei casi) da un’affettività più fraterna/amicale che erotico/coniugale.

E’ questo di gran lunga il modo più diffuso di rapportarsi al sesso e alla corporeità presente tra gli uomini.

Ne esiste però un quarto.

E’ quello di coloro che ambiscono a raggiungere le più alte vette dell’umanità: non solo non vogliono restare bruti, ma vogliono evolvere, crescere, sviluppando al massimo il loro potenziale umano (emotivo, affettivo, intellettuale, spirituale); e però non dimenticano, non rimuovono (e non hanno nessuna intenzione di farlo) la loro natura animale (come fanno, invece, coloro che appartengono al secondo gruppo di persone che sto provando a descrivere).

E’ il modo di coloro che vogliono trovare una sintesi, un’armonia (e non un compromesso al ribasso, come fanno coloro che appartengono al terzo gruppo) tra le esigenze della spiritualità e quelle della corporeità.

Una sintesi, un’armonia che non penalizzi né la spiritualità né la corporeità, ma (paradossalmente, però molto concretamente) le esalti entrambe.

Sono persone che (a voler usare ancora un paradosso) ambiscono a diventare angeli restando bestie e restare bestie diventando angeli.

Per queste persone la corporeità ha una grande importanza nella loro vita; come ce l’ha in modo particolare il sesso. Queste persone non solo non rifuggono dall’attività sessuale, né tanto meno la disprezzano, ma la praticano molto attivamente e con grande entusiasmo: vivono insomma un sesso hard.

Inoltre non si rassegnano all’idea che col tempo, con l’età che avanza, la loro vita sessuale debba inevitabilmente appassire, sfiorire, diradarsi, fin quasi a scomparire.

Questo non vuol dire che pratichino un sesso puramente bestiale e animale, come fanno le persone che appartengono al primo gruppo. Anzi per loro sessualità e spiritualità devono andare di pari passo: né la spiritualità deve essere una denegazione o una sublimazione della sessualità, né questa deve essere negazione e annullamento della spiritualità.

Per queste persone allora anche la sessualità non è la ripetizione meccanica di gesti sempre uguali (come per gli animali), ma è un terreno, un ambito di ricerca e di sperimentazione, come del resto tutte le altre dimensioni della loro vita.

La stessa morale, in questo ambito, non viene vissuta come un insieme di norme imposte dai costumi sociali vigenti e introiettate, accettate in modo quasi automatico e senza nessuna valutazione critica. Ma un terreno su cui fare ricerca, da mettere costantemente in discussione, in qualche modo da “trasgredire” (nel senso letterale dell’andare oltre), avendo come unica stella polare il rispetto di sé e (in un certo senso ancora di più) degli altri.

Per queste persone, insomma, in campo sessuale vale alla lettera la massima di S. Agostino “ama e fa ciò che vuoi!”. Nel senso che la morale comune in campo sessuale non vale, può essere e va trasgredita, se la sua trasgressione è dettata dall’amore.

Un esempio sublime di questo tipo di approccio è dato dalle pratiche tantriche, che sono allo stesso tempo una forma di spiritualità (quasi di religiosità) e un modo di teorizzare e vivere la sessualità (ben oltre i confini ristretti della morale comune).

Ricco di indicazioni, a tale proposito, è il bel libro dei maestri di Tantra Elmar e Michaela Zadra “Trasgredire con amore”, edizioni Mediterranee.

Il Tantra a mio modo di vedere è la più alta realizzazione della sintesi , dell’armonia tra sessualità/corporeità e spiritualità/religiosità finora raggiunta nell’esperienza storica degli umani.

Ben diversa dal compromesso mediocre di cui si accontenta il perbenismo borghese, che caratterizza il modo di vivere la spiritualità e la sessualità della maggior parte degli uomini e delle donne. Almeno lo ha caratterizzato finora nella storia.

Giovanni Lamagna