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Famiglia e comunità.

Più vado avanti e più prendo atto che la dimensione della famiglia borghese (sia nella sua versione più antica e tradizionale – quella patriarcale – sia in quella più moderna e recente – la famiglia nucleare) mi sta stretta, non corrisponde più alle mie aspirazioni più profonde, ammesso che vi abbia mai corrisposto.

La mia dimensione ideale, quella nella quale oggi mi riconosco di più e che mi esprimerebbe appieno, è la dimensione della comunità.

Un luogo (spirituale prima che materiale) nel quale più persone fanno vita comune, auspicabilmente anche di convivenza, non perché vincolate da un legame di sangue e meno che mai da un contratto giuridico, ma perché condividono valori, interessi, affetti, emozioni, sentimenti, amori, desideri, aspirazioni.

L’idea della “comune”, che affascinò i giovani del ’68, alcuni dei quali provarono anche a metterla in pratica, purtroppo con durate quasi sempre brevi e con esiti spesso fallimentari, continua ad affascinare ed attirare un uomo come me, che di quella generazione sono parte, anche ora che sono diventato anziano, per non dire vecchio.

So benissimo che, anche per la maggioranza di coloro (pochi) che mi stanno leggendo, questa è solo un’utopia, del tutto irrealizzabile.

Ma cosa saremmo noi umani senza utopie? Come faremmo a camminare, ad andare avanti, ad andare oltre il semplice “qui e ora”?

© Giovanni Lamagna

Le tre fasi (possibili) della storia e della vita sessuale di noi umani.

Penso che la storia e la vita sessuale di noi esseri umani possa (o, meglio, dovrebbe) essere marcata da tre fasi, con caratteristiche molto diverse tra di loro.

La prima è quella che va dagli inizi dell’adolescenza fino ai limiti più avanzati della giovinezza. Di solito oggi questa fase si prolunga anche fino ai 25/30 anni.

E’ questa la fase della prima conoscenza e della progressiva esplorazione della propria sessualità e di quella dei partner che via, via si incontrano sul proprio percorso.

Questa fase è di solito caratterizzata (ed è bene che sia così) da una molteplicità di esperienze e di incontri, sia nel numero che nella qualità.

Andrebbe vissuta senza troppe inibizioni; anzi lasciando andare sempre più le inibizioni, per conoscere sempre meglio i propri gusti e le proprie preferenze nella scelta dei partner sessuali.

La seconda fase (quella che comincia, dunque, attorno ai 25/30 anni) la definirei della monogamia, se non proprio totale ed assoluta, quantomeno tendenziale e di base.

E, quindi, dalla esperienza della famiglia nucleare, formalizzata o meno, comunque caratterizzata dall’incontro con un/a partner oramai stabile, di cui ci si è innamorati profondamente, con cui si è disposti a condividere buona parte della propria vita (casa, interessi, svaghi…) e con il/la quale si decide di avere anche dei figli.

Questa fase sarebbe bene (quantomeno auspicabile) durasse almeno fino a quando i figli diventano persone adulte, cioè autonome, in grado di camminare psicologicamente da soli, sulle proprie gambe.

Quindi almeno per una ventina di anni, cioè fino ai 50 anni (poco meno o poco più) dei partner della coppia che ha messo su famiglia.

A questo punto può (o, meglio, potrebbe a mio avviso: non vedo controindicazioni in tal senso) iniziare una terza fase della vita sessuale di una persona: quella che non avrei esitazione a definire poligamica oppure della coppia aperta o, addirittura, in alcuni casi particolarmente fortunati, della “comune”.

I due partner hanno vissuto fino a questo momento un rapporto (più o meno) esclusivo o (quantomeno) privilegiato ed hanno convissuto in una famiglia nucleare per più o meno 20/25 anni.

Hanno (se li hanno avuti), figli oramai abbastanza cresciuti ed autonomi. Che non dipendono quindi più dal loro accudimento psicologico e, in alcuni casi, nemmeno dal loro sostegno economico.

Si trovano in un’età indubbiamente matura (certo, a 50/55 anni non si è più giovani!), ma sono ancora pienamente vitali e, in molti casi, ancora carichi di energia fisica e sessuale, libidica in senso lato.

E’ vero, la potenza sessuale a 50/55 anni ed oltre non è più la stessa che a 20 o 30 o 40 anni. Ma la minore prestanza fisica e ormonale viene (può essere) ampiamente compensata dalla maggiore esperienza erotica e, soprattutto, dalla maggiore libertà mentale e sociale, che di solito si raggiungono a questa età.

I partner della coppia monogamica, compagni più o meno esclusivi di un buon pezzo di vita, dovrebbero, allora, in questa terza fase, poter aprire (anzi, a mio avviso, sarebbe bene lo facessero) la loro coppia e intrecciare il loro rapporto con una molteplicità di altri rapporti erotici, le cosiddette “amicizie erotiche”.

La loro relazione, a questo punto, si trasformerebbe radicalmente: non sarebbe più di natura esclusiva e monogamica, ma entrerebbe a far parte di una rete di molteplici legami amorosi.

Ne guadagnerebbe in questo caso la stessa vitalità e freschezza del loro rapporto, che a questa età di solito tendono (quasi fatalmente) ad appannarsi, se non a esaurirsi del tutto.

L’adrenalina di una sana (perché ben accettata da entrambi) “competizione” potrebbe, infatti, rinnovare un desiderio che, con la routine e “il dato per scontato”, tende quasi inevitabilmente a venir meno, fino a spegnersi completamente.

A voler coltivare un po’ di utopia, la convivenza comunitaria (tipo “comune”) di persone legate da amicizie erotiche intrecciate, laddove si riuscisse a metterla su, sarebbe a questo punto (o, meglio, potrebbe essere) la massima e migliore espressione organizzativa possibile di questa terza fase della sessualità umana.

Cosa che – ne sono perfettamente consapevole – non è niente affatto facile da realizzare: ci sarebbe una quantità enorme di pregiudizi, sia individuali che collettivi, tra l’altro molto ben stratificati storicamente, da superare.

E però è anche vero che l’uomo, sia nella sua espressione singolare che in quella plurale (l’Umanità), non è fatto per rimanere uguale a se stesso. Quindi non è vietato (né tantomeno sbagliato) immaginare un altro futuro possibile.

Se la maternità e la paternità sono dati certi, legati alla natura, non altrettanto si può dire per la famiglia, sia quella classica patriarcale (oramai già da tempo superata, almeno nelle società industriali e postindustriali avanzate) sia quella nucleare più moderna.

E’ vero che ancora oggi la maggior parte dei sociologi, degli psicologi, dei politici e degli uomini di religione si affannano ad affermare che la famiglia è la (indispensabile e insostituibile) cellula base della società, secondo la classica formula della morale cattolica.

Ma chi ci dice che questo dato storico debba persistere anche in futuro e che non possa, invece, venir meno in un avvenire più o meno prossimo?

E’ del tutto da escludere che, accanto a forme classiche di famiglia, possano costituirsi altri nuclei associativi primari, da considerare anche essi cellule base della convivenza sociale più allargata?

Cosa vi osta, se non la nostra pigrizia emotiva, affettiva ed intellettuale, compresa quella di molti insigni maitre a penser?

© Giovanni Lamagna