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Le amicizie erotiche.

Da un po’ di anni a questa parte si sente parlare sempre più spesso di “amicizie erotiche”: è un’espressione che è entrata in voga, appartiene oramai al linguaggio comune.

Qualcuno ci ha scritto sopra anche un libro: Rita D’Amico; “Le amicizie erotiche. Cosa sono, come viverle e come difendersi”; Franco Angeli; 2015.

Fino a non molti anni fa l’espressione sarebbe apparsa come un ossimoro, in quanto, secondo l’opinione corrente (e ancora oggi di gran lunga prevalente), l’amicizia di per sé, per definizione, esclude la dimensione dell’eros, mentre la presenza dell’eros tende a definire un altro tipo di rapporto, quello amoroso, quello esistente tra amanti, il rapporto che prevede, in altri termini, un’attrazione e un coinvolgimento sessuale.

Che cos’è allora per me, anche alla luce della recente evoluzione dei costumi cui si faceva cenno all’inizio, un’amicizia erotica?

Un’amicizia erotica è per me un rapporto che sta a metà tra il rapporto amoroso classico, quello della coppia erotico-sessuale monogamica, e l’amicizia classica, ovverossia un rapporto nel quale c’è (talvolta) grande coinvolgimento emotivo, intellettuale e, persino, spirituale, ma non è presente (almeno ad un livello consapevole e meno che mai dichiarato) una componente erotico-sessuale.

E’ un rapporto, dunque, nel quale alle caratteristiche dell’amicizia classica-tradizionale si aggiunge quella erotico-sessuale, ma nel quale mancano sia il sentimento che la scelta/decisione di appartenenza esclusiva, che caratterizza invece la coppia erotico-sessuale tradizionale, quella appunto monogamica.

Come si può facilmente comprendere l’amicizia erotica è quindi un tipo di rapporto nuovo, che esce dagli schemi antichi, potremmo anche dire classici, delle relazioni; ed – aggiungerei subito –  è un rapporto per niente facile da gestire, anche nell’attuale contesto economico, sociale, storico, culturale.

Accade pertanto che due persone provino il desiderio di sperimentare tale tipo di relazione, per gli indubbi vantaggi e le molteplici occasioni di arricchimento emotivo, sentimentale, intellettuale, spirituale in senso lato, che esso può offrire, ma è raro (perlomeno è ancora molto raro) che essa venga condivisa a lungo da entrambi i partner.

Accade più spesso che uno dei due partner (in genere e più spesso la donna) sviluppi nel tempo aspettative di tipo tradizionale; che cioè il rapporto di amicizia, per quanto sin dall’inizio anche erotico-sessuale, tenda a trasformarsi nelle aspettative (almeno da parte di uno dei due partner, se non di entrambi) in un rapporto amoroso tradizionale, cioè esclusivo, dando origine alla classica coppia monogamica.

Un rapporto, quindi, che non preveda più, come all’inizio, altre amicizie erotiche vissute in contemporanea; come, invece, è (o dovrebbe essere) nella logica dell’amicizia erotica.

Infatti, la donna soprattutto, più che il maschio, ancora oggi tende molto a romanticizzare la relazione, ad idealizzare la figura del partner, a viverlo come una sorta di principe azzurro, compagno unico, esclusivo e soprattutto protettivo.

E questo confligge ovviamente con le dinamiche che caratterizzano (o, meglio, dovrebbero caratterizzare, almeno in teoria) un’amicizia erotica.

Ovverossia un tipo di legame/relazione per definizione poligamo, poli-amoroso, perfettamente compatibile (come lo sono, appunto, le “comuni” amicizie) con altri legami e relazioni della stessa natura.

L’impressione mia è che nell’attuale contesto socio-culturale si cominci a intravedere, intuire un modo diverso di vivere sia le relazioni amicali che quelle erotico-sessuali, rispetto a quello che potremmo definire il modo classico e tradizionale di viverle.

Ma che lo stesso contesto socio-culturale non sia ancora pienamente maturo (anzi non lo sia affatto) per approvarle e consentirle come un modo normale e perfettamente sano e compatibile di vivere le relazioni tra individui adulti e consenzienti.

Le avverta, quindi, ancora e in buona sostanza come un pericolo di (ulteriore) corrompimento e dissolvimento della sua (già poco salda, per altri motivi) compattezza emotiva, affettiva e intellettuale.

E, perciò, tenda a respingerle, a rifiutarle, come un modo anomalo, anormale, puramente libertino, perfino insano, irresponsabile e immorale di vivere le relazioni affettive e sessuali umane.

© Giovanni Lamagna

Amore e amicizia

E’ sempre duro, difficile, anzi terribile, per me constatare, ogni volta, come gli uomini (e per uomini qui intendo ovviamente sia i maschi che le femmine) diano molto più valore all’amore che all’amicizia; o, meglio, a quello che io preferisco definire “il cosiddetto amore”, cioè una certa idea dell’amore, non certo il “vero amore”.

Nella persuasione assurda, che io reputo addirittura stupida, che l’amicizia non sia fatta della stessa sostanza dell’amore, che l’amicizia sia altra cosa dall’amore, che l’amore sia una cosa e l’amicizia un’altra.

Chi la pensa così, a mio avviso, non ha mai sperimentato e quindi non ha mai compreso cosa siano né l’amore né l’amicizia.

Confonde l’amore con quel sentimento possessivo ed esclusivo che ci fa sentire una sola cosa con l’altro/a, pappa e ciccia, quel legame simbiotico che ci chiude (beninteso, ci auto-rinchiude) in un rapporto con una persona e (quasi) ci impedisce di vedere tutte le altre, quella relazione che Erich Fromm giustamente e opportunamente, nel suo “L’arte di amare” (1956), definisce di “egotismo a due”.

Quel rapporto che in nome della sicurezza (della reciproca protezione; da che, da chi, poi? dal resto del mondo?) rinuncia alla libertà; che, per guardarsi in continuazione negli occhi, rinuncia a guardare in avanti e attorno a sé; e che quindi rinuncia a godere della bellezza del mondo intero, nella falsa prospettiva che questa si riassuma in una sola persona, si racchiuda in un unico sguardo.

Come è diversa l’amicizia da questo (pseudo) amore! Ne è anzi l’opposto.

Due amici non si guardano solo negli occhi. Certo, ogni tanto lo fanno anche! Due amici si riconoscono innanzitutto dal fatto che non devono mai abbassare gli occhi l’uno di fronte all’altro. Perché essi non hanno mai da nascondersi nulla: sono due libri aperti, due case di vetro, l’uno per l’altro.

Ma due amici sono tali soprattutto perché guardano nella stessa direzione, guardano al mondo con gli stessi occhi. E, spesso, non hanno nemmeno bisogno di dirselo, di parlarne, perché si intendono al volo, senza neanche aver bisogno di fare ricorso alle parole o a tante parole.

E per questo gli amici, i veri amici, non hanno bisogno di chiudersi, di chiudere la loro amicizia in un hortus conclusus, di chiudersi in un rapporto prigione, per quanto dorata essa possa essere. L’amicizia, la vera amicizia, è sempre aperta ad altre relazioni, ad altre e nuove amicizie.

Perché la vera amicizia, per sua natura, per definizione, al contrario di tanti (pseudo) amori, non è gelosa, non è possessiva, non considera l’altro come una sua proprietà esclusiva. Non sacrifica mai la libertà per la sicurezza, ma nutre la sicurezza con la libertà e la libertà con la sicurezza.

Certo, l’amicizia (di solito) non prevede il sesso. Almeno così pensa, ritiene il comune (ma banale) immaginario. E, forse, questo, anzi sicuramente questo, fa ritenere l’amore superiore all’amicizia. Come se il sesso fosse un’esperienza superiore alla condivisione di una comune visione del mondo, dell’unum sentire, che è tipico delle vere e profonde amicizie.

Ma è poi vero anche questo? O non è anche questo uno dei tanti luoghi comuni del pensare piccolo borghese, cioè del pensare convenzionale che ha fatto della “proprietà privata” il valore sommo e di riferimento di ogni altro, il modello paradigmatico di ogni altra relazione tra soggetti, comprese quelle emotive, sentimentali, erotiche?

Perché, infatti, l’amicizia, laddove due amici ne provassero l’impulso e il desiderio, non dovrebbe poter sfociare anche nel sesso, dovrebbe escludere l’esperienza dell’incontro e della fusione dei sensi e dei corpi? Cosa lo vieta in linea di principio?

Obiezione: perché allora sarebbe amore!

Come se ciò che due amici provano normalmente, quando sentono le loro anime (cioè emozioni, sentimenti, idee, pensieri, valori, ideali…) muoversi all’unisono, non fosse già amore.

Come se l’amore (il vero amore, non il sentimento zuccheroso, mieloso, da “baci perugina”, che normalmente chiamiamo “amore”) non dovesse già comprendere l’amicizia.

E come se il rapporto che si fonda essenzialmente (se non esclusivamente) sull’attrazione sessuale, sui rapporti sessuali e su sentimenti esclusivi e possessivi di appartenenza reciproca, più che su una reale, forte, profonda, condivisione di pensieri, interessi, valori, ideali, in altre parole di visioni del mondo, potesse essere definito realmente “amore”.

Quanta confusione regna (da quando l’uomo ha potuto cominciare a definirsi tale, da quando esiste cioè l’homo sapiens) su questi due territori: quello dell’amicizia e quello dell’amore!

E quanta strada deve ancora compiere l’uomo per pervenire ad una più corretta conoscenza e consapevolezza dell’una e dell’altro e raggiungere in questo modo la sua piena e compiuta umanità!

© Giovanni Lamagna

Che cos’è lo “spirituale” per me?

Io arrivo a dire che non esistono i valori spirituali, se per “spirituale” intendiamo qualcosa di completamente staccato dal “materiale”, cioè dal fisico, dal corporeo.

La parola “spirituale” – a pensarci bene – è un contenitore vuoto e, perciò, tutto sommato insignificante.

Per me una persona è valida non perché esprime valori spirituali, come sembra affermare Victor Frankl nel suo “Logoterapia e analisi esistenziale”, ma perché ha realizzato la sua umanità.

E realizza la sua umanità chi è in grado di sviluppare ed armonizzare al massimo le sue potenzialità fisiche, emotivo-affettive ed intellettuali.

E, a questo punto, sono anche disposto a recuperare il termine “spirituale”; ma dopo esserci intesi bene su che cosa esso possa e debba significare.

E’ l’insieme e l’armonia delle caratteristiche fisiche, emotivo-affettive e intellettuali che fa lo “spirituale” e che rende una persona “spirituale”.

Senza queste caratteristiche lo “spirituale” semplicemente non esiste, è un contenitore vuoto.

Che non è in grado, quindi, di provocare nessuna attrazione, meno che mai un’attrazione erotica, ancora meno che mai un’attrazione sessuale.

Nessun uomo si innamora dello “spirito” di una donna. Come nessuna donna si innamora dello “spirito” di un uomo.

Semplicemente perché noi uomini e donne non siamo angeli, non abbiamo una natura “spirituale”, ma siamo fatti di carne, di ossa, di emozioni, sentimenti e di idee, intelligenza: cioè di realtà molto, molto concrete; mi verrebbe di dire molto “materiali”; altro che spirituali!

Sono queste caratteristiche – quando sono bene amalgamate e fuse in una persona – che ci attraggono: Non ci attrae il “puro spirito”, come sembra sostenere Victor Frankl.

© Giovanni Lamagna

Innamoramento e amore.

giugno 2015

Innamoramento e amore.

Un altro equivoco che insorge spesso nelle cose dell’amore – dice Fromm – è quello di confondere l’amore con l’innamoramento.

Questa confusione è un’altra delle ragioni che induce l’idea, piuttosto diffusa tra gli umani, che nelle cose dell’amore non ci sia nulla da imparare, ma che l’amore sia un sentimento del tutto naturale, che sorge spontaneo, che è anzi del tutto connaturato all’animo umano.

Infatti, una delle caratteristiche tipiche dell’innamoramento è che esso sopraggiunge il più delle volte improvviso, quando meno te lo aspetti, come un colpo di fulmine.

E’ un sentimento che ci raggiunge (significativa l’immagine della freccia che ci trafigge il cuore) e non uno stato d’animo verso il quale siamo noi ad andare, a cui ci disponiamo e verso cui ci prepariamo.

E’ una situazione psicologica nella quale siamo sostanzialmente passivi e non attivi, trascinati come una barca dalla corrente di un fiume in piena e non nocchieri padroni del suo timone.

Un’altra caratteristica tipica dell’innamoramento è che esso è un sentimento più o meno di breve durata, destinato in ogni caso a non durare oltre un certo tempo più o meno prolungato.

E che spesso gli uomini lo confondano con l’amore stesso è dimostrato dal fatto che quasi sempre, quando si esaurisce la fase dell’innamoramento, essi usino dire “è finito l’amore”.

Un’altra caratteristica che contraddistingue l’innamoramento dall’amore è che l’innamoramento è un sentimento molto forte, in alcuni casi violento, che procura emozioni molto intense e tipiche, di grande eccitazione ed esaltazione. Mentre l’amore è un sentimento più pacato, più ordinario, a più bassa intensità emotiva.

Solo che, siccome gli uomini in genere sono innamorati dell’innamoramento, perché sono attirati dai sentimenti forti, violenti, intensi, essi non considerano l’amore un sentimento veramente degno, all’altezza dei loro bisogni e delle loro aspettative.

Preferiscono così chiamare amore quello che è semplice innamoramento e non considerare amore quello che non corrisponde all’innamoramento.

Di qui la confusione, l’equivoco, di cui abbiamo parlato finora.

E’ importante dissipare questa confusione, chiarire questo equivoco?

Sì, se non si vuole andare incontro a inevitabili e, magari, continue frustrazioni e delusioni.

L’innamoramento è, infatti, un sentimento molto piacevole e intenso (specie quando – come in genere avviene – si accompagna all’attrazione sessuale), ma destinato fatalmente a durare poco.

E’ un sentimento (forse) necessario per avviare un rapporto, per spingerci gli uni verso gli altri. Se non scattasse dentro di noi questo sentimento, quasi sempre violento e improvviso, forse nessuno di noi riuscirebbe a vincere la pigrizia o la diffidenza che ci inducono a restare chiusi in noi stessi piuttosto che ad aprirci agli altri.

Ma l’innamoramento è anche una forma di infatuazione, se non di vera e propria allucinazione, che (quasi sempre) ci fa vedere nell’altro/a cose che (magari) non ci sono (le qualità, i pregi) e che non ci fa vedere, invece, cose che ci sono (i limiti, i difetti).

E’ un sentimento di tipo proiettivo, che ci fa vedere l’altro/a come ci piacerebbe che fosse, in base alle nostre aspettative, bisogni e desideri, e non come, invece, effettivamente è.

E’ un sentimento la cui intensità, come dice Fromm, segnala più la gravità della nostra solitudine, il nostro bisogno di compagnia, di attaccamento, di dipendenza, che il desiderio (reale e non fantasioso, genuino e non immaginato) di donarsi, darsi, dedicarsi a qualcuno/a.

E’ importante, anzi è necessario, quindi, che dall’innamoramento (che ha una indubbia funzione all’inizio di un rapporto per avviarlo, farlo partire) si esca e si passi ad un’altra fase del rapporto: quella viene definita dell’amore.

Questa fase nuova è caratterizzata innanzitutto da una presa di consapevolezza maggiore di chi è l’altro/a, di chi sono io, coi miei bisogni e i miei desideri.

Con essa finisce la fase dell’infatuazione, in cui vediamo l’altro/a (e anche noi stessi) con occhi un po’ deformati, e inizia una fase in cui vediamo l’altro e noi stessi con occhi un po’ più obiettivi.

In questa nuova fase dell’altro vediamo non solo i pregi e le qualità, ma anche i difetti e i limiti.

E questa evoluzione (è a mio avviso importante segnalarlo) avviene in qualsiasi tipo di rapporto, non solo in quello che siamo solito definire di coppia, il cosiddetto legame erotico.

Accade, ad esempio, anche nel rapporto di amicizia, che, dopo una prima fase di entusiasmi e di attrazione reciproca, vede emergere anche i contrasti e a volte i dissapori, se non i veri e propri conflitti.

Accade, perfino, nel rapporto genitori/figli.

Cosa è, infatti, il sentimento che provano i bambini (in genere) nei confronti dei genitori per una lunga fase (quella dell’infanzia) se non una forma di infatuazione, di allucinazione, di distorsione ottica, dovute alla dipendenza fisica, materiale, oltre che affettiva?

E non accade lo stesso anche nei genitori alla nascita dei loro figli? Se questa fase nei genitori dura meno a lungo, ciò è forse dovuto solo al fatto che i genitori sono persone adulte, quindi non dipendenti materialmente dai figli e meno dipendenti di loro dal punto di vista affettivo.

La fase che segue alla fine dell’innamoramento non ci vede più passivi, cioè mossi da una passione, ma esige che diventiamo attivi, richiede quindi una scelta. Si sceglie, infatti, si decide di amare. Mentre non si sceglie, non si decide di innamorarsi. Si è piuttosto scelti dal sentimento dell’innamoramento.

Ecco perché l’amore è un sentimento (ammesso che sia solo un sentimento) molto più maturo e adulto dell’innamoramento.

Si sceglie, infatti, si decide, di amare l’altro/a, nonostante se ne vedano i difetti, nonostante se ne siano conosciuti i limiti, nonostante che molte sue qualità e molti suoi pregi, che all’inizio ci avevano fortemente attratti, si siano più o meno grandemente ridimensionati ai nostri occhi.

Si sceglie, si decide di amare, perché si prende consapevolezza che in natura, nelle cose umane non esiste la perfezione, che questa è un feticcio, un fantasma, e che la sua ricerca spasmodica e ossessiva ci condannerebbe alla solitudine, a un triste isolamento.

Si sceglie, decide di amare, perché si diventa consapevoli, che l’Altro rappresenta la nostra ombra, che insomma non è mai totalmente Altro, ma è anche una parte di noi. Che, attraverso l’Altro, possiamo entrare in contatto con la parte di noi che è in ombra e, quindi, crescere, evolvere, arricchirci di nuove dimensioni.

Cosa che ci sarebbe impedita, se restassimo prigionieri del nostro narcisismo. Narcisismo che non viene per nulla intaccato dalle esperienze (per quanto molteplici) di innamoramento. Anzi queste semmai lo rinforzano e gli danno alimento ulteriore. Ma può essere messo in crisi e vinto in maniera significativa solo da reali esperienze di amore.

Giovanni Lamagna