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L’importanza di avere un ideale dell’Io.

Sono fermamente convinto che, nella vita, sia molto importante avere un Ideale dell’Io.

Camminare avendo continuamente davanti agli occhi il nostro Ideale dell’Io, cioè quello che – tenuto conto delle nostre risorse (limitate e non infinite) e delle esperienze già fatte – vogliamo diventare, aspiriamo a diventare.

E’ molto importante, quindi, mettere a fuoco – appena la nostra crescita umana ce lo consente – il nostro Ideale dell’Io; per due ragioni principali.

La prima: perché nel momento in cui cominceremo a farlo non saremo più soli; avremo almeno in parte risolto quello che Erich Fromm (ed io sono pienamente d’accordo con lui) considera il problema fondamentale dell’uomo, quello della solitudine.

Perché saremo sempre in compagnia di una sorta di maestro che ci guida, quello che io sono solito chiamare “Maestro interiore”.

L’Ideale dell’Io sarà il nostro bastone, il nostro vincastro, la nostra bussola, l’ancora a cui tenere legata la nostra barca, specie quando il mare nel quale navighiamo viene agitato dalla tempesta.

La seconda ragione: perché, avendo davanti a noi questa sorta di guida, saremo stimolati a camminare, a non stare mai fermi per troppo tempo, se non il tempo necessario per riposare un po’.

E, quindi, saremo spinti ad evolvere, a realizzare così ciò che in noi è solo potenziale e non ancora in atto.

Cosa che non potrà fare, invece, chi rinuncia ad avere questa guida e ad affidarsi a lei; chi si accontenterà di una vita statica, routinaria, se non addirittura stagnante, incapace di proiettarsi verso il futuro, anzi spesso ripiegata nostalgicamente sul proprio passato.

Da queste poche riflessioni fin qui svolte, credo sia già sufficientemente chiaro che questa mia nozione di “Ideale dell’Io” sia da distinguere da (o da aggiungere a) quelle classiche freudiane di Es, Io e Super-io.

E, comunque, fosse anche solo per un eccesso di chiarezza, ne sottolineerò ancora meglio la distinzione.

L’Ideale dell’Io non è ovviamente l’Io (può essere persino pleonastico evidenziarlo) anche se non gli si contrappone e non è una sua antitesi.

L’Ideale dell’Io è il potenziale dell’Io, quello che l’Io è in potenza ma non è ancora in atto.

Potremmo anche dire, utilizzando una terminologia lacaniana, che è il desiderio dell’Io, la sua vocazione più profonda.

O, per usare un altro termine, più vicino alla psicologia junghiana, è il suo “daimon”.

L’Ideale dell’Io non è manco l’Es, ovviamente; anche se non gli si contrappone.

L’Ideale dell’Io è, infatti, un’istanza di cui siamo almeno in parte consapevoli, mentre, come tutti sappiamo, l’Es è l’altro nome dell’inconscio.

Allo stesso tempo, però, l’Ideale dell’Io non è del tutto altra cosa dall’Es, perché ci sono parti, componenti dell’Ideale dell’Io, che sono ancora inconsce.

Che, quindi, fanno parte dell’Es, e affiorano solo un poco alla volta alla coscienza, man mano che l’Io andrà ad occupare spazi sempre più consistenti dell’Es (secondo la famosa espressione freudiana che “laddove c’è l’Es ci sarà l’Io”).

Mentre invece, al contrario di quello che si potrebbe pensare, l’Ideale dell’Io è tutt’altra cosa dal Super-io.

Il Super-io, per come lo aveva immaginato Freud, è una istanza tutta sociale e ben poco personale, anche se viene pienamente introiettata dal soggetto, dalla persona, dall’individuo.

Il Super-io è dato dall’insieme di quelle norme che vengono imposte all’individuo, a ciascuno di noi, dal contesto familiare e sociale nel quale nasciamo, cresciamo e viviamo.

La maggioranza di noi tende ad assumere tali norme in maniera (quasi) del tutto acritica e passiva; e ciò spesso è causa di sofferenza, perché tali norme molte volte si pongono in conflitto stridente con le spinte che vengono dalle pulsioni.

L’Ideale dell’Io, invece, non nega per principio le pulsioni, non intende reprimerle e meno che mai rimuoverle; vuole anzi integrarle il più possibile nell’Io, compatibilmente coi limiti imposti dal principio di realtà.

Il Super-io per sua natura è repressivo, capriccioso e autoritario, l’Ideale dell’Io per sua natura è espressivo, razionale e liberatorio.

Il Super-io tende a deprimere le nostre potenzialità, in nome di una (presunta) morale superiore, quindi assoluta e vessatoria.

L’Ideale dell’Io, invece, tende ad esaltare e stimola a realizzare al massimo le nostre potenzialità.

La sua morale è frutto di scelte autonome, libere, razionali, spesso anticonvenzionali, anticonformiste, che tengono conto del principio di realtà, ma anche di quello primario del piacere.

Il Super-io, invece, è per sua natura e definizione, dipendente, suddito, conformista, routinario, convenzionale, succube del pensiero altrui, quasi sempre più realista del Re; e nemico del piacere.

© Giovanni Lamagna

Il ribelle e il rivoluzionario.

Il ribelle è contro lo stato di cose presente, ma non ha un’idea chiara e pienamente consapevole del modo di vivere che vuole sostituirgli.

Anzi spesso è culturalmente succube dello stato di cose presente. E, mentre lo contrasta a parole e nei gesti esteriori e superficiali, ne copia molti comportamenti e alcune scelte fondamentali.

Il rivoluzionario è anche lui, ovviamente, contro lo stato di cose presente. Ma si è formato una idea chiara e abbastanza precisa del mondo che vuole sostituirgli.

Soprattutto, comincia a praticare modelli di vita alternativi a quelli presenti e prevalenti. Anticipa in sé, nella sua vita personale e in quel poco o molto di comunità che riesce a creare attorno a sé o di cui fa parte, lo stato di cose futuro che vuole sostituire allo stato di cose presente.

Ad esempio, sostituisce nei suoi comportamenti allo stile di vita basato sull’avere, cioè sull’accumulazione sempre maggiore di beni materiali (tipico della società capitalistica), uno stile di vita basato sull’essere, che privilegia i beni spirituali e relazionali rispetto a quelli puramente oggettuali e di scambio, sostituisce ai valori della ricchezza materiale e del possesso quelli della sobrietà e del distacco.

Al modello relazionale prevalente, basato sulla competizione e, perfino, talvolta, sull’odio sostituisce quello fondato sulla cooperazione e sulla fraternità. Alla violenza risponde con la nonviolenza.

E, senza attendere la palingenesi di una società senza più classi sociali o senza più nessuna forma di sfruttamento e di guerra, in un certo senso anticipa in sé, nella sua vita privata e relazionale, la società che vorrebbe vedere realizzata all’esterno di sé, in un futuro più o meno lontano, più o meno prossimo.

Spesso il ribelle e il rivoluzionario vengono identificati nell’immaginario collettivo. Per i più il ribelle e il rivoluzionario sono la stessa cosa. Mentre si tratta di due figure o, meglio, di due modi di essere, due stili di vita molto diversi tra di loro.

Di più. Da alcuni il ribelle viene considerato il vero rivoluzionario. E il vero rivoluzionario viene considerato un moderato, se non un vero e proprio conformista, cioè uno incline ad accettare lo stato di cose presente.

In altre parole, per alcuni, il vero rivoluzionario è una persona che si è adattata. Solo perché non ama fare ricorso a parole e discorsi roboanti o a gesti ed azioni eclatanti.

Ma questo modo diffuso di considerare il ribelle e il rivoluzionario non corrisponde per niente alla realtà.

Il ribelle spesso è una persona superficiale. Che si ribella perché in una certa fase è di moda farlo. Passata la moda, rientra pienamente nei ranghi e diventa un conformista.

Si è, infatti, spesso ribelli da giovani. Perché è di moda esserlo in quella fase della vita. Ma quanti, che erano ribelli da giovani, sono diventati poi moderati da adulti o si sono adattati pienamente con l’avanzare degli anni!

Il rivoluzionario non segue nessuna moda. Anzi è contro le mode. Nasce (o, meglio, diventa, con il maturare della sua coscienza) rivoluzionario e muore rivoluzionario. Non cambia bandiera o partito con gli anni. Non diventa moderato col passare del tempo. Anzi con gli anni, talvolta, radicalizza le sue posizioni.

C’è grande differenza tra un semplice ribelle e un vero rivoluzionario. Impariamo a distinguere il grano dal loglio. Non sempre è oro ciò che luccica.

Giovanni Lamagna