Archivi Blog

Desiderio amoroso e desiderio sessuale

Sartre, sulle orme già tracciate da Freud, distingue il “desiderio d’amore” dal “desiderio sessuale” (1).

Già Freud, infatti, ben prima di Sartre, aveva parlato di una “eterogeneità strutturale tra la dimensione della pulsione sessuale e quella della tenerezza amorosa.” (2)

Lacan aveva poi ripreso questa riflessione mostrando “l’inconciliabilità tra la dimensione del godimento che ruota attorno al carattere autistico della pulsione e quella dell’amore, che invece si nutre del segno di riconoscimento dell’Altro, della sua parola.” (3)

Io condivido la distinzione di cui parlano Freud, Sartre e Lacan, non condivido l’idea che essa equivalga a eterogeneità, anzi inconciliabilità assoluta; non condivido insomma l’idea che la distinzione di cui sopra sia un tratto strutturale e, quindi, insuperabile della “psicologia della vita amorosa”.

Concordo che la divisione tra desiderio amoroso e desiderio sessuale sia presente nella maggioranza, se non nella quasi totalità, dei rapporti amorosi, non concordo però che essa debba essere considerata un dato intrinseco e, quindi, ineliminabile dei rapporti amorosi.

Concordo che, con il trascorrere del tempo e con l’instaurarsi della ripetizione dello stesso e quindi della routine, all’interno dei rapporti amorosi venga il più delle volte ad instaurarsi la scissione di cui parlano sia Freud che Sartre e Lacan.

Concordo che la forte passione, che unisce l’attrazione sessuale alla tenerezza, in un impasto/intreccio in cui l’una tende a rafforzare l’altra e viceversa, caratterizza la maggior parte dei sentimenti amorosi solo nella fase iniziale dei rapporti, quella dell’innamoramento.

Mentre col tempo, nella maggior parte dei rapporti, essa tende a sfumare, a scemare, ad appassire come succede ai fiori, e a divaricare, in due direzioni separate e a volte del tutto opposte, le sue due correnti fondamentali: quella della tenerezza e quella della sensualità.

Ritengo, però, che questo destino di inaridimento e scissione del sentimento passionale iniziale non sia affatto ineluttabile e senza alternative, ma che possa essere affrontato, contrastato e vinto, se le due persone coinvolte nella relazione d’amore ne hanno una cura adeguata e fanno per questo un lavoro costante su se stesse.

A partire dalla consapevolezza necessaria che la divaricazione tra il “desiderio d’amore” e il “desiderio sessuale”, tra la “pulsione sessuale” e la “tenerezza amorosa”, tra la “dimensione del godimento” e la “dimensione dell’amore” ha una radice antica, trova origine nella dinamica edipica della nostra vita infantile.

Quando il “desiderio sessuale” provato dal figlio per la madre e simbolicamente castrato dal padre, che non può permettere al figlio di portargli via la compagna, (e, aggiungo io, dalla figlia nei confronti del padre e simbolicamente castrato dalla madre) si trasforma in “tenerezza amorosa” e viene momentaneamente rimosso, messo sullo sfondo della nostra vita relazionale, diventando latente.

Per riaffiorare poi nuovamente e prepotentemente con la pubertà, ma indirizzato su un nuovo oggetto sessuale, diverso dalla figura genitoriale che lo aveva suscitato per primo, e perciò spesso scisso dal sentimento della tenerezza, collegato indissolubilmente al rapporto con la madre, nel caso del figlio, o del padre, nel caso della figlia.

E’ questo il tempo in cui la vita amorosa dell’individuo può vivere e, in genere, vive, a volte molto intensamente e quindi nevroticamente, questa scissione, incapace di ricomporsi: da un lato la pura attrazione sessuale verso un determinato oggetto erotico, attrazione a suo tempo rimossa, a causa della castrazione simbolica del padre o della madre, dall’altro l’attrazione verso un secondo oggetto erotico, rappresentato da una figura quasi materna o paterna, in cui prevale il sentimento della tenerezza.

Il tempo, l’avanzare dell’età e le ripetute esperienze amorose e sessuali potranno portare però, almeno a mio avviso, (ovviamente e solo se ci sarà stato un lavoro di ricerca, di analisi e di ricomposizione interiore del soggetto coinvolto) al superamento, prima o poi, di questa scissione e alla risoluzione (quasi) definitiva della dinamica generalmente insorta nella fase edipica nel triangolo padre/madre/figlio/a.

La scissione, pertanto, di cui parlano Freud, Sartre e Lacan, per me non è affatto strutturale e insuperabile, ma può essere, prima o poi, risolta, superata.

In altre parole, ad un certo punto della mia vita amorosa, io posso (non è detto che ci riesca, ma c’è questa possibilità) arrivare a provare verso la stessa persona sia un forte sentimento di tenerezza che un intenso desiderio sessuale, senza vivere più il conflitto, di cui parlano i tre autori dalle cui citazioni è partita questa mia riflessione.

E addirittura evitare che col tempo la passione iniziale che, nella fase iniziale del rapporto, intrecciava affetto, tenerezza e intenso desiderio sessuale, si logori, consumi, arrivando ad una nuova divaricazione delle due correnti amorose fondamentali, di cui abbiamo qui estesamente “ragionato”.

© Giovanni Lamagna

  • Massimo Recalcati; “Ritorno a Jean-Paul Sartre”; (2021; Einaudi); p.226
  • ibidem; p. 226-22
  • ibidem; p. 227

Le tre fasi principali di una psicoterapia

Una terapia psicologica, di qualsiasi natura e scuola essa sia, ha un suo protocollo, una sua procedura fondamentali, che sono essenzialmente simili, se vuole risultare efficace.

Essi sono fatti di alcune tappe essenziali, che ricorrono (ripeto) in ogni psicoterapia, che sia riuscita ad affrontare i problemi del soggetto in terapia e in qualche modo, nella misura umanamente possibile, a risolverli.

1).La prima tappa è quella di entrare in contatto col desiderio profondo del soggetto, di prenderne visione il più possibile piena, di portare quindi allo scoperto tutto ciò che fino ad allora era stato da lui(lei) rimosso, sotto l’oppressione di una Legge non scritta, ma ben presente, anzi conficcata, nella sua coscienza.

La prima tappa è, quindi, essenzialmente e per sua natura sovversiva, destabilizzante, di ribellione alla legge e di liberazione della libido, ovvero del desiderio profondo.

In questa fase la psicoterapia è (e non può non esserlo) essenzialmente trasgressiva. Il “paziente” che non riesce a compiere questa trasgressione si ferma subito, fallisce la sua analisi; ancor prima di cominciarla.

Egli può affrontare questa prima fase (a dire il vero, anche le altre due, ma soprattutto questa prima fase) solo grazie al sostegno del suo terapeuta, che è (diventa) per lui(lei) un nuovo padre e una nuova madre, grazie al famoso meccanismo del transfert, per cui il paziente trasferisce sul suo terapeuta tutti suoi desideri e le paure/resistenze che contrastano con questi desideri.

2) La seconda tappa è quella di guardare in faccia fino in fondo la Legge che fino ad allora opprimeva il desiderio, gli impediva di affiorare, gli impediva perfino di riconoscersi.

E’ questo un percorso che potremmo definire autobiografico, che mira a ricostruire le fasi attraverso le quali si è costituita la Legge nel corpo, nel cuore e nella mente del soggetto in analisi.

Questo percorso non può non riandare alla prima infanzia, alla fanciullezza e poi all’adolescenza del soggetto, alle sue figure primarie di riferimento: in primis ai suoi genitori o, in assenza, alle eventuali figure sostitutive di questi.

Per ricostruire e riconoscere il tragitto attraverso il quale è venuta a costituirsi la Legge, che ha oppresso ed, in alcuni casi, addirittura castrato, annullato, ucciso il desiderio.

In questa fase il soggetto impara ad esercitare il suo discernimento, a distinguere ciò che è giusto ed è sano, perché ha un fondamento razionale, della Legge che gli è stata autoritariamente inculcata (quindi da accettare) e ciò che è falso, insano, perché irrazionale, immotivato, inutilmente castratore del desiderio (quindi da respingere e rifiutare).

3) Così un poco alla volta inizia la terza ed ultima fase dell’analisi, quella che si spera la concluda positivamente.

Il soggetto, dopo aver visto e riconosciuto il suo Desiderio, dopo aver sfidato la Legge esterna, quella che gli era stata imposta da autorità esteriori, si rende conto che la Realtà, il Mondo esterno gli pone di fatto dei limiti, pone dei limiti al suo desiderio.

Prende consapevolezza, dunque, che il suo desiderio non è e non può essere onnipotente, ma che deve confrontarsi con la dimensione del Limite, questa volta reale e non fantasmatico.

E allora comincia a porre dei confini ai suoi desideri, che tenderebbero a debordare, a diventare assoluti, cioè sciolti da ogni limite.

In questa operazione o fase la Legge rinasce e si oppone al Desiderio, ma è una Legge ben diversa dalla Legge alla quale il soggetto si era ribellato nella prima fase dell’analisi: non è più una Legge esterna, esteriore, dettatagli dagli Altri, ma è una Legge tutta interna, interiore, che si dà lui stesso e autonomamente.

Se questa operazione va a buon fine, nel senso che Desiderio e Legge finalmente si incontrano (non più scontrano) e fanno pace, allora l’analisi può dirsi conclusa.

Anche se l’analisi, come dice Freud in uno dei suoi ultimi libri, nello splendido “Analisi terminabile e interminabile”, non può mai dirsi veramente conclusa.

Essa dovrà anche in seguito alla conclusione della psicoterapia affrontare altri momenti dialettici di scontro tra Desiderio e Legge, tra i quali la ricomposizione/pacificazione non sarà mai raggiunta una volta e per tutte.

Con la conclusione dell’analisi il soggetto avrà però appreso il metodo, il modo per affrontare i nuovi problemi e i nuovi momenti di inevitabile e mai del tutto risolta conflittualità.

Momenti che ci si augura avranno perciò caratteristiche meno drammatiche e violente della prima volta in analisi.

© Giovanni Lamagna