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Occidente e Oriente: confronto utile, anzi necessario.

Il confronto tra Occidente e Oriente è affascinante; perché questi due mondi sembrano essere andati, nel corso della Storia, in due direzioni contrarie, perfino opposte; mentre oggi, grazie alla globalizzazione, sembrano finalmente incontrarsi.

Il primo ha privilegiato l’azione (anzi un attivismo esagerato, addirittura esasperato), il progresso scientifico e tecnologico, la rincorsa al benessere materiale, che è sfociata negli ultimi decenni nel consumo molte volte fine a sé stesso, il consumismo.

Il secondo ha privilegiato, invece, la contemplazione (fino a sfiorare l’inazione), l’adeguamento ai ritmi lenti della natura, la messa in secondo piano, nelle gerarchie valoriali, del progresso materiale rispetto a quello spirituale.

Nessuno dei due, a mio avviso, può (e dovrebbe) vantare superiorità culturale rispetto all’altro.

Perché ciascuno di essi ha sviluppato, anche se in maniera forse troppo unilaterale, aspetti fondamentali dell’umano.

Semmai essi avrebbero bisogno (come da un po’ di decenni, in verità, sta avvenendo) di incontrarsi e integrarsi.

Prendendo ciascuno i pregi dell’altro e superando i propri limiti e le proprie unilateralità.

© Giovanni Lamagna

Cosa distingue un soggetto melanconico da chi melanconico non è

Nel suo libro “Le nuove melanconie” Massimo Recalcati, a pag. 13, così afferma: “La colpa del soggetto melanconico non si riferisce… realmente a nessun atto del soggetto ma alla sua stessa esistenza: è colpa di esistere. E’ colpa di un’esistenza che si trova gettata nel mondo in una condizione insormontabile di inermità e di sconforto radicale…

All’origine del vivente non è il senso ma la vita fuori dal senso, la vita come pura esistenza, eccesso insensato del vivente… dove l’esistenza appare come una protuberanza priva di valore, presenza senza senso, angoscia assoluta”.

Il primo pensiero che mi è venuto leggendo questo testo è il seguente: quella di ritrovarsi “gettata nel mondo in una condizione di insormontabile inermità” è la condizione di ogni essere umano che viene al mondo, non solo quella del soggetto melanconico.

Non c’è essere umano che venga al mondo in una condizione di forza, se non proprio di onnipotenza.

Da questo primo pensiero ne sono seguiti di gli altri che seguono, concatenati tra di loro; almeno a me così sembra.

Ciò che fa la differenza tra il soggetto cosiddetto “normale” e quello melanconico sta nel fatto che il soggetto melanconico della sua condizione di debolezza, fragilità, precarietà strutturale, “contingenza illimitata”, come dice spesso Recalcati, comune a tutti gli esseri umani, senza nessuna distinzione, si fa addirittura una colpa.

E questo lo porta a sperimentare non solo la pena e la fatica del vivere che sono “normali”, perché connaturate all’esistenza di qualsiasi essere umano, ma uno “sconforto radicale”, un’angoscia assoluta, originati dalla percezione di una mancanza totale di senso.

La condizione umana – quella di tutti gli uomini, paradossalmente anche e addirittura di quelli che professano una fede religiosa – è strutturalmente priva di senso, se per senso intendiamo un quid che sta fuori dell’esistenza, qualcosa che ne è causa metafisica e ragione etica estrinseca.

Semplicemente perché questo quid non ha nessun fondamento filosofico e meno che mai scientifico.

E, però, la maggior parte degli uomini, una volta “gettati” nel mondo, sono in grado di trovare un senso alla loro vita, anche se un senso tutto interno ad essa, che non ha cioè niente di metafisico e di trascendente.

Un senso che è legato, infondo, al piacere del vivere, pur con tutte le sue interne e molteplici contraddizioni.

Per la maggior parte degli uomini (i cosiddetti “sani”) è “la volontà di vivere” che si impone emozionalmente sulla consapevolezza intellettuale che la vita non ha senso. E dà un senso comunque alla loro vita, oltrepassando la sua fondamentale e strutturale insensatezza.

In questo la maggior parte degli uomini sono stati e sono aiutati, sostenuti, dal clima di amore e di fiducia, che li ha accolti al momento di nascere e ne ha alimentato la voglia di vivere nei primi anni di vita.

Il senso nasce, può nascere, solo dalla presenza dell’Altro, di qualcuno che al momento della nostra nascita ci accoglie con amore e ci sostiene con affetto per tutta la fase (molto prolungata) della nostra crescita fino a quando non diventiamo adulti.

Senza questo clima (e a volte, purtroppo, succede che questo clima il bambino e poi il fanciullo e poi l’adolescente non lo incontrino) l’essere umano non solo è incapace di trovare un senso alla sua esistenza, ma si sente ospite indesiderato di questo mondo, si sente addirittura in colpa di essere nato.

Qui trova origine la condizione psicologica del soggetto malinconico, che aggiunge alla mancanza di senso strutturale e oggettiva del vivere (che – ripeto – è propria di tutti gli uomini) quella soggettiva e individuale, che è sua propria e che perciò assume i connotati della patologia, se per patologia intendiamo (come di solito si intende) tutto ciò che non rientra nella norma statistica.

© Giovanni Lamagna